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Il plebiscito mancato

Publie le lunedì 8 giugno 2009 par Open-Publishing
9 commenti

"VINCERE", era l’imperativo categorico che Silvio Berlusconi aveva imposto a se stesso e alla sua coalizione, in un voto che per lui contava "più per l’Italia che per l’Europa". "Vincere", nascondendo sotto una montagna di preferenze i vizi privati (le veline, le minorenni, le feste di compleanno o di Capodanno) e i pubblici tabù (la sentenza Mills, i voli di Stato, le critiche della stampa estera). Ebbene, forse il "Conducator" ha vinto, ma di sicuro il Pdl non ha stravinto. E il suo rivale Dario Franceschini ha perso, ma di sicuro il Pd non ha straperso.

Se lo spoglio notturno delle schede confermerà le prime proiezioni, il premier si aggiudica queste elezioni europee, ma senza riuscire nel clamoroso "sfondamento" che aveva sognato. Questa è la vera, grande sorpresa di questo voto. A dispetto del feroce trionfalismo del Cavaliere e del truce benaltrismo dei suoi giornali, forse "la ricreazione non è ancora finita". Forse sull’immagine del "pagliaccio sciovinista" (come l’ha definito con un eccesso di sprezzo il Times) il caso Noemi ha pesato eccome. Forse sul profilo del suo esecutivo i problemi dettati dall’impoverimento nelle condizioni delle famiglie e dall’imbarbarimento dei rapporti tra alleati (non solo con il leghismo padano di Bossi ma anche con quello siciliano di Lombardo) hanno pesato eccome.

Per tracciare un bilancio definitivo della nuova geografia politica del voto occorrerà aspettare il risultato delle amministrative che si conoscerà solo oggi. Ma qualche riflessione generale è già possibile. Il Cavaliere incassa tutt’al più una stentata conferma del Plebiscito ottenuto un anno fa. Ha trasformato anche questo voto europeo in un referendum sulla sua persona. Ha affrontato la campagna elettorale in condizioni difficilissime, tra scandali politici, forzature istituzionali e disastri economici. L’"ordalia" su Berlusconi, nel Paese narcotizzato dalla propaganda e impaurito dalla crisi, sembra non aver funzionato come doveva.

Per capire perché, bisogna partire dal dato delle politiche 2008. Il Pdl partiva dal 37,4% del 13 aprile. In un anno e mezzo, con una recessione devastante e un riformismo inconcludente, il "partito del Presidente" è accreditato dalle prime proiezioni Rai di un 35%: 2,4 punti in meno delle politiche. Allo stato attuale, resta lontano anni luce dal pirotecnico 45% cui il presidente del Consiglio aveva più volte aspirato. Insieme alla Lega, non arriva affatto allo storico Rubicone di ogni contesa elettorale repubblicana: il 50% dei voti. Il centrodestra, in altre parole, mantiene più o meno le sue posizioni. Anzi, perde perfino qualcosa: Pdl e Lega, insieme, facevano il 45,7% alle politiche, mentre ora si fermerebbero al 44,6%. La distanza tra Pdl e Pd, che alle politiche era di 4,2 punti, si allarga, ma non diventa abissale come i leader della maggioranza auspicavano. Non solo. Se i dati definitivi fossero quelli delle prime proiezioni, persino il derby interno al centrodestra finirebbe male per il premier. Il Carroccio è in crescita, dall’8,3 delle politiche al 9,6% delle europee. Avanza in tutto il Nord. A sua volta, come il Popolo delle Libertà nel resto d’Italia, forse non sfonda tempestosamente gli argini del Po. Ma il Senatur guadagna quanto gli basta, soprattutto in Veneto e forse anche in Lombardia, per battere cassa in una delle prossime cene di Arcore, e per rilanciare la "Questione Settentrionale" a un Pdl che si caratterizza sempre di più come partito merdionale.

