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Il sintomo dell’infezione

Publie le giovedì 7 giugno 2007 par Open-Publishing
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LO SPETTACOLO andato in scena al Senato è una danza macabra per il Paese, autolesionista per il Palazzo. Il governo salva la ghirba. La maggioranza c’è e si mostra compatta nell’approvare il comportamento dell’Esecutivo nell’"affare Speciale".

Tirato il sospiro di sollievo, appare difficile tirare avanti come se non fosse successo niente o poco. Perché quel che è accaduto, in questi giorni, è ben più grave di una indecorosa rissa politica. È uno scricchiolio della nostra democrazia. Un comandante generale della Guardia di Finanza - appena ieri "sempre agli ordini" della discrezionalità di Giulio Tremonti e oggi scorretto, sleale, opaco con il nuovo governo, come sostiene il ministro Padoa-Schioppa - scatena un conflitto contro l’Esecutivo in carica.

E collabora, laboriosissimo, alla preparazione di una trappola politica, favorita da qualche mossa grossolana del vice-ministro Visco e soprattutto, diciamo così, dall’amore per il quieto vivere del governo.

L’interesse pubblico di questo affare non è nel cinismo del generale - fin troppo tardi rimandato a casa - né nella sua spregiudicata affezione alle fortune della destra a cui ha piegato la funzione pubblica e la dignità di soldato. Quel che più conta e preoccupa è che l’opposizione ritiene di usare questo imprudente ferro di bottega per manomettere l’equilibrio politico e disarcionare il governo eletto appena un anno fa.

Che il centro-destra di Silvio Berlusconi ci riproverà è, purtroppo, una facile previsione. Il programma immediato dell’opposizione, a giudicare questo "caso Speciale", sembra prevedere la sostituzione del confronto politico con una "guerra" di rivelazioni scandalistiche, notizie manipolate, campagne di stampa alimentate da segmenti di apparati dello stato che si mettono al servizio di un interesse politico.

Questa strategia l’abbiamo sotto gli occhi da anni. Le bufale Telekom Srbija e Mitrokhin non sono state altro. Altre bufale possono venire. Sono in giro nel sottosuolo del "mercato della politica" muffe e tossine che basta raccattare e gettare in faccia all’avversario accompagnando il gesto con un’adeguata grancassa mediatica. L’alambicco può distillare umori maligni a ogni passaggio critico del dibattito pubblico. Se ne è avuta una conferma, appena ieri, con il frammento di un dossier calunnioso per Massimo D’Alema.

Organizzato da una grande agenzia di investigazione americana (Kroll) sulla base di "informazioni" raccolte dall’intelligence italiana, è stato diffuso dagli spioni della Telecom e consegnato - accreditato e ingrassato a dovere - di nuovo alla nostra intelligence. Dio solo sa che ci ha fatto o intendeva farne. Un test in più (come se ce ne fosse bisogno) della presenza nel sottosuolo del Palazzo di un network legale/clandestino incardinato in ambienti del Sismi di Nicolò Pollari, nella Security della Telecom, in agenzie d’investigazione private, disponibile a un lavoro di pressione, condizionamento e ricatto.

Gattino cieco ieri mentre il network prosperava, il centro-sinistra oggi guarda al dito e non vede la luna. Indeciso a tutto, tentato dal compromesso, diviso al suo interno, debilitato dal tarlo ossessivo della sua debolezza, confonde l’allarme pubblico per quella presenza illegittima con una critica ai suoi passi. Vede fantasmi ad ogni angolo. Non si risolve ad intervenire con decisione, come dovrebbe, là dove si addensano le ombre e le propaggini di quella minaccia che ha lasciato colpevolmente incubare. Non si accorge che l’"affare Speciale" è un sintomo. Quanto meno della paralisi in cui può essere precipitato il governo e il Paese.

Ma, più probabilmente - e peggio - è l’annuncio di una stagione infetta che soltanto una decisione irresponsabile può consentire all’opposizione di sposare e soltanto alle timidezze della maggioranza di non prevenire con energia.

Il sistema politico - l’intero sistema politico, il centro-sinistra come il centro-destra - appare sordo e cieco dinanzi al pericolo, prigioniero di una litigiosità autoreferenziale, che non sembra mai incontrare il bene pubblico e l’interesse generale. Nessuno attore politico - se non qualche mosca bianca - sembra comprendere che la radicalità del conflitto ingaggiato non avrà un solo vincitore, ma tutti perdenti.

