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Il vero "cupio dissolvi", quello di chi mal sopporta Liberazione

Publie le mercoledì 22 ottobre 2008 par Open-Publishing
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Il vero "cupio dissolvi", quello di chi mal sopporta Liberazione

di Stefano Cristiano, Segretario Regionale PRC Toscana

Il dibattito su Liberazione è evidentemente intrecciato con la discussione interna ed esterna al PRC. Leggo in questo contesto con stupore e amarezza il fondo di Ritanna Armeni sul nostro giornale. Ciò che mi ha colpito non è la preannunciata rudezza stilistica che a mia volta mi permetto di utilizzare, quanto gli assunti francamente faziosi e strumentali dai quali, una compagna che apprezzo sia sulla carta stampata che in televisione, fa discendere le proprie riflessioni.

C’è qualcuno che vuole chiudere Liberazione? Si qualcuno c’è!

Sicuramente lo vuole Giulio Tremonti sia per risparmiare un po’ di soldi, che per cancellare un giornale comunista. Ma a mio parere lo vuole anche un soggetto insospettabile, ovvero l’attuale direzione del giornale dal momento in cui, rivendicando il calo più o meno contenuto delle vendite come un successo di gestione, si erge tetragona contro qualsiasi ipotesi di cambiamento. Presto di successo in successo arriveremo sicuramente alla chiusura del quotidiano. Invece posso dire per certo chi Liberazione non la vuole chiudere, e sono i compagni come il sottoscritto che, quando Sansonetti e Armeni ancora lavoravano per altre importanti testate, hanno faticato a costruire dal nulla prima un settimanale e poi un quotidiano, che veniva diffuso in modo militante in migliaia di copie da centinaia di compagni.

Al contrario la compagna Armeni suggerisce, nel suo articolo/requisitoria, che l’attuale gruppo dirigente del PRC (ricordo per la cronaca che Ferrero è stato eletto Segretario 3 mesi fa e la segreteria è in carica da 1 mese), ignorando “aperture, passioni e inevitabili errori” starebbe scientemente perseguendo, in un inarrestabile “cupio dissolvi”, la chiusura di Liberazione, il licenziamento del direttore, la normalizzazione del libero pensiero, la Siberia per redattori e chissà quale altra orribile nefandezza.
In questo senso vorrei esprimere con chiarezza (e rudezza), il mio pensiero: in realtà un cambiamento di rotta è necessario proprio per salvare Liberazione. Mi domando: è solo una mia impressione o al di la degli attestati di stima e solidarietà riportati sulle nostre pagine, i militanti, gli iscritti, i simpatizzanti non comprano e non leggono più il nostro giornale?

E’ solo una mia impressione o molti dei nostri compagni non sentono più Liberazione come una cosa propria, per cui valga la pena passare la domenica mattina in fondo ad una piazza, o in giro per le case a fare diffusione militante? E’ vero o no che ormai al di fuori di un circolo ristretto di lettori e ceto politico sempre più autoreferenziale, il nostro giornale non è più, se mai lo è stato, patrimonio di lavoratori, studenti o insegnanti? E’ questo il Partito, parafrasando Armeni, che non ama più il giornale e che drammaticamente sta decretando la sua fine, ed è a quel Partito che dobbiamo guardare per rilanciare il nostro quotidiano, e non continuare a sparare a palle incatenate negli androni di Via del Policlinico.
Ma non voglio sfuggire ad una serie di elementi di merito. Qui non è in discussione la legittimità per un giornale di criticare le scelte del Partito. Ci mancherebbe altro.

Anzi fa piacere che la furia iconoclasta sia finalmente esplosa negli ultimi mesi dopo anni che chi, come me, era collocato all’opposizione della linea del Partito, poteva solo misurare la quantità di volte in cui il nostro (di tutti) giornale faceva da megafono spesso acritico al Segretario di turno. Se questo è un pezzo di innovazione ne sono felice. Tanto per essere chiari, a me non scandalizza affatto, anzi ritengo che sia segno di libertà ed intelligenza, che la redazione del mio giornale esprima preferenze per una linea diversa da quella uscita maggioritaria dal Congresso di Cianciano. Ciò che suscita rabbia e frustrazione è leggere che per legittimare tale preferenza si distorca il pensiero altrui, per cui ecco che una linea di rilancio del PRC per costruire l’opposizione sociale a governo e CONFINDUSTRIA, si trasforma nell’acritica adesione alle posizioni di Di Pietro; ecco che la legittima richiesta di veder rispettate le proprie opinioni, si traduce in un attacco all’autonomia dei giornalisti.

Ma la parte onestamente più illuminante dell’articolo è quella secondo la quale l’attuale linea del giornale, sfidando il potere incombente dei marxisti leninisti che guidano il partito, “apre vie nuove, accompagna e scandalizza…” ! Quale coraggio, che eroismo, è infatti palmare ed evidente a tutti che oggi non ci sia niente di più eretico e contro corrente che sostenere il superamento del PRC. Continuate così, épater le bourgeois… Nel frattempo il potere, quello vero, quello che cancellando i comunisti vuole affermare definitivamente la propria egemonia politica e culturale, ringrazia.

Infine, Sansonetti chiede a Burgio, in tono vagamente inquisitorio, se egli ritenga o meno giusto rinnovare la direzione del giornale. Premetto che a mio parere i destini di un qualsiasi giornale non si debbano legare a quelli di un direttore, per quanto bravo. Quante volte nella storia dei comunisti, e anche in quella recente del PRC si è identificata l’organizzazione con il suo “Leader”? Siamo d’accordo o no che questa è una patologia che contrasta con la nostra idea di partecipazione e democrazia diffusa? Se questo è vero per il partito lo è a maggior ragione per il giornale. La domanda da porsi è quindi un’altra: la direzione del giornale oltre ad esprimere liberamente le proprie opinioni è disponibile a dare un’informazione non di parte ed a sostenere, spiegare e rendere comunque comprensibile la linea del partito ai propri lettori? E’ disposta ad aiutarci a superare una volta per tutte il congresso, senza continuarlo sotto altre forme, incanalando tutte le nostre energie sulla ricostruzione del Partito e della Sinistra? Questo è il nodo da sciogliere, perché a differenza di Armeni, il cupio dissolvi che percepisco io non è quello di un gruppo dirigente che non sopporta il suo giornale, bensì quello del giornale che non sopporta più il proprio partito.