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Il problema della scuola è la società

Publie le lunedì 8 settembre 2008 par Open-Publishing

Il problema della scuola è la società

di Tiziano Tussi

su Liberazione del 06/09/2008

L’anno scolastico sta per cominciare e quindi via alle bufere tardo estive. In luglio c’era stata la querelle sui grembiulini, poi si è passati ai più pesanti tagli del personale e finalmente ora, in perfetta esplosione della problematica federale, si discute se la scuola del sud sia peggiore di quella del nord. Il ministro dell’istruzione prima dice che è così, e poi ridice il contrario; chi è a favore suo e chi avverso.

Mi pare manchi in questo gran discutere del niente una forte sottolineatura del motivo strutturale del perché una scuola funzioni o meno. L’istituzione scolastica è al centro di ogni Paese e concorre profondamente a mantenere positiva la società che la contiene. Se la società non marcia più, anche la scuola alla lunga ne risentirà gli effetti. Ed è quello che sta accadendo anche in Italia.

Le condizioni strutturali, sociali ed economiche del sud hanno indici inferiori di tenuta rispetto al nord. Nelle città meridionali si vive peggio che in altre parti del Paese; la disoccupazione è maggiore, in special modo quella giovanile e delle donne; l’emigrazione interna e verso l’estero colpisce quelle regioni più che altre. Perché allora meravigliarsi se anche la scuola non funziona come dovrebbe. Non serve a molto inanellare elenchi di intellettuali importanti che vengono dal meridione, che sono meridionali. Allora perché non ricorrere alle radici della nostra cultura, alla Magna Grecia? Occorrerebbe che i ministri in carica smettessero di giocare con le fantasticherie.

Se la scuola, specie nel meridione, non funziona è perché a lungo andare la società e le sue manchevolezze l’hanno messa nelle condizioni di funzionare male. Del resto, per quale motivo acculturarsi, quando ciò che viene richiesto, come somma di capacità, come lavoro, sono attività che non necessitano di tante funzioni intellettive? E’ un cancro che sta coprendo l’intero Paese, ed anche in luoghi che si ritengono ancora al di fuori di tale fenomeno sicuramente non potranno rimanervi a lungo. Gli standard nazionali si abbassano dappertutto.

Studiare perché? A cosa serve? Il capitalismo banditesco, di cui anche oramai soffriamo anche noi, per alcuni godiamo, è assolutamente pervasivo. Sta abitando le menti dei giovani. Si ha un bello sgolarsi nelle aule cercando di insegnare e produrre cultura quando lo studio non ha più riscontro nel sociale. Quando i modelli di successo sono arricchiti con attività solo estetiche, banditesche e di sfruttamento reale e diretto dell’uomo sull’uomo.

Basterebbe leggere uno dei tanti testi che dichiarano il declino dell’Italia e smetterla di prendersela con i numeri: il ‘68, il ‘77. Ma come si vuole che la scuola sia diversa dal resto della società e delle istituzioni nazionali? E basta con storie assurde ed inutili: occorre sostanza. Nella scuola non è possibile essere liberi di insegnare, e sono prima gli insegnanti assieme agli studenti che ne soffrono, non a causa di un rimasuglio ribellistico, ma per la montagna di stupida burocrazia che vive in essa. Basterebbe tagliarne un po’, fare luce ed aria nelle aule - magari prima ristrutturarle e/o costruirle -, dare più soldi agli insegnanti, alla struttura.

Ma se si vuole recuperare la scuola denunciando storture, che ci sono, passando per la reintroduzione di grembiulini ed affini, oppure valutando grazie ad autovalutazioni, non riusciremo certo a nulla. Un po’ come una puntura di spillo sulla pelle dell’ippopotamo. Fra l’altro stando alle valutazioni in voti la scuola in meridione rifulge. E’ dal manico che si vede come le cose vanno. Il riflesso dei problemi sociali è anche negli uomini che hanno responsabilità verso l’istituzione. Ma se l’unico obiettivo è quello di tirare a campare e di risparmiare allora forse, più radicalmente, - suggeriamolo a Tremonti, potremmo risparmiare tantissimo non andando più a scuola, semplicemente abolendola.