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Il tesoretto e la fine del modello redistributivo

Publie le lunedì 27 agosto 2007 par Open-Publishing
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Dai ringhi della Lanzillotta a quelli di Letta, la notizia di un secondo surplus delle entrate fiscali, quest’anno, ha subito visto la maggioranza di centro-sinistra posta sotto ingenti pressioni perché le nuove risorse finanziarie vengano adoperate a copertura di un alleggerimento della pressione fiscale. La tempestività e l’energia di questi interventi sono sembrati un’azione preventiva perché la sinistra "radicale" non avanzasse pretese di utilizzo del "tesoretto" per incrementare la spesa sociale in favore dei ceti più deboli.

In un’ottica di riformismo forte (non sono tutti riformisti in questo governo?), il surplus rappresenterebbe un’ottima occasione per la riqualificazione della spesa pubblica. Utilizzare il gettito in sovrappiù per l’abbattimento del debito permetterebbe di liberare negli anni a venire risorse finanziarie che non dovrebbero più essere usate per pagare gli interessi e potrebbero invece essere poste a copertura strutturale delle autentiche priorità di bilancio del nostro paese. La ricerca scientifica e una seria politica di edilizia popolare, finalmente a livello europeo, sono i primi due temi che vengono in mente. Ma non andrà così. La spinta alla riduzione del carico fiscale si è fatta talmente irresistibile che all’abbattimento del debito verrà preferito qualche abbassamento delle aliquote fiscali, l’Ici, verosimilimente.

Prendendo atto che l’attuale governo ha deciso di inseguire la destra sul terreno della riduzione della pressione fiscale occorre analizzare il paradosso di un ceto medio che, pur vedendo erodersi di anno in anno la sua posizione (in un contesto di crescita lenta, ma non certo di recessione), continua a sostenere elettoralmente un centrosinistra che ha definitivamente abdicato al principio della redistribuzione del reddito, di cui il fisco è lo strumento cardine.

E’ vero, senza dubbio, che dalle elezioni politiche dello scorso aprile vi è stata una caduta verticale di consensi, sintomo di una grave crisi di credibilità di questa maggioranza. Ma non bisogna sottovalutare le potenzialità di recupero che le alchimie della propaganda possono riuscire a cogliere in una futura competizione, anche senza il mutare delle condizioni di fondo e strutturali della crisi di consensi dell’attuale maggioranza. Per non escludere una tutt’altro che improbabile ipotesi di larghe intese che vedrebbe il nascente Partito Democratico aprire ad una politica di alleanze con Forza Italia, il CCD e AN.

A scanso di equivoci, dato che è da stupidi prendere sul serio gli economisti di regime alla Giavazzi o alla Salvati e le loro ricette, va precisato che il rigetto di politiche redistributive da parte del centrosinistra va attribuito solo alla sua funzione di comitato d’affari della borghesia (cioè dell’alta borghesia) che tutt’ora continua a garantirgli l’appoggio, tra gli altri, del Corriere della Sera. Ma i comitati d’affari sono utili finché possono esercitare l’azione di governo, e per questa è necessario un certo grado di consenso elettorale che, nel caso del centro-sinistra, proviene da ceti curiosamente inclini al masochismo e al suicidio sociale.

Cerchiamo di individuare i fattori di questa cecità. Se da Bruno Kreitsky a Olof Palme la fondamentale clausola di salvaguardia delle politiche redistributive della socialdemocrazia europea era che la pecora (cioè il contribuente) va tosata ma non uccisa, l’arte di governo del comitato d’affari che attualmente guida il paese — e che con la socialdemocrazia di Palme, Brandt e Kreitsky non ha da tempo più niente a che fare — prevede che i ceti medi vadano portati sul lastrico, ma il processo deve essere sufficientemente lento da evitare che se ne accorgano prima che sia troppo tardi.

