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Indignamoci di più

Publie le martedì 9 settembre 2008 par Open-Publishing

Indignamoci di più

di Marco Sferini

La restaurazione avanza, ma non siamo nel 1815, bensì in un 2008 tutto moderno, tutto preso da una crisi economica che, a detta di Jean Claude Trichet, dovrebbe rivolgersi in ripresa con i primi mesi del prossimo anno. Ma la malasorte dei numeri delle borse non è l’unica preoccupazione che dovremmo avere: certo, da questa dipendono i rapporti politici e sociali delle grandi potenze e dei poli capitalistici che si sono strutturati in questi ultimi cinquant’anni nelle varie parti del mondo. Eppure c’è qualcosa che sfugge anche alla struttura economica, che diventa una conseguenza delle conseguenze e che, quindi, finisce con l’essere elemento di secondo ordine rispetto alle guerre, alle fibrillazioni di Piazza Affari o dei vari indici di conteggio del valore delle azioni.

C’è tutta una società che, spinta dalle condizioni sempre più indigenti in cui versa, è circuita da una attenta lettura delle paure e delle ansie, di tutte quelle forme fobiche che ci attraversano quando ci vediamo minacciati, quando siamo a tu per tu con i problemi relazionali col nostro vicino di casa e, per evitarli, l’unica cosa che sappiamo fare è sbattere la porta e dare la massima chiusura di giri con la serratura. E’ quello che stiamo facendo con la ripetitiva e paranoica ossessione che il governo ci trasmette con le sue politiche securitarie. E’ quello che stiamo facendo quando si consuma un reato e non proferiamo parola se i giornali scrivono a seconda della nazionalità del reo: se una violenza sessuale la compie un italiano, di solito viene scritto: "Cinquantenne abusa di una donna". Ma se la stessa violenza è attribuibile ad uno straniero, ad un albanese, ad un rom, eccetera, allora i giornali titolano: "La belva", con magari sotto al titolo la foto gigante del presunto colpevole.

Noi permettiamo tutto questo col nostro silenzio, con il nostro pensare: "Beh, tutto sommato sono solamente titoli giornalistici che vanno alla ricerca del sensazionalismo per vendere qualche copia in più.". Questo assunto, che mi è capitato di sentir fare da molte persone, nasconde non tanto un menefreghismo colpevole perché non ci dispone al mettere mano alla tastiera di un computer o alla vecchia carta e penna per rispondere al giornale dicendo quello che pensiamo, ma semmai è un pensiero colpevole perché è giustificazionista, perché non si pone in nessun caso il passo della responsabilità che ognuno di noi ha nell’evitare la deriva culturale e sociale di questo nostro Paese, della società che si è venuta creando dal 1945 in poi, quando la stagione felice della vittoria partigiana ci rese liberi, e ci fece vivere tali per almeno cinquant’anni.

Abbiamo smesso, in pratica, di esercitare una azione civile, quella che a scuola ci insegnavano come "educazione civica", che derivava proprio dalla Costituzione della Repubblica, dall’impossibilità che un poliziotto o un carabiniere fermasse dei giovani di sinistra, comunisti o meno che fossero, e, analizzando superficialmente il loro abbigliamento li apostrofasse malamente come "zecche di merda".

Ad indignarci siamo rimasti in pochi e, ogni giorno che passa, la sensazione è che il quorum di questa residua capacità di repulsione verso l’autoritarismo e il sopruso (singolo o collettivo che sia) diminuisca progressivamente fino a rasentare la soglia di una minoranza assoluta.

Non è un caso, infatti, se i sondaggi - strumenti ai quali crediamo quando sono positivi per la nostra parte e verso i quali nutriamo scetticismo se ci offrono numerazioni da prefisso telefonico - dicono che le due forze politiche più populiste, Lega Nord e Italia dei Valori, sono ad oggi quelle che farebbero il balzo in avanti: la prima solleticando l’11% dei voti, la seconda arrivando ad una soglia massima dell’8,5%.

