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Da aprile on line
Usa, un voto col trucco
Gli Usa sono prossimi al voto, ma le regole elettorali del secolo scorso non sono più adatte ad un paese in continua trasformazione
Tra meno di una settimana sapremo (forse) chi sarà il nuovo presidente degli Stati Uniti. Intanto i sondaggi, nonostante l’entrata in campo di Clinton nella campagna elettorale, volgono al peggio per il candidato democratico.
Secondo il sito che giornalmente rileva tutti i principali sondaggi e ne fa una media proiettando il risultato sui voti del collegio elettorale, electoral-vote.com, Bush dispone attualmente di 285 (su 538) voti, tra favorevoli e molto favorevoli, e Kerry di 247, mentre ancora restano da assegnare i sei voti dell’Arizona, dove l’ultimo sondaggio del 25 ottobre ha dato un risultato esattamente alla pari tra i due candidati maggiori (48% e 1% a Nader). Ma i giochi non sono ancora fatti perché in otto stati la differenza tra i due candidati è di meno di tre punti percentuali, uno scarto che rientra nelle possibilità di errore statistico; tra questi Wisconsin, Ohio, Florida, Iowa e West Virginia con un leggero vantaggio per Bush e Pennsylvania e Colorado con un leggero vantaggio per Kerry.
Mentre così aspettiamo con il fiato sospeso di sapere chi sarà il prossimo “governatore del mondo” possiamo soffermarci su alcune stranezze del sistema con cui verrà eletto il due novembre prossimo. Già, perché il due novembre e perché di martedì? Quella data, definita “election day” perché in essa si svolgono contemporaneamente, ad anni pari, le elezioni presidenziali (ogni quattro anni), quelle per la Camera dei rappresentanti (ogni due anni) e quelle di metà del senato (ogni due e ogni quattro anni: il mandato di un senatore dura sei anni), fu stabilita per la prima volta nel 1845.
L’intento era quello di favorire l’affluenza alle urne in quello che era allora un paese prevalentemente agricolo; il mese di novembre, dopo il raccolto di autunno e quando ancora non faceva troppo freddo e le strade erano percorribili, sembrò il mese migliore perché gli agricoltori si mettessero in viaggio. E perché martedì? Perché, non potendo viaggiare per motivi religiosi di domenica, molti avrebbero dovuto partire il lunedì per arrivare ai seggi di martedì.
Si sa che l’elezione presidenziale è un’elezione indiretta in cui vengono eletti i “grandi elettori”, che eleggeranno a loro volta il presidente (ma non subito: il mese dopo nelle rispettive capitali statali); i quali grandi elettori, che compongono il collegio elettorale, vengono eletti stato per stato in base a norme diverse: nella maggior parte degli stati vige la regola, rigorosamente maggioritaria, del “primo piglia tutto”, vale a dire il candidato che ha la maggioranza relativa prende tutti i grandi elettori assegnati a quello stato; in alcuni stati (Maine e Nebraska) c’è una correzione del sistema in senso proporzionale (un elettore per distretto), mentre in uno stato (Colorado) è stato promosso un referendum per assegnare i grandi elettori in modo proporzionale. Vale la pena ricordare che se il sistema del Maine e del Nebraska fosse in vigore per tutti gli stati, nel 2000 sarebbe stato eletto Gore al posto di Bush.
Si sa che i grandi elettori sono 538. Perché? Perché la costituzione dice che debbono essere uguali alla somma dei deputati e dei senatori, ma non inferiori a 3 per ciascuno stato; così, siccome i deputati sono 435 e i senatori 100, tre grandi elettori sono assegnati a Washington D.C., che non ha né deputati né senatori (è governata direttamente dal Congresso) e si raggiunge il numero di 538. Ogni dieci anni inoltre, a seguito del censimento della popolazione, si ridistribuiscono tra gli stati i grandi elettori, con correzioni che hanno anche precise implicazioni politiche. In base al censimento del 2000, che ha registrato gli spostamenti della popolazione residente, hanno ricevuto un maggior numero di grandi elettori gli stati a maggioranza repubblicana, come il Texas, e un minor numero quelli a maggioranza democratica, come New York. Questo ha aggravato la distorsione che è all’origine del sistema.
Poiché la costituzione fissa il numero minimo di grandi elettori in tre, gli stati con una popolazione molto piccola (gli stati agricoli del centro e del nord prevalentemente repubblicani) si trovano avvantaggiati rispetto a quelli più popolosi (gli stati urbani delle due coste prevalentemente democratici), con un rapporto che va da un grande elettore per 165.000 abitanti nel Wyoming a un elettore per 616.000 abitanti nella California.
A queste distorsioni bisogna aggiungere la diffusa pratica del “gerrymandering”, termine del linguaggio politico americano che risale ad un governatore del Massachussetts, Elbridge Gerry, che nel 1812 aveva ridisegnato i distretti elettorali del suo stato così da farli sembrare una “salamandra” (da cui gerrymandering). Perché? Perché con un’accorta ridistribuzione dei confini dei distretti è possibile isolare l’opposizione in alcuni in modo da fare vincere i propri candidati in altri, oppure, al contrario, diluire il voto dell’opposizione così che venga sistematicamente battuta in tutti i distretti.
E poiché le leggi elettorali vengono fatte nei singoli stati da assemblee legislative controllate da uno o dall’altro partito, in sintonia con il governatore dello stesso partito, si vede facilmente quanto alto è il potenziale di distorsione delle libere elezioni, nonostante una famosa sentenza del 1962 della Corte suprema che, contro le discriminazioni razziali, sentenziò l’aureo principio “un uomo un voto”.
Tutto ciò per dire che, comunque vadano queste elezioni, il sistema elettorale americano, come molti studiosi di quel paese vengono affermando da anni, ha grande bisogno di essere riformato.
La prima potenza industriale del mondo non può continuare a funzionare con un sistema di regole ideato per una società agricola; i “padri fondatori” credevano molto nella libertà, ma erano assai scettici nei confronti della democrazia come la intendiamo oggi: temevano lo strapotere delle masse, la volatilità dell’opinione pubblica e avevano ideato un sistema democratico più adatto a consentire l’esercizio del potere da parte di una oligarchia illuminata che non delle masse popolari. Oggi, forse, è tempo di cambiare.
[Stefano Rizzo]