Il centrosinistra registra una prevedibile sconfitta, ma evita la temuta disfatta. Il Pd partiva dal 33,2% delle politiche, e arretra al 26,8% secondo le prime proiezioni. È uno smottamento grave, oggettivo. Ma non è una Caporetto, se si pensa che i sondaggi dell’autunno, quando Veltroni gettò la spugna, davano i democratici al 22%. Franceschini non può esultare. Ma può non disperare. Il congresso di ottobre, in queste condizioni, non è ancora un allegro battesimo, ma non è più una cerimonia funebre. Qualcosa si può ancora costruire, tra i calcinacci e non tra le macerie. Se a questo risultato si aggiunge il bottino accumulato da Di Pietro, che veleggia al 7,9% rispetto al 4,4 delle politiche, si ha la sensazione che l’opposizione sia ancora in campo. Pd e Idv, che nel 2008 avevano cumulato un 37,6%, oggi si attesterebbero al 35,6%. Anche in questo caso, 2 punti in meno rispetto alle politiche.

Il calo dell’affluenza alle urne è vistoso: almeno 6 punti in più rispetto alle ultime europee. Se i dati della notte saranno confermati, è chiaro che la "sindrome dell’abbandono" ha colpito non solo gli elettori dell’opposizione (come temevano i leader del Pd) ma anche gli elettori della maggioranza (evidentemente disgustati dal Casoria-gate, che qualche effetto deve pure averlo avuto in queste scelte di non voto). La radicalizzazione dello scontro elettorale, stavolta, ha penalizzato il centrodestra in misura più che proporzionale rispetto al centrosinistra. Certo, si è tradotta anche in un’ulteriore polarizzazione del voto. Ancora una volta, dal panorama politico spariscono le ali estreme: nessuno, né a destra né a sinistra, raggiunge il quorum. E ci sarebbe da ragionare a lungo, in questo caso, sul "voto utile" e sulla pulsione minoritaria dei "duri e puri" che, per non rinunciare alla testimonianza, rinunciano alla maggioranza.

Ancora una volta l’elettorato non premia le ambizioni "terzaforziste" di Casini: l’Udc, secondo le proiezioni, guadagnerebbe appena lo 0,8% sulle politiche. Poco, per chi spera di ricostruire un centro che condizioni il gioco politico con la strategia andreottiana dei due forni.

Se questo fosse davvero il panorama politico che esce dalle urne, i contraccolpi per il governo, anche se non devastanti, si faranno sentire. Le riforme, buone o cattive, si allontaneranno definitivamente. La competizione interna all’alleanza crescerà, insieme alla fibrillazione politica e all’inazione pratica. L’Italia si conferma spaccata a metà. Si ripropone la frattura tra un Nord-Sud in mano al centrodestra e un Centro in mano al centrosinistra. Ma la profezia di Tremonti si avvera solo in parte: è vero che "questo resta un Paese fondamentalmente di centrodestra", ma è anche vero che il centrosinistra non è ancora condannato a diventare solo "una Lega dell’Appennino". Il Muro di Arcore resta in piedi. Ma le crepe non mancano. Un’altra Italia, forse, è ancora possibile.

8.6.09 "La Repubblica"

Messaggi

  • Dal caso Noemi alla grande disillusione:
    ora il premier dovrà cambiare passo

    di Marco Conti da "Il Messaggero" 8 Giugno 2009

    ROMA (8 giugno) - Sono bastate poche settimane di veline, Noemi, e foto in villa per far crollare di diversi punti le percentuali in possesso di Silvio Berlusconi sino a poche settimane fa. Il 35% scarso del Pdl ottenuto alle Europee, sorprende non tanto se confrontato al 37,4% delle politiche, quanto riferito alle percentuali che il Pdl e lo stesso Berlusconi avevano raggiunto dopo la gestione dei rifiuti a Napoli e nel momento dell’emergenza-terremoto. Stavolta i sondaggisti del Cavaliere non hanno centrato appieno gli umori dell’elettorato e comunque un po’ di nervosismo il premier lo aveva mostrato già nei giorni scorsi impegnandosi allo spasimo in una campagna elettorale che non un paio di mesi fa pensava quasi di non fare.

    La vittoria della Lega, che sfiora il 10%, compensa solo in parte la sconfitta del Pdl e comunque rischia di riaprire un contenzioso interno alla maggioranza che non a caso Umberto Bossi, prima dell’apertura delle urne, ha tentato di esorcizzare sostenendo che «tanto non cambierà niente». Il Carroccio è un alleato fedele. Lo ha dimostrato anche in occasione del ”caso-Noemi”, ma il sostegno non è mai gratis. La mancata competizione al Nord è stato il prezzo pagato dal premier, che alle logiche del Carroccio ha dovuto sacrificare anche il Sud, dove infatti il Pdl subisce un significativo arretramento, specie in Sicilia.

