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Il peggiore accordo possibile

Publie le venerdì 20 luglio 2007 par Open-Publishing
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Non hanno solo riconfermato (peggiorandolo) lo scalone Maroni ed i suoi effetti. Hanno fatto di peggio. Hanno liquidato definitivamente il diritto alla pensione dei lavoratori dipendenti dalla categoria del salario differito, introducendo un meccanismo che porta la "cassa previdenziale" (quella cioè finanziata con i contributi dei lavoratori) nella completa disponibilità dello Stato.

Alla fine sono riusciti a mettersi d’accordo per smantellare la pensione pubblica.

Non si tratta solo delle "quote" che di fatto portano l’età pensionabile a 61-62 anni entro il 2013 (eguagliando e forse superando in negativo lo stesso scalone Maroni) ma di tutto l’impianto di un accordo che disegna cosa sarà la previdenza negli anni a venire.

Un impianto che riprende la "Dini" e la esalta fino alle sue definitive e conclusive conseguenze.

Da oggi (è ufficiale, lo dice l’accordo) la pensione non sarà più determinata dall’equilibrio del rapporto tra entrate contributive ed uscite per il pagamento delle pensioni (da sempre, ed anche oggi, in attivo), ma da un meccanismo automatico (che i firmatari si sono impegnati a stabilire entro il 2008) che determinerà il valore dei coefficienti di rendimento previdenziale sulla base di parametri esterni al conto previdenziale come ad esempio l’andamento demografico e l’aspettativa di vita, il PIL nazionale, le dinamiche macroeconomiche, gli obiettivi di bilancio statale.

Sulla base di una valutazione (ovviamente arbitraria e di parte) di questi fattori ogni tre anni il Governo (per decreto del Ministero del Tesoro) stabilirà a quali coefficienti di calcolo della pensione si dovrà fare riferimento, stabilendo così in maniera automatica, e senza obbligo di contrattazione, il valore delle pensioni future riferendosi a parametri che con le pensioni e con lo stato del conto previdenziale non c’entrano nulla.

A nulla servirà che le casse Inps (finanziate dai contributi dei lavoratori) siano in attivo, quello che conterà saranno le decisioni del Governo.

Così la pensione del lavoratore dipendente esce dalla categoria del salario differito e contrattato. D’ora in poi le pensioni dei lavoratori dipendenti saranno determinate unicamente per decreto Governativo, che deciderà sulla base di fattori esterni all’equilibrio o meno del sistema previdenziale, e sulla base delle sue scelte in materia di bilancio.

Così alla fine l’accordo firmato ieri riduce la cassa previdenziale in una cassa nella completa disponibilità di uno Stato.

Possibile che Cgil Cisl Uil non sappiamo tutto questo?

Certo sappiamo che anche i sindacati hanno da anni deciso di puntare tutto sulla previdenza complementare (finanziata con sacrifici salariali aggiuntivi di lavoratori che ormai da anni vedono ridursi progressivamente le loro retribuzioni, costretti a consegnare il loro salario a speculatori di borsa), ma quello che hanno firmato liquida di fatto la possibilità di determinazione sindacale su una quota importante del salario differito dei lavoratori, cioè di quello che è rimasto della pensione pubblica, mandando definitivamente in soffitta anche la già debole loro parola d’ordine delle due gambe previdenziali, quella pubblica e quella integrativa.

Si confermano gli obiettivi dello scalone Maroni, si consegna al Governo la titolarità (una volta stabilito il meccanismo) di decidere ogni tre anni di quanto rallentare la dinamica delle nostre pensioni.

I lavoratori ed i sindacati perdono potere di controllo (dopo il TFR da giocare in borsa, ossia al bingo) sulla parte più importante del loro salario differito, ed il Governo, che già finanzia abbondantemente con l’attivo previdenziale le spese assistenziali altrimenti a suo carico, potrà ora allargare la sua possibilità di dirottare altrove una più consistente quota di queste risorse (ossia dei contributi che noi continueremo a versare pensando che servano per sostenere la nostra pensione futura)

Paradossalmente e sfacciatamente, tutto questo succede sapendo che i conti della cassa previdenza dei lavoratori dipendenti è in attivo e basterebbe a se stessa per almeno trenta anni ancora senza bisogno di interventi (lo dicevano anche Cgil Cisl Uil quando contestavano Maroni, e lo dicevano ancora fino a qualche giorno fa .... chissà cosa è successo).

