Home > In Libano senza armi
di Riccardo Troisi
Mentre la politica tradizionale discute sull’opportunità dell’intervento militare in Libano e di regole di ingaggio, si rende forse più evidente quello che molti pacifisti pensano da tempo: occorre al più presto riprendere un confronto serio e comune all’interno di quello che chiamiamo "movimento della pace". L’occasione dell’incontro di Assisi, in programma il 26 agosto, potrebbe forse rappresentare una prima tappa per iniziare a definire alcune priorità sulle quali concentrarci, partendo dal lavoro fatto dalla delegazione italiana in Libano durante i giorni del conflitto.
La Risoluzione della Nazioni unite 1701 tanto attesa, lascia infatti molti interrogativi irrisolti, ma almeno ha fermato le barbarie di questa guerra che ha visto come obiettivo centrale il terrore sui "civili". Il protagonismo dell’Italia in questa vicenda può rappresentare un primo segnale di inversione di tendenza nella politica estera, solo se da seguito ad un percorso di coerenza e reale strategia di costruzione della pace che allontani le troppe ambiguità che possono caratterizzare la nostra presenza in quell’area: ricordiamoci che siamo il primo partner commerciale con il Libano e tra i primi esportatori di armi nel medioriente.
Per questo dobbiamo chiedere al nostro governo azioni concrete che, tra l’altro, devono prevedere: l’interruzione immediata dell’accordo di cooperazione militare con Israele e l’attivazione presso la comunità internazionale di un embargo di armi delle parti in conflitto; l’impegno affinché sia attivata una commissione internazionale per verificare le violazioni dei diritti umani nel conflitto tra Libano e Israele e nei territori palestinesi tra cui l’uso di armi non convenzionali, come richiede anche Amnesty international; il massimo impegno e trasparenza nella gestione degli aiuti e della ricostruzione favorendo in particolare il sostegno diretto alle le reti e coordinamenti di Oorganizzazioni non governative libanesi e palestinesi che, senza distinzione di appartenenza, stanno facendo fronte comune impegnandosi per l’accoglienza e l’assistenza ai profughi e agli sfollati.
È evidente che l’invio di un contingente militare in Libano non può rappresentare la soluzione ai diversi problemi che affliggono quell’area, per questo oltre ad assicurare una forza Onu con un mandato di peacekeeping preciso [regole d’ingaggio non offensive e assicurando una reale neutralità] occorre proporre la presenza sul territorio di una forza civile non armata capace di occuparsi di tutte le necessità che non possono essere espletate da un impegno militare.
Ma soprattutto occorrerà adoperarsi realmente per riattivare un processo di pacificazione immediato rispetto alla questione israeliano-palestinese, che rappresenta la chiave di volta per fermare questo stato di guerra permanente che affligge da decenni quella terra insanguinata e ridare una vera speranza di pace a quei volti esausti dalle violenze.