    L’asticella posta da Berlusconi al Pdl (44-45%) si è rivelata molto più bassa del previsto e la teoria del complotto costruito sul ”caso-Noemi” troverà da oggi molti sostenitori nel centrodestra. Se la Lega avanza e il Pdl perde al Sud, i problemi per il governo non possono che aumentare e i dati delle urne rischiano di cambiare il passo della legislatura.

    Il Pd regge la soglia di sopravvivenza, ma cala in maniera consistente anche se nel computo si calcola la buona performance dei Radicali di Pannella e Bonino che si sono fermati poco sotto al tre.

    L’avanzata dell’Italia dei Valori che raddoppia le percentuali, crea al Pd lo stesso problema che la Lega provoca nei rapporti con il Pdl. Il bipartitismo piace poco agli elettori che preferiscono di punire o premiare scegliendo nel proprio schieramento, restando a casa o votando forze ”terze” come l’Udc che arriva al 6,5%, malgrado una campagna elettorale giocata tutto sul referendum pro o contro Berlusconi.

    L’astensionismo potrebbe aver contribuito ad alterare il campione messo a punto dai sondaggisti del Cavaliere che sino a ieri sera proponevano una forchetta molto più alta per il Pdl. Berlusconi è ora costretto ad un cambiamento di passo perché le opposizioni hanno eroso il consenso dei partiti dell’area di governo, anche se restano drammaticamente divise e in concorrenza tra loro. Interesse della maggioranza sarà ora di tornare ad occuparsi dei problemi del Paese, magari in un’ottica più collegiale.

  • Il politologo «finiano» Alessandro Campi
    «Non eclatante ma è sconfitta
    Fuga di voti sul caso Noemi»

    «Berlusconi non è in discussione. Però quando non ci sarà più rischiamo il deserto»

    ROMA — Non è una «sconfitta eclatante», non viene «penalizzata l’azione di governo» e Berlusconi da domani non sarà «messo in di­scussione ». Ma non nega la realtà Alessandro Campi, politologo, direttore scientifico di Fa­re Futuro di fatto spin doctor di Gianfranco Fini: «Sulla vicenda Noemi il Pdl ha scontato qualcosa, una fuga di voti c’è stata. Il 35% è un dato deludente non tanto in sè, ma rispet­to alle attese che il premier aveva suscitato». «Berlusconi? Ne esce assieme bene e male - continua Campi - . Bene perché, alla luce del crescendo di scandali veri o presunti dell’ulti­mo mese cavalcati anche dalla stampa inter­nazionale, che potevano costargli il voto cat­tolico e il voto femminile, beh ha tenuto ab­bastanza bene. E’ andato male invece il tenta­tivo, sul quale Berlusconi aveva puntato mol­to, di riaccreditarsi sulla scena internazionale grazie a un risultato eclatante, a un plebiscito che gli avrebbe dato un riscatto pubblico ri­spetto agli occhi dei partner e dell’opinione pubblica straniera».

    Non solo: un risultato di arretramento ri­spetto alle ultime politiche ha effetti anche nell’europarlamento: «Sì, perché potrebbe mettere a rischio la candidatura di un espo­nente italiano a presidente del Parlamento eu­ropeo, ed è vero che il Pdl non è riuscito a diventare primo partito del Ppe». Sul piano interno però, sconquassi non se ne prevedo­no: «Non credo proprio. E’ vero però che il dato della Lega, che cresce, può cambiare i rapporti interni: il partito di Bossi potrebbe alzare un po’ il prezzo della propria collabora­zione, tanto più se dovesse registrare un otti­mo risultato alle amministrative. Insomma, non si aprirà un contenzioso, ma un proble­ma politico sì». Bisogna dunque cominciare a pensare al dopo Berlusconi? «Sicuramente, ma lo si de­ve fare indipendentemente dal dato elettora­le. Il limite del centrodestra - come peraltro del centrosinistra che sembra vivere solo di riflesso rispetto a lui - è che tutto si risolve nella figura di Berlusconi, nel bene e nel ma­le. Se non ci fosse più il premier, sarebbe il deserto. Per questo bisogna lavorare - alla lu­ce del sole, lealmente e guardando al medio e lungo periodo - a una nuova idea di leader­ship e di partito. Tenendo conto anche dei se­gnali che arrivano: perché uno stop può esse­re salutare se impone qualche ripensamento nei comportamenti. E perché i malumori van­no intercettati subito, prima che divengano dissensi».