Paradossalmente le uniche cose che creano problemi di gestione alla cassa previdenza (come il peso dell’assistenza che sfacciatamente da anni lo Stato finanzia con i nostri contributi previdenziali) non sono neppure accennate nell’accordo, dando quindi per scontato che all’ordine del giorno non c’era la sostenibilità della previdenza pubblica ma ben altro.

Paradossalmente si cerca di convincerci a guardare nell’accordo alcuni punti positivi, come ad esempio il ripristino delle 4 finestre di uscita e l’aumento di un caffè al giorno per le pensioni minime, ma si dimenticano di dire che queste loro graziose concessioni sono finanziate dai tagli alle nostre pensioni.

Ancor più paradossalmente cercano di rendere apprezzabile l’accordo sottolineando l’intervento previsto a favore dei lavoratori precari. L’accordo prevede infatti (per ora solo a parole) che verrà prevista la copertura previdenziale figurativa (ossia simbolica, nessuno versa nulla, neppure le aziende) per i periodi di inattività lavorativa e che a loro si vedrà (bilancio permettendo, quindi solo a parole per ora) di garantire una pensione di almeno il 60% della loro ultima retribuzione (che poi non sarà l’ultima come dicono alla TV ma una media di non si sa cosa), ultima retribuzione che sarà se va bene sui 1000 euro (visto l’andazzo). Il 60% dell’ultima retribuzione sarà quindi nella maggior parte dei casi pari a 600 euro (praticamente come la pensione minima sociale, quella che ancora oggi, poi si vedrà, non si nega a nessuno). Ma anche qui, copertura figurativa dei contributi e previsioni di spesa per il tetto minimo di pensione ai precari non vengono dalle casse dello Stato ma dal taglio alle pensioni.

Altrettanto paradossalmente ci viene fatto notare che l’accordo porta con se maggiori tutele per i lavori usuranti, quelle per intenderci che già ci erano state promesse con accordo per farci digerire la rìforma Dini del 1995 offrendo una specie di scambio. Ci viene ora fatta passare come vittoria una cosa che già era un diritto contrattato e mai applicato dal 1995, che ancora oggi nell’accordo è in gran parte da precisare. Una vittoria tra l’altro (e nessuno lo dice) che sarà esigibile solo all’interno di un tetto di spesa non espandibile, comunque ricavato dai tagli realizzati sulle nostre pensioni.

Tutto quello che di positivo viene detto esserci nell’accordo non è certo elargito dal Governo come scambio per l’aumento dell’età pensionabile ma viene finanziato riducendoci le pensioni, anche quello che già avevamo ottenuto come scambio per i tagli della Dini ci viene oggi riproposto come scambio per i tagli attuali.

E’ un pò come se quello che ti ha appena sparato una mitragliata in pieno petto ti da poi una mentina per convincerti che non ti è andata poi così male, senza dirti però che la mentina l’ha tolta dalle tue tasche.

Dulcis in fundum (visto che erano già seduti al tavolo, perchè non firmare anche questo ?) hanno deciso di detassare il salario contrattato in azienda (giusto per ridurre le entrate contributive oltre che quelle fiscali a favore, come sempre, dell’impresa, e di una scelta di smantellamento di quel che resta del contratto nazionale) e di aumentare ulteriormente dal 2011 i contributi previdenziali a carico dei lavoratori (aumentando l’aliquota dello 0,09%)

Una nota va infine segnalata riguardo all’unificazione degli enti previdenziali, che il Governo si impegna a proporre entro la fine dell’anno. Ovviamente il Governo si impegna a sentire anche i sindacati, non fosse altro perchè questo comporterà qualche migliaio di esuberi (come risparmiare altrimenti i 3,5 miliardi da questa razionalizzazione), ma l’operazione sembra avere anche un’altro senso.