Le condizioni fondamentali di questa operazione sono:

1. L’indottrinamento incessante dell’opinione pubblica in base alla nozione che il mantenimento dei suoi attuali livelli di benessere dipende dalla crescita economica; e che questa, a sua volta, è inversamente proporzionale ai livelli di prelievo fiscale. Che il primo punto sia un’assurdità logica, e che il secondo non abbia alcuna vera prova empirica a sostegno non importa.

2. La percezione diffusa del carattere scadente dell’amministrazione pubblica (vero specchio della classe politica) che dovrebbe fornire i servizi finanziati con il fisco. In un mondo in cui nessuno ama pagare le tasse, questo è un motivo in più perché la gente si ponga seri dubbi sulla convenienza economica dell’intermediazione dello stato nella gestione del reddito. Se chi dovrebbe difendere il welfare e le politiche redistributive va in giro a dire che è meglio diminuire le tasse per tutti la gente ci crede volentieri.

3. L’assenza sull’arena politica di qualunque importante soggetto politico che urli forte che il re è nudo. Ciò include la cosiddetta "sinistra radicale" che non solo è organicamente legata alle forze politiche che fanno da volano a questa regressione del modello economico-sociale, ma in occasione dei tesoretti non avanza che richieste ispirate ad un principio di regalia clientelare che serve a dimostrare (sul modello della mensa dei poveri) che tenere in parlamento i Bertinotti, i Migliore, i Diliberto, i Pecoraro Scanio, i Giordano è un buon affare.

Messaggi

  • Ne inserirei una quarta, portata avanti dalla cordata Mieli - Stella e c., e cioe’ la battaglia mediatica sui privilegi della classe politica, tutta tesa a oscurare ulteriormente ogni informazione su quali sono le vere lobby e le loro politiche oligarchiche. I privilegi dei politici sono una diretta conseguenza delle politiche oligarchiche della confindustria, banche, fiat, etc., etc. e non viceversa.

    • Giusto, ma le denunce di Gian Antonio Stella hanno il brutto difetto di basarsi sui fatti, e i fatti alla lunga difficilmente si adattano alle manipolazioni. Mieli e la sua cordata avranno anche pensato di usare questo ulteriore strumento di pressione sulla classe politica — soprattutto del centro-sinistra — per vincerne le ultime resistenze. Ma intanto i cittadini capiscono meglio cosa è il Palazzo e perdono, o cominciano a perdere, le proprie illusioni. Insomma mi pare un’arma a doppio taglio.

      Gianluca Bifolchi

  • LA PENISOLA DEI TESORETTI (fonte: RipensareMarx)

    “All’ordine facite ammuina, chi sta a prua vada a poppa e chi sta a poppa vada a prua; chi sta a destra vada a sinistra e chi sta a sinistra vada a destra; chi sta sottocoperta salga, e chi sta sul ponte scenda, passando tutti per la stessa scala; chi non ha niente da fare, si dia da fare qua e là.”

    Ecco come descrivere al meglio il bailamme inscenato dalla destra e dalla sinistra istituzionali ogni qual volta si tratta di mettere a punto un’iniziativa politica o economica degna di tale nome. Appena scattano i rimbrotti dell’UE o del FMI tutti s’affrettano, sudaticci, ad affollare il ponte della nave, a dimostrare che loro lavorano per riportare l’Italia nel solco tracciato dagli organismi internazionali, i quali dicono sempre la stessa cosa: tagliare! Tagliare! Tagliare! E il coro degli asini di casa nostra ripete all’unisono che taglieranno tutto pur di restare fedeli alle leggi imperiture dell’economia mondiale. Ma da questi due schieramenti, che si fanno acerrimi nemici solo quando devono accaparrarsi le cadreghe e i benefici che derivano dall’occupazione delle cariche pubbliche, non potrà mai venire nulla di buono.

