Home > Il punto. Berlusconi vede ricchezza e lusso ovunque: forse frequenta i posti (…)

Il punto. Berlusconi vede ricchezza e lusso ovunque: forse frequenta i posti sbagliati

Publie le domenica 17 luglio 2005 par Open-Publishing

Il Bengodi del premier

Il punto. Berlusconi vede ricchezza e lusso ovunque: forse frequenta i posti sbagliati

di Nane Cantatore

Avere un presidente del consiglio come Silvio Berlusconi presenta i suoi vantaggi: per quante sciocchezze ci si immagina possa dire, riesce sempre a stupirsi. L’ultima è quella sulla ricchezza di questo Paese, che vivrebbe nel benessere, in cui circolano auto di lusso, le autostrade e i ristoranti sono pieni, i ragazzini, almeno quelli che vanno a scuola con suo figlio, hanno due telefonini a testa. Facciamo finta che sia tutto vero: che in Italia circolino davvero più auto di lusso che nella media dei Paesi europei, che i ristoranti - e non le trattorie a basso prezzo, ma tutto quel profluvio di wine bar fighetti aperti negli anni Novanta che oggi fanno la fame - siano davvero pieni da scoppiare, che le autostrade siano un unico serpentone di lamiera senza soluzione di continuità, che i compagni di classe dell’erede siano tutti un trillo di cellulare.

Cominciamo proprio da questi ultimi: posto che i telefonini non sono esattamente un bene di lusso, la loro altissima diffusione dovrebbe comunque essere una manna per le numerose aziende italiane che li producono. Solo che non ce n’è neanche una, da quando la Telit ha raggiunto il poco invidiabile record di essere la sola azienda produttrice di cellulari ad andare a gambe all’aria. Passiamo alle auto, allora, che quelle sì sono un simbolo di lusso. Pagato a rate, magari, con soluzioni di finanziamento che, di fatto, assomigliano più al noleggio a lungo termine che all’acquisto, ma indubbiamente lussuose; solo che, quando si parla di auto, è meglio non parlare di Fiat, nome che forse una volta evocava l’industria automobilistica italiana, oggi è sinonimo di crisi. Lasciamo perdere trattorie e autostrade, che saranno pure piene oggi, ma che lo erano anche trent’anni fa, all’epoca delle gite fuoriporta e della famigliola in lieto pellegrinaggio verso le pensioni adriatiche: benessere, sicuramente, per l’Italia degli anni Sessanta che usciva dalla guerra e dalla fame, non certo per quella che dovrebbe essere un’economia pienamente sviluppata all’inizio del Ventunesimo secolo.

Al di là delle ironie, tanto facili quanto inevitabili quando si commentano le dichiarazioni dell’Unto, va detto che su una cosa il nostro ha ragione: i consumi, in Italia, tengono. Detta così sembra una buona notizia, solo che vanno aggiunti due elementi: la tradizionale scarsa propensione al consumo degli italiani, che rende difficile tirare la cinghia più di tanto, il fatto congiunturale che in questi anni si è resa disponibile una vasta gamma di prodotti ad alta tecnologia e basso prezzo (telefonini, computer, home theatre e così via), e soprattutto del fatto che questi consumi siano sostenuti soprattuto da una crescita dell’indebitamento personale. Sono anni, ormai, che il credito al consumo registra una crescita a doppia cifra (l’anno scorso è stata superiore al 14 per cento); il fatto in sé non è negativo, dato che i livelli di indebitamento degli italiani sono ancora molto al di sotto della media dei paesi europei più avanzati, ma diventa un po’ più preoccupante se, nonostante l’impennata delle rate e degli altri tipi di finanziamenti, i consumi restano più o meno stabili, anzi, tendono pure a contrarsi un po’.

Insomma, non ci si indebita per fare un salto di qualità, per investire in qualche modo sul proprio futuro, ma solo per mantenere un tenore di vita accettabile, con tutte le difficoltà che ciò può comportare. E questo ancora potrebbe andare, se questi acquisti sostenessero l’economia italiana, se il tessuto produttivo fosse in grado di soddisfare una domanda mediamente evoluta, come quella espressa dai consumatori italiani, con prodotti soddisfacenti. Se, insomma, all’accesso al credito per i consumi corrispondesse un’adeguata erogazione di credito per gli investimenti. Ma non è così, e telefonini, auto e quant’altro non sono la prova di quanto siamo ricchi e capaci di spendere, ma di quanto siamo poveri e incapaci di produrre.

http://www.aprileonline.info/articolo.asp?ID=5640&numero=304