Si è aperta in questi giorni in Rifondazione Comunista una discussione sulla partecipazione o meno alla manifestazione che il Partito Democratico terrà a Roma il 25 Ottobre prossimo: Veltroni garantisce l’apertura di una stagione di opposizione a Berlusconi. In fondo ha ragione, perchè almeno sino ad ora l’opposizione parlamentare del PD è stata molto leggera nei confronti del governo delle destre, lasciando spazio ampio ad una ricerca del dialogo con il Popolo della Libertà sulle riforme istituzionali, sulla legge elettorale per le elezioni europee e su temi importantissimi come il refrain martellante sulla sicurezza che, tradotto in un linguaggio di verità, altro non è se non la difesa o meno dei diritti costituzionalmente previsti per ciascuno di noi.

Rifondazione Comunista, dunque, discute se partecipare o meno alla manifestazione? A dire il vero è una parte del PRC che si interroga su ciò: Nichi Vendola e la sua nuova area politico-culturale "Rifondazione per la Sinistra" stanno valutando se unirsi a Veltroni e amici quel giorno su una piattaforma però "di sinistra".

Siccome è difficile fare una manifestazione con due piattaforme distinte, e siccome risulta molto complessa, almeno a quanto ci sembra di poter vedere, una intesa tra Rifondazione Comunista e PD su una serie ampia di tematiche, è giusto e lecito domandarsi cosa voglia dire affiancare alle parole d’ordine che il PD porterà in piazza altre parole d’ordine. Non le stesse, ma "di sinistra".

L’esercizio dell’opposizione può vedere un cammino comune della sinistra: ecologista, socialista, comunista. Ma come può sommare il programma politico di Veltroni con quello che chiede una alternativa inequivocabile al governo del Mercante in fiera di Arcore?

La confusione sociale, il lassismo civile e il permissivismo che si ha verso un certo potere è anche figlio di una ambiguità della politica che consente a chi fa la voce più grossa di cantare meglio e di farsi sentire più lontano. La vera anti-politica è proprio questa e fa faville sulla stanchezza delle nostre sconfitte, sulla demoralizzazione generalizzata che ci prende quando ci ripetiamo che non abbiamo voce in Parlamento e che siamo condannati ad un futuro, prossimo o remoto che sia, di apatia, di marginalizzazione coatta e di espulsione da tutti gli enti istituzionali.

Ci siamo dichiarati sconfitti e abbiamo fatto una analisi ampia sulle cause della sconfitta politica, sociale e morale della sinistra e di noi comunisti. Ma non siamo ancora sul limitare della nostra storia. Siamo dietro ad un triste primato negativo: a quello della riduzione dei comunisti a poche migliaia di unità negli anni più bui della dittatura fascista. Ma esistono ancora dei tempi di recupero, delle occasioni di riemersione e una fiducia che non va smarrita nei confronti dei giovani.

Forse dovremmo avere più indignazione per quanto succede, saltando sulle nostre sedie e muovendoci ogni volta che accade qualcosa che riteniamo ingiusta, sia che essa nasca da un eccesso di uso del potere di polizia verso un ragazzo o verso un migrante; sia che nasca dal fastidio che un giornale comunista come Liberazione parli più degli altri giornali delle questioni di genere, del sesso, della diversità e di come questa sia stata trattata prima e dopo Stonewall.

Se la nostra analisi politica va nella direzione della distinzione dei diritti tra primari e secondari, allora la destra ha già vinto e per molto tempo. Nella discriminazione sessuale come nel contratto di lavoro nazionale non rinnovato c’è il germe di una grande ingiustizia. Figlia dell’ignoranza l’una, figlia dell’accumulazione profittuale la seconda.

Indignamoci, indignamoci tanto. E’ oggi l’antibiotico migliore contro l’influenza dell’omologazione, contro la malattia moderna che rende immuni da quella solidarietà che per noi comunisti resta la nostra bella stella polare.