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Innovare la sinistra: una sfida per tutti

Publie le martedì 22 aprile 2008 par Open-Publishing

Innovare la sinistra: una sfida per tutti

Giovanni Russo Spena

Dobbiamo imparare a riconoscere la società. Siamo stati troppo partito di opinione e istituzionalista. Il nodo è se di fronte all’inasprirsi della crisi sociale sarà la destra populista a vincere, oppure se saremo in grado di ricostruire forme di solidarietà, di conflitto, di movimento capaci di ricostruire una identità e una utilità sociale della sinistra

Il Comitato Politico Nazionale ha chiuso una prima fase, aspra, di discussione dopo una sconfitta catastrofica che ha pesantemente addolorato, ferito la nostra comunità e noi stessi. Sono sicuro che la fase congressuale, che si apre, supererà incomprensioni emotive e metterà a fuoco i temi reali.

Non ci divideremo, come voci interessate e capziose vorrebbero dare ad intendere, tra "innovativi" e "conservatori". Non arretreremo di un palmo rispetto ai faticosi e straordinari processi di innovazione che abbiamo vissuto come paradigmi fondativi della nostra identità politica (nonviolenza, critica del potere, internità ai movimenti). Anzi, dovremo con maggiore attenzione indagare il terreno decisivo dell’efficacia dell’azione politica dentro e contro gli evidenti processi di "americanizzazione" della società.

Bisognerebbe, per comprendere il contesto, rileggere il Marx del "18 brumaio". Nel voto operaio alla Lega vi è la metafora di un conflitto di classe che, dalla paura della globalizzazione, viene deviato verso il sicuritarismo, il giustizialismo. È un voto d’ordine (da quello alla Lega a quello a Di Pietro) che, come dice Bonomi, esprime un "rancore" di una società che si fa di stampo bavarese. Per questo è importante che la sinistra si relazioni di nuovo ai territori, con una identità forte, con una visione del mondo che si fa politica, un oltrepassamento sia dell’ideologismo che del pragmatismo.

Credo molto alle esperienze del neocomunitarismo democratico, con un "saper fare" sociale che assuma i contorni di una nuova "confederalità dal basso". Sono cambiati i territori, i quartieri, le composizioni sociali. Dobbiamo imparare a riconoscere la società. Siamo stati troppo partito di opinione ed istituzionalista. La nostra sconfitta storica, infatti, non è avvenuta in una fase di stabilizzazione economica e sociale; salario, precarietà, ristrutturazione mercantile del welfare, aggressione del territorio e sua militarizzazione, proibizionismi, sono destinati ad aumentare.

Il nodo è se di fronte a questo inasprirsi della crisi sociale sarà la destra populista a vincere scatenando la guerra tra poveri, oppure se saremo in grado di ricostruire forme di solidarietà, di conflitto, di movimento capaci di ricostruire una identità e una utilità sociale della sinistra.

Vogliamo, quindi, rilanciare il PRC come corpo collettivo. Ogni ipotesi di dissolvenza e superamento sarebbe inefficace e sbagliata. Il PRC è strumento, peraltro, necessario ma non sufficiente. I due termini non delineano uno spazio geometrico ma una cultura politica da cui siano banditi tanto il settarismo quanto il liquidazionismo. Ci poniamo, da subito, il compito di riaggregare il campo della sinistra. La sinistra politica è più ampia dei soli comunisti; e le forme concrete di impegno a sinistra vanno ben oltre quelle codificate dall’appartenenza ad un partito. Movimenti, comitati, collettivi, associazioni, militanza sindacale, vertenze territoriali ed ambientali: mille sono i modi in cui si fa politica oggi a sinistra. Occorre partire subito con un percorso di riaggregazione, senza verticismi e scorciatoie politiciste. Perché la sinistra può nascere solo come strumento di partecipazione, solo se le sue organizzazioni sono guidate da principi democratici e dalla trasparenza, senza il predominio degli apparati, con le loro logiche di cooptazione. L’innovazione non è uno slogan; è una sfida. Dobbiamo affrontarla tutti insieme.