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Intervista a Franca Mulas. Morti bianche "Non basta dire è stata una disgrazia!"
Publie le giovedì 31 luglio 2008 par Open-PublishingMorti bianche. "Non basta dire è stata una disgrazia!"
di Giulia Fresca
su altre testate del 31/07/2008
Intervista a Franca Mulas
Franca Mulas con una lettera apparsa oggi sulla prima pagina di Liberazione da sfogo alla sua rabbia verso una giustizia che non c’è. Una Giustizia che non vuole condannare i responsabili che con la loro condotta hanno contribuito a privarla nel giro di 15 mesi prima del figlio ventiduenne e poi del marito. La signora Franca, lo scorso 7 luglio, ha scritto quella lettera di getto a Marco Bazzoni, in un momento di sconforto e di solitudine. Oggi l’abbiamo raggiunta al telefono e, come spesso accade, la voce racconta molto di più di quanto si possa scrivere in decine di fogli.
Una voce non rassegnata, né arrabbiata ma determinata ad andare avanti per rendere giustizia alla memoria dei suoi cari, ma non solo. Tre giorni fa è diventata nonna di una splendida bimba e ciò le ha rigenerato quell’energia che in questi otto lunghi anni si stava ormai esaurendo.
Quel momento di sconforto si è trasformato dunque in una nuova carica ed oggi Franca Mulas chiede fermamente che non si perda tempo, che si faccia chiarezza, che sia fatta giustizia.
Signora Franca la sua lettera è un urlo pieno di dolore, rabbia e sfiducia. Verso chi?
Verso lo Stato, verso coloro che non tutelano quanti, alzandosi la mattina all’alba si recano a compiere il loro dovere per mantenere la famiglia. Contro quelli che non hanno rispetto della morte e trincerandosi dietro le procedure cercano di trovare vizi e difetti delle vittime. Mio figlio aveva 22 anni....L’ho potuto vedere dopo 5 giorni, vestito ancora con gli abiti da lavoro sporchi di sangue. Mi hanno fatto il terzo grado per sapere se bevesse, se si drogasse.. mio figlio non fumava e non beveva nemmeno il caffè. Non ho mai capito tutte queste domande indagatorie nonostante gli abbiano effettuato l’autopsia e soprattutto dopo che egli è morto alle 8 del mattino mentre era sul lavoro, non uscendo da una discoteca. Le chiamano morti bianche, li chiamano eroi, però di solo se ne parla per 5 minuti al telegiornale poi scende il silenzio. Il silenzio di tutto e di tutti.
Prima suo figlio Luciano, poi suo marito Gianfranco. Un destino comune ma un iter processuale diverso. Perché?
Perché mio figlio quel mese non era stato assicurato. Il datore di lavoro, per mettersi a posto lo ha fatto qualche giorno dopo la sua morte e l’assicurazione si è rifiutata di pagare il risarcimento. La mia rabbia è dovuta al fatto che quel signore ha continuato a lavorare come se nulla fosse accaduto, ed ancora oggi, dietro a dei prestanome, è sempre sui cantieri. Io dico che quello che è accaduto a mio figlio ed a mio marito può succedere a chiunque: è per questo che chiedo che si attuino tutte le forme di controllo reale. Se ne parla soltanto, si fanno proclami e qualche fiaccolata ma di concreto sui cantieri a controllare non ci va nessuno.
Il problema però è anche il sistema giudiziario?
Si. Ho speso oltre 100.00 euro per gli avvocati, per sentirmi dire, nell’aula del tribunale: «l’udienza è rinviata a ..». Per la morte di mio figlio, il datore di lavoro è stato dichiarato colpevole ma di fatto non sta scontando nessuna pena e nessun risarcimento, nemmeno morale è giunto per quella vita spezzata a 22 anni. Per mio marito siamo all’ennesimo rinvio, per il prossimo 6 novembre, ed ho paura che ancora una volta si possa protrarre l’udienza fino a gennaio tanto da essere archiviata per decorrenza dei termini. La prima sentenza ha dichiarato: troppi colpevoli e quindi processo da rifare, adesso si rischia che tutti ne escano fuori senza colpe.
Cosa chiede?
Voglio che le persone che hanno sbagliato e che hanno responsabilità per la morte di Luciano e di Gianfranco, siano punite. Chiedo solo questo, perché venga rispettata la loro dignità di lavoratori ma soprattutto di persone.
Come sono stati questi anni? Chi ha avuto a fianco?
I miei figli ed una coppia di amici. Nessuno altro. Sembravamo degli appestati, tutti si sono allontanati ed io sono rimasta sola. Senza la forza di Gianfranco, senza il mio Luciano e con 5 figli da tirare su. Il più piccolo aveva 11anni. Ora è un uomo più di quanto non lo impone la sua età. Io vivo per loro, per i miei figli e per mantenere viva la memoria del padre e del fratello.
Da oggi deve aggiungere la sua nipotina. La vita continua come la sua battaglia?
È una gioia immensa che mi incita ad andare avanti. Non mi fermerò e continuerò ad chiedere giustizia finché avrò voce. Grazie a chi, come voi, non dimentica, non solo chi muore, ma soprattutto chi resta, rimane accesa la speranza che in Italia le cose possano cambiare e che la giustizia non sia solo ad uso e consumo dei governanti, dei ricchi e dei potenti. La vita continua, si, anche la mia battaglia, ma il processo deve finire con la sentenza di condanna dei responsabili. Non basta dire: «è successo, è stata una disgrazia!». Non basta che se ne parli. Occorre una reale consapevolezza che chiunque, la mattina si rechi al lavoro lo fa per apportare valore aggiunto e ricchezza e non per aumentare la lista di un bollettino di guerra.