La crisi di credibilità verso le élite di governo - ha ragione D’Alema - può spingere il Paese verso una deriva dove le quote di sfiducia per la politica (oggi, sette italiani su dieci) non possono che aumentare. Non si può che essere scoraggiati e preoccupati. La qualità del dibattito, vissuto quotidianamente come uno "scontro tra civiltà", spinge gli uni contro gli altri a testa bassa. Persuade i due schieramenti a ritenersi e a proporsi come il solo luogo abitato da opinioni politiche compatibili con il quadro democratico. Una convinzione che lascia immaginare la propria sconfitta come un evento catastrofico.

Questa contesa che non prevede prigionieri caccia in un canto la politica, le responsabilità pubbliche, le sfide e le urgenze del Paese. Lascia emergere soltanto il peggio. Fino a lasciarsi tentare - come è avvenuto al centro-destra di Silvio Berlusconi - di servirsi delle rivelazioni truccate di un generale per abbattere un governo. Ci fermeremo qui?

Nell’interesse di tutti, dei cittadini e di chi li governa, conviene fermarsi qui. Le mura di una democrazia così giovane non sono indistruttibili.

(7 giugno 2007)

http://www.repubblica.it/2007/06/sezioni/politica/polemica-gdf/sintomo-infezione/sintomo-infezione.html

Messaggi

  • Speciale rischiò il posto per «qualche bomboniera»

    Accusato di peculato, il generale poteva perdere la nomina al comando generale della Gdf.

    Ma il tribunale lo assolse e la procura militare non si oppose

    Sara Menafra da "Il Manifesto" del 6.6.07

    L’ha ripetuto anche ieri sera a Porta a porta, il generale Roberto Speciale. Il comando della guardia di finanza è stato l’apice della sua carriera (l’amico Pollari ha sperato di arrivare in quella posizione per tutta la vita senza mai riuscirci) e dunque preferisce ritirasi in pensione avendo quello come ultimo incarico. Chissà se mentre pronunciava questa frase al microfono di Bruno Vespa per un attimo ha pensato a quando, quattro anni fa, quel posto di comandante stava per sfuggirgli di mano per sempre. Tutto per colpa di una inchiesta della procura militare di Roma di cui, oggi come allora, preferisce non parlare.

    E’ la primavera del 2003 e il generale è ancora sottocapo di Stato maggiore dell’ Esercito quando la procura militare lo accusa di peculato militare. Speciale ha usato i fondi destinati alle «spese di rappresentanza» per pagare una parte della sua festa per i venticinque anni di matrimonio. Dei regali, un po’ più di semplici bomboniere. La distrazione di fondi non è enorme, siamo nell’arco delle decine di migliaia di euro, ma certo il fatto in se è antipatico, soprattutto perché a compierlo è stato il sottocapo dello Stato maggiore.

    Dunque la procura militare procede e Roberto Speciale viene rinviato a giudizio. Chiede un procedimento abbreviato in modo che la notizia non varchi le mura degli uffici di viale delle Milizie ed augurandosi che la discussione sia, se non indolore, almeno il più possibile rapida. A sorpresa, però, più o meno nei giorni in cui il governo Berlusconi sta valutando se seguire l’indicazione del direttore del Sismi Nicolò Pollari e nominarlo a capo della guardia di finanza, il gup che ha in mano il suo fascicolo decide di proscioglierlo. La scelta del magistrato è decisiva: la carriera di qualunque militare ad ogni livello è per legge congelata finché ci sono carichi penali pendenti. L’assoluzione invece toglie Speciale dai guai e consente al governo di nominarlo senza problemi: un provvedimento annunciato già alla fine del luglio 2003 anche se la nomina vera e propria avverrà il 16 ottobre dello stesso anno.

    Nella vicenda il generale Speciale è pure decisamente fortunato. La procura militare di Roma decide di non ricorrere in appello contro la sentenza del gup. A chi non ha memoria di quanti casi di peculato siano avvenuti tra i militari può sembrare strano, ma il gup romano ha argomentato la sua decisione spiegando che non si può dimostrare che il generale abbia agito «dolosamente» usando i fondi di rappresentanza della Difesa per festeggiamenti esclusivamente personali. E davanti ad una motivazione del genere la procura militare decide che è meglio non insistere: il ricorso in appello sarebbe rischioso e probabilmente inutile, meglio fermarsi qui. Ripulito dalla macchia e senza dibattimenti di secondo grado da scontare il generale Speciale ottiene la nomina a comandante della guardia di finanza.