Fino ad oggi era evidente nei bilanci Inps quali fossero i fondi in attivo (lavoratori dipendenti) e quelli in passivo (Dirigenti di azienda, lavoro autonomo ecc), così come era evidente a bilancio che i buchi dei fondi in passivo erano coperti dai fondi in attivo. Era chiaro cioè che esisteva, dichiarato a bilancio, essendo le gestioni distinte, un rapporto creditore-debitore che in qualche modo rimaneva un problema da risolvere. Con l’unificazione dei fondi e degli enti previdenziali c’è quindi il rischio che la gestione diventi unica con il risultato di nascondere il fatto che la cassa lavoratori dipendenti era in attivo e non abbisognava di alcun intervento, e finanziare senza che nessuno protesti quei fondi privilegiati che continuano a percepire pensioni ad un valore ben superiore ai contributi versati.

In conclusione è facile dire che ci troviamo di fronte al peggiore accordo possibile, lontano anni luce anche dalle stesse dichiarazioni sindacali fatte fino a qualche settimana fa, come pure da quella che loro chiamavano "piattaforma unitaria" pomposamente lanciata a febbraio 2007.

Il Governo ed i sindacati ci invitano a guardare l’accordo nel suo complesso ed a non soffermarci sui singoli punti (che in effetti presi uno ad uno fanno accapponare la pelle), ma è appunto guardando l’accordo nel suo complesso che nasce la convinzione di essere di fronte ad un accordo da respingere. Non di soli scalini e di quote si tratta. Questo accordo liquida la previdenza pubblica e la trasferisce nelle competenze della tesoreria dello Stato (in parole povere di Padoa Schioppa o di quello che sarà il prossimo Ministro del Tesoro del Governo di centrodestra, forse Tremonti ??).

Un’accordo da bocciare quindi.

Da oggi inizia la battaglia per il diritto dei lavoratori ad un vero referendum sull’accordo, ma si rilancia su basi ancora più cogenti ed urgenti anche la battaglia per cambiare questo sindacato.

20-07-2007

Coordinamento Rsu

info@coordinamentorsu.it

www.coordinamentorsu.it

Messaggi

  • "L’accordo è un vero e proprio tradimento delle ragioni dei lavoratori, per certi versi è peggio della controriforma Maroni", denuncia Marco Rizzo, capo delegazione del Pdci all’europarlamento.

    "Il progetto è restrittivo - sostiene ancora Rizzo - Il sistema delle quote che avrebbe dovuto garantire più elasticità di scelta ed evitare altri scalini successivi al primo, in realtà non è molto vincolante. Lo scalone viene diluito in 3 scalini e poi si va anche oltre, riducendo fortemente i margini di scelta dei lavoratori. Insomma, pagano i soliti noti. Serve la mobilitazione generale e l’impegno totale di tutti quelli che si dichiarano ancora di sinistra".

    Di battaglia parlamentare parla anche il segretario del Partito dei comunisti italiani Oliviero Diliberto: "Non nascondo di essere molto irritato", ribadisce oggi a Pordenone. "La delusione è grande - aggiunge - perchè da un governo di centrosinistra ci saremmo aspettati politiche a favore dei lavoratori non contro i lavoratori. Qui si aumenta l’età pensionabile e la si aumenta fino a 62 anni. Non mi sembra un gran risultato. Siccome questo è un accordo sindacale, ma va tradotto in una legge la battaglia proseguirà in Parlamento".

    www.repubblica.it 22.7.07

    • Esplode la protesta, sulle pensioni per Prodi sono lavate di capo

      La riforma fa infuriare persino la parucchiera della signora Flavia.

      E la rabbia corre sul web: e-mail, lettere ai giornali, il sito dell’Unità intasato dai commenti degli elettori delusi...

      Al. Bra.

      IL MANIFESTO DEL 22/07/07

      E se gli italiani si fossero ritrovati una first lady con un taglio punk come avrebbero reagito? Il rischio ieri è stato corso.