    Paola Di Caro

    08 giugno 2009 www.corriere.it

  • Il Berluska avrà anche mancato il plebiscito, ma ciò è avvenuto per demerito proprio e per le "cazzate" che gli hanno fatto compiere il suoi geniali "spin doctors" bocconiani ed harvardiani e non per meriti del PD o della sinistra, che per la propria litigiosità ed insipienza è addirittura riuscita a farsi estromettere anche dal parlamento europeo !!

    E’ noto che il Berluska è eterodiretto da "think tanks", nella stessa misura in cui lo era Bush figlio, che ha portato alla sconfitta i repubblicani, ma il problema è che in Italia non si intravede all’orizzonte nessun "Obama" ed i vari Franceschini, Bersani, D’Alema, Di Pietro etc, non sono propriamente la stessa cosa !!

    MaxVinella

  • A me pare che il dato più importante sia il fallimento della politica berlusconiana di una presidenza onnipotente quasi(???) da caudillo sudamericano.Il concetto di una democrazia plebiscitaria in cui il votato ha un mandato completamente in bianco e sia libero dai " lacci e lacciuoli" che in realtà sono leggi e regolamenti, è ora completamente decaduto ed è questo a bruciare di più a Berlusconi. Non certo i due o tre punti in più percentuali ma l’intera sua politica da dittatore da strapazzo circondato da yes-mas che è stata bocciata, il mito da lui stesso alimentato di infallibilità è completamente crollato con ripercussioni sulle certezze dei suoi colonnelli tutte da verificare( anche se a parole sono tutti con lui). Poi ci sono i rapporti interni con la Lega che gli daranno seri grattacapi in futuro. Lui ci aveva provato ad estrometterli facendo sembrare che la politica dei "respingimenti" era sua per prendere voti dagli xenofobi leghisti ma, al contrario, ha rafforzato la Lega che ora, per il suo appoggio, chiederà un ticket ben più alto di prima come il calciatore che segna vuole uno stipendio più alto di prima.Anche l’acquisto di A.N mi sembra sia stato un mezzo fallimento quasi come l’acquisto di Quaresma dell’Inter in quanto non ha portato alcun " valore aggiunto"(per usare un termine aziendalistico)dato che la somma dei due partiti avrebbe dovuto superare l’aritmetica somma delle percentuali dei singoli ed invece ha arretrato. Mi pare allora che i risultati siano ben superiori a quel che appare a prima vista. Michele

    • Berlusconi aveva giurato che i suoi sondaggi lo davano al 45%,
      ha preso il 35%.
      Quanto calo è?
      Ora mi si dice che in realtà ha perso "solo" 2 punti e mezzo,
      ma rispetto alla sua megalomania quanto ha perso?
      E quante volte abbiamo dovuto sentire i suoi cloni spergiurare addirittura su un 75% di consenso?
      Una cosa salta all’occhio:
      all’interno del Pdl solo un elettore su 4 lo ha votato, è il suo peggior risultato alle Europee in rapporto ai voti del partito: ha avuto 2.706.791 mila voti, contro i 10.807.327 del Pdl.
      Ciò vuol dire che lo specchietto per le allodole non ha funzionato. Il signor "sul manifesto mi si metto solo io" non è stato votato personalmente da ben 8 milioni degli elettori del Pdl, che hanno votato il partito ma non lui.
      Sarà che il Pdl è la sua proprietà ma gli sta scappando un poco di mano.

      Viva la Debora Serracchiani in Friuli e la Simona Caselli a Parma che hanno preso piu’ preferenze di Berlusconi!

      viviana

  • E’ morto il cesarismo e se Berlusconi insisterà farà la fine del suo ben più illustre predecessore: pugnalato (metaforicamente)proprio da chi crede di aver più beneficiato!michele

  • Come avevo previsto la Lega è "passata all’incasso" e Berlusconi ha dovuto rinunciare al referendum che avrebbe garantito la base giuridica del cesarismo consegnandogli l’Italia. Naturalmente i ricatti non sono finiti e ben altro il sud e gli immigrati dovranno soffrire in futuro!Michele