    • IL DOCUMENTO. "Nessuna intimidazione del viceministro
      che ha operato nel pieno rispetto dei suoi compiti di indirizzo"

      "Un comandante inaguato e sleale"

      Ecco il dossier che accusa Speciale

      di CARLO BONINI da "Repubblica" 7.6.07

      LA DESTITUZIONE del Comandante generale della Guardia di Finanza Roberto Speciale ha un premessa. E’ un documento di ventidue cartelle, redatto dal viceministro dell’Economia Vincenzo Visco e da lui rassegnato, la scorsa settimana, a Romano Prodi e al ministro Tommaso Padoa Schioppa. Dà conto delle ragioni di una scelta politica. Svela di quale grana sia fatto questo affare. Quali manipolazioni e omissioni hanno deturpato la catena di fatti accaduti tra il luglio 2006 e le tre settimane appena trascorse, perché potessero piegarsi ad una campagna di aggressione.

      Propone almeno sei evidenze di grave infedeltà e reiterata inettitudine di Speciale ("gestione personalistica del Corpo; discutibile politica degli encomi; slealtà con l’autorità politica; incapacità di garantire la riservatezza di carteggi interni al Corpo e con il viceministro; attribuzione fiduciaria degli incarichi; inadeguatezza nella scelta dei collaboratori").
      Il che torna a sollecitare domande sin qui inevase. A un ufficiale di tale fatta era opportuno, come il governo ha fatto, offrire uno scranno alla Corte dei Conti? Perché è rimasto al comando per oltre un anno senza che il governo trovasse la forza di avvicendarlo?

      Il documento, dunque.
      E’ il 9 giugno 2006. Visco ha ricevuto le deleghe per la Guardia di Finanza soltanto 48 ore prima e il generale Roberto Speciale si presenta al nuovo padrone politico per omaggiarlo con la testa di "un nemico", certo di guadagnarne immediatamente i favori. "Il Comandante generale - scrive Visco - mi prospettò per prima cosa l’opportunità di avvicendare il capo di Stato maggiore, il generale Spaziante, il quale, a suo dire, gli era stato imposto dal precedente ministro".

      Che Emilio Spaziante (già comandante della Guardia di Finanza in Lombardia) e Giulio Tremonti siano annodati a doppio filo lo sanno anche i sassi. E toglierselo di torno è una mossa utile a far passare il piano di avvicendamenti che la accompagna. Il 26 giugno, infatti, Speciale torna da Visco. "Mi presentò un’ipotesi di impiego di generali e colonnelli piuttosto ampia. Nel prospetto erano previsti, tra gli altri, avvicendamenti presso gli importanti comandi di Roma, Torino, Bologna, Firenze e Cagliari, ma non di Milano".

      Visco non abbocca. "Sconsigliai la rimozione di Spaziante da capo di Stato maggiore, che infatti rimase al suo posto, sia perché poco motivata, sia per evitare che potesse essere interpretata come una decisione politica del nuovo governo. Mi riservai di esprimere un parere sulle proposte di trasferimento, sia per maturare le giuste convinzioni, sia per meglio comprenderne i criteri".

      Cominciano consultazioni "informali". Visco discute "con il comandante in seconda, generale Italo Pappa, con il generale Sergio Favaro, che avrebbe assunto lo stesso incarico dopo pochi mesi, con il generale Emilio Spaziante, capo di stato maggiore, con il suo sottocapo, generale Paolo Poletti, con il generale Mariella, già capo di stato maggiore durante il primo governo di centro-sinistra".

      Ne esce un quadro allarmante. "Pappa e Favaro lamentavano una gestione personalistica del Corpo" (per dirne una, Speciale ha rimosso in un colpo solo l’intera catena di comando dell’Emilia durante il "caso Parmalat"), "un non sempre puntuale rispetto delle regole, una mancanza di valutazione e consapevolezza delle conseguenze giuridiche delle decisioni assunte. Forte era la polemica in relazione alla politica degli "encomi" (spesso "solenni" a singoli ufficiali di grado elevato), perché influenzava i lavori della Commissione speciale di avanzamento (le promozioni di carriera ndr.) e avveniva spesso senza rispettare le procedure e senza conoscenza pubblica delle ragioni di quelle concessioni, dei loro beneficiari".