      Perché la signora Flavia Franzoni in Prodi, quando è andata a sistemarsi l’acconciatura dalla sua parrucchiera di fiducia a Bologna, l’ha trovata intenta a smanettare con la calcolatrice per capire a che età avrebbe potuto finalmente mettere da parte forbici e shampoo e godersi la sua meritata pensione. Con il fresco accordo firmato la notte prima dai sindacati e dal governo lei, che ha iniziato a lavorare a 14 anni, chissà quanto dovrà aspettare. Un gesto di ripicca quindi, un deciso zac sulla chioma della signora Prodi sarebbe stato, se non condivisibile, perlomeno comprensibile. Fortunatamente la professionalità della parrucchiera ha permesso alla signora Prodi di presentarsi in perfetto ordine, fresca di permanente, al marito, di ritorno da una scampagnata in bicicletta sui colli bolognesi.

      Ma Flavia Franzoni, dopo lo scampato pericolo, non si fa scappare l’occasione per chiedere lumi al marito, e gli sottopone il caso della parrucchiera. Il premier non si scompone e serafico spiega: «Si doveva riparare un’ingiustizia come quella dello scalone, ma è necessario anche tenere i nostri conti in ordine. Lo stanno capendo tutti, anche se Benigni dice che si andrà in pensione solo a 96 anni».

      Sorride il professore, e si gode il day after della sua battaglia più dura. Del resto ha al suo fianco il manipolo dei riformisti del governo, che ieri si sono impegnati in una difesa a spada tratta dell’accordo raggiunto: inizia il presidente del senato Franco Marini, che giudica «un punto d’approdo positivo» la firma ottenuta dai sindacati. Dalle colonne di Repubblica spende parole dolci il vicepremier Francesco Rutelli, che lo definisce «positivo» e «ragionevole». E Lamberto Dini, fino alla fine critico verso un accordo secondo lui troppo schiacciato sui sindacati, parla di accordo «politicamente accettabile». Però avverte: «Adesso non lo si cambia più».

      Un parere non certo condiviso dalla sinistra alternativa, che ieri ha continuato a sparare ad alzo zero sulla riforma: il segretario di Rifondazione comunista Franco Giordano, convinto che la partita «è ancora apertissima», promette battaglia, attraverso la mobilitazione del paese e una durissima opposizione parlamentare. E butta lì una frase che suona minacciosa: «In autunno decideremo se restare al governo». Ancora più duro il Pdci. Oliviero Diliberto si dichiara «irritatissimo» e promette che il suo partito non cederà. E pure tre parlamentari di Sinistra democratica, sebbene i vertici del loro partito avessero giudicato l’accordo in maniera positiva, ieri hanno annunciato di non starci. Sono Piero Di Siena, Silvana Pisa e Massimo Brutti, che ritengono indispensabile «ascoltare attraverso il referendum i lavoratori» e «trasferire poi il risultato in un’iniziativa parlamentare che modifichi i contenuti più discutibili dell’accordo».
      Basterebbe questo a non far dormire sonni tranquilli al premier che invece, forte del risultato appena ottenuto e fiducioso del fatto che la pausa agostana dei lavori riporterà a più miti consigli gli alleati commenta con un ironico «ci sono divergenze? Mi stupirei del contrario».

      La coesione dimostrata dai riformisti, di contro alla spaccatura della sinistra alternativa, fa sì che il premier gonfi i muscoli, convinto che in autunno i ruggiti di adesso si trasformeranno in tenui miagolii. E che ancora una volta, di fronte alla possibilità della caduta del governo, la sinistra ingoi un nuovo rospo. La qual cosa può anche essere possibile. Ma non sono certo disposti a farlo i tanti elettori del futuro partito democratico che ieri hanno riempito il sito dell’Unità con commenti non certo teneri nei confronti dell’accordo. «Il riformismo cialtrone che anima il centrosinistra ha ultimato l’opera iniziata dalla band berlusconiana», «fa schifo», «tanto valeva tenerci Berlusconi», «è una pagliacciata» sono alcuni dei commenti più moderati. Lo stato d’animo è questo: «forse quando Berlusconi definì coglioni gli elettori del centrosinistra aveva ragione». E se anche si reggerà alla prova del voto in autunno, difficilmente questi elettori vorranno ritrovarsi un’altra volta «cornuti e mazziati».