    Per questi loschi avvoltoi lo stesso sostantivo “politica” ha da tempo smesso il suo originario riferimento etimologico al buon governo della polis per indossare le stanche vesti dell’azzuffata quotidiana attraverso la quale viene dissimulata una diversità di obiettivi che non esiste affatto. Questi due schieramenti continuano a farsi portatori di istanze ideologiche diverse (neoliberismo a destra e neokeynesismo a sinistra, con sfumature pseudostatalistiche nella cosiddetta ala estrema), efficacemente descritte da Gianfranco la Grassa nell’articolo di oggi e anche in saggi precedenti, ma entrambi si affidano a pratiche clientelari della peggior specie (similmafiose, come le definisce appunto La Grassa) per allargarsi come piovre nella vita sociale del paese, instaurando notabilati di ogni ordine e grado (basti guardare come si sono moltiplicati gli enti parastatali in questi anni) con i quali continuano a spartirsi il bottino sottratto agli italiani.

    Naturalmente lo scenario di oggi è molto diverso da quello del Regno di Napoli (che non arrivò mai a tali livelli di putrescenza) e gli “ammuinamenti” non hanno più la natura di quelli richiesti dalla Real Marina del Regno delle Due Sicilie alla ciurmaglia pelandrona che si affaccendava solo durante le ispezioni ordinate dalle Alte Autorità del Regno.

    Abbiamo più volte detto chi comanda oggi nel “pauvre pays” e cioè quel connubio nefasto che vede legate Grande Finanza e Industria Decotta, le quali grazie all’incapacità delle nostre classi politiche possono permettersi di fare il cattivo e il cattivissimo tempo in tutte le italiche questioni. Oggi questi gruppi dominanti si servono della sinistra per concretare il loro saccheggio ai danni del paese, ma non hanno ancora abbandonato il sogno di un grande calderone moderato dove potersi muovere con più maestria limitando quella rissosità (derivante dalla eterogeneità delle coalizioni che sino ad oggi si sono alternate al governo) che spesso fa venire a galla i loro turpi piani.

    Così ogni occasione è buona per inscenare un movimento di superficie che non smuove di un acca la palude di problemi nella quale l’Italia si trova invischiata, anzi c’è un peggioramento costante che sfaglia le basi d’argilla sulle quali il paese è costretto a vacillare da più di un quindicennio.

    Dalla riforma elettorale, ai pacs-dico, all’immigrazione, sino alla riforma del sistema previdenziale è tutto un correre alla rinfusa per dare la sensazione del movimento mentre la barca affonda implacabilmente.

    Adesso si ritorna a parlare dell’extragettito fiscale e di altri 4 mld di euro che il governo avrebbe a disposizione per fare “qualcosa”, ma già i cani da guardia degli organismi monetari e bancari che siedono nell’esecutivo di Centro-Sinistra, mettono le mani avanti sostenendo che non dovranno esserci rincari nella spesa pubblica.

    Tutto questo nonostante il capo del governo, a giugno, aveva sostenuto che i conti pubblici erano finalmente indirizzati sulla strada che porta all’appianamento, tanto da lasciar credere agli allocchi della sinistra radicale che l’agognata apertura del portafoglio a favore dei settori sociali più deboli fosse questione di pochi mesi. Ora, invece, si torna a parlare di una spesa sociale che cresce e di una evasione che “azzanna” lo Stato. In realtà, fa tutto parte di quel gioco al massacro, ordito dai nostri governanti, per fomentare la solita guerra tra poveri. Infatti, se la spesa cresce, come dicono lorsignori, i settori svantaggiati possono mettersi l’anima in pace perché non potranno avere nulla di più dello zero che hanno fin qui ricevuto. Nel frattempo continuerà la stretta sul mondo delle partite IVA e delle piccole imprese, responsabili di non contribuire abbastanza alle spese della casta e dei suoi padroni della GF e ID.

    Come si può ben comprendere, anche quest’ultima caccia al “tesoretto” l’hanno già vinta Montezemolo e soci, con buona pace della ditta Bertinotti & Figli.