      Si arriva così al nodo di Milano. "Emersero alcune valutazioni negative, in particolare nei confronti del generale Forchetti (delfino di Spaziante, uomo di Pollari ndr.), comandante regionale della Guardia di Finanza in Lombardia che, secondo il generale Favaro, non presentava un’adeguata corrispondenza ai requisiti richiesti per l’incarico, non avendo seguito il corso superiore di polizia tributaria". E ancora.

      "Emergeva che sia il generale Forchetti, che altri ufficiali, erano stati impiegati per molti anni in Lombardia e/o Milano. Il generale Forchetti, prima a Milano come capo centro Lombardia del II Reparto (l’intelligence della Finanza ndr.), poi comandante del gruppo a Milano, poi comandante provinciale e infine comandante regionale. Il colonnello Lo Russo, comandante dal 2002 al 2004 al comando provinciale di Milano era stato riassegnato, evento davvero inconsueto, dal 1 giugno 2006 allo stesso comando, dopo un periodo trascorso, sempre a Milano, dal luglio 2004 al maggio 2006 come comandante del Nucleo regionale di polizia tributaria".

      Ma, soprattutto, "le informazioni arrivate al mio Gabinetto da altre fonti interne al Corpo" sollevavano "ulteriori dubbi sulla permanenza degli stessi ufficiali, nella stessa sede, per l’inevitabile cristallizzazione di amicizie e di conoscenze con ambienti dell’economia, della politica e dell’informazione".

      Per Visco, ce n’è abbastanza per suggerire "legittimamente" di sciogliere il grumo. Sappiamo ormai quel che accade di lì in avanti. Sappiamo che Speciale trova nell’ex nemico Spaziante un alleato nelle mosse che cova. Sappiamo dell’incontro Visco-Speciale del 13 luglio. Della disponibilità di Speciale ad avviare i trasferimenti il giorno successivo. Delle due tempestose telefonate (il 14, a Bari e il 17 luglio, "in viva voce", a Roma) tra il viceministro e il comandante generale quando appare chiaro al primo che il secondo lo prende in giro. Delle due lettere del procuratore Minale (una di giugno, una di luglio), ricevute da Speciale e taciute a Visco. Della notizia battuta dall’Ansa la notte del 16 luglio che della trappola è spia ("Caso Unipol, azzerati i vertici della Guardia di Finanza in Lombardia").

      In quel luglio del 2006, mentre continua a mentire a Visco, Speciale prepara la tenaglia che lo deve stritolare. Insieme a Spaziante, si fa ascoltare dall’Avvocatura generale di Milano (tacendo volutamente la circostanza al generale Ferraro, comandante interregionale responsabile per il nord-Ovest), quindi promuove un esposto alla procura militare di Roma.

      Un anno dopo, fa esplodere il caso e torna a mentire, soprattutto nel dare conto del contenuto delle sue telefonate con il viceministro. Che scrive: "Non feci nessuna indebita pressione. Non avanzai alcuna minaccia. Non consegnai alcun "foglietto" con i nomi degli ufficiali da trasferire. Ed infatti tale "foglietto" non è mai stato esibito, pur essendo il comandante generale persona che ha dimostrato rara attenzione a particolari e dati, fino al punto di annotare l’orario delle telefonate fatte ascoltare in viva voce, se non addirittura registrate. Non feci alcun riferimento a Unipol, le cui indagini, del resto, erano condotte dal Nucleo di polizia valutaria di Roma". Padoa-Schioppa e il governo di tutto questo traggono le conseguenze: "Il viceministro ha agito nel pieno rispetto sia delle prerogative dell’autorità politica e dei compiti di indirizzo ad essa spettanti, sia degli interessi della Guardia di Finanza e dell’autorità giudiziaria".

      (7 giugno 2007)

  • A me sembra una lotta tra bande tutta interna ad un sistema di potere, in cui è sempre più difficile capire chi sta a destra, chi sta a sinistra, chi sta al centro e chi sta dove gli pare !! La senzazione è che l’obiettivo della contesa sia esclusivamente il come e in che proporzione spartirsi le spoglie del Paese, facendo definitivamente fuori quel poco che resta di democrazia e di walfare state.
    MaxVinella