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Intervista al segretario del Prc Franco Giordano

Publie le venerdì 4 agosto 2006 par Open-Publishing

«Due sfide per Rifondazione: Medioriente e Finanziaria»

di Angela Mauro

«Il timone è saldo, la direttrice è quella della collegialità e della partecipazione: dobbiamo riprendere la gerarchia dei nostri impegni, troppo oscurata da un problema interno». Prima della pausa estiva, al termine di un periodo «importante e impegnativo» al governo con l’Unione, Franco Giordano parla così ai militanti di Rifondazione Comunista. Sottolineando i «risultati positivi» dei primi mesi del nuovo esecutivo, che ha gettato le basi per un «cambiamento della politica estera italiana» e ha varato provvedimenti rivoluzionariâ come il dl Bersani e l’indulto («misura di umanità»), il segretario del Prc evidenzia le mancanze del neonato governo: «Stiamo lavorando bene, ma dobbiamo avere capacità di relazione e consenso sociale. Finora non abbiamo avuto tempo di tessere questa tela, abbiamo ereditato un disastro dal precedente governo. Ma ora si cambia registro. E’ sull’ancoraggio sociale che si determina l’identità del governo dell’Unione e solo con questa base è possibile l’ipotesi di allargamento della maggioranza in Parlamento, altrimenti non si può».

Come emerge Rifondazione da questi primi mesi al governo, impegnativi soprattutto sul versante della politica estera?

In questi mesi importanti e impegnativi, Rifondazione ha coagulato un gruppo dirigente che adesso esprime una solidarietà umana e politica molto grande. Lo si vede dalla relazione politica molto forte tra chi è impegnato al governo, i gruppi parlamentari e le realtà territoriali del partito. La maggioranza è più stabile, si è allargata e c’è un consenso più forte. Ora bisogna costruire le condizioni per continuare a dialogare. Dobbiamo riprendere la gerarchia dei nostri impegni che io vedo oscurata da un problema interno. I punti su cui lavorare sono tre. Primo, l’iniziativa sulla pace in Medio Oriente: bisogna fermare il governo di Israele, riprendere i negoziati con tutte le parti in causa, determinare l’immediato cessate il fuoco. Secondo: la battaglia economica e sociale in vista della Finanziaria. Terzo: la battaglia per continuare nell’innovazione e nella costruzione di una nuova soggettività politica, la Sinistra Europea, anche con la conferenza di organizzazione».

La questione Afghanistan è stata centrale rispetto al problema interno al Prc di cui parlavi. Come guardi al futuro del dibattito interno con le minoranze e dell’impegno del partito al governo?

Il percorso democratico è la garanzia per la tenuta di una comunità politica. Il dissenso è legittimo se non è frutto di identità statiche, ma se è una modalità di scambio di reciproco interesse. Io la immagino così una comunità politica. Anche dal punto di vista umano, io guardo sempre alle modalità dell’altro: una volta definito un percorso democratico, si può continuare a dissentire, ma è necessaria unità sul voto, specie quando questo voto costruisce la relazione con la coalizione di governo ed è determinante per mantenere la tua linea politica. Chi in Parlamento ha deciso di votare in dissenso sull’Afghanistan mi ha fatto molto male: non c’è nulla di più violento di un voto contrario che produca un contrasto con un percorso democratico e sancisca una incomunicabilità. Sull’Afghanistan si è prodotta una indistinguibilità delle nostre posizioni da quelle di chi ha dissentito così amplificata da costituire un problema per la affidabilità del partito che, attenzione, non espunge il conflitto. Non siamo un partito di lotta e governoâ perché quell’espressione indicava la lottaâ come sostegno al governo. No, noi, con il bagaglio della lezione dei movimenti, usiamo il governo come uno degli strumenti per trasformare la società.

Si può, si deve andare avanti con il governo dell’Unione. Correzioni di rotta?

Noi per primi abbiamo sollevato il problema dei poteri forti che puntavano a condizionare e ridurre il peso del nostro partito e della sinistra di alternativa nella coalizione per renderla compatibileâ con i loro obiettivi. A conferma della nostra tesi, in campo si sono materializzate due opzioni: l’allargamento della maggioranza sulla base del suo programma oppure la grande coalizione, come è già accaduto in Germania, che tradirebbe l’esperienza dell’Unione, snaturerebbe la coalizione, sarebbe la fine dell’alternanza e della possibilità di costruire l’alternativa. Ecco perché la proposta del presidente della Camera Fausto Bertinotti di ampliare la maggioranza sulla base del programma dell’Unione è il più grande anticorpo alla materializzazione dell’ipotesi di grande coalizione. E’ una opzione che dice: costruiamo noi come Unione una proposta di respiro politico alto, una prospettiva che sia in grado di interloquire con chi vuole sfuggire alla logica di coazione a ripetere delle politiche liberiste.

Modello Marchionne?

Sì. C’è una parte, seppur piccola, della borghesia industriale italiana che ha compreso che non si può più investire sulla competizione dei prezzi, sulla produttività attraverso la riduzione del costo del lavoro e la precarietà. Questa è stata la politica delle destre che ha prodotto il declino del paese ed un massacro sociale. Oggi bisogna costruire un’alternativa molto chiara e netta: questa è la natura del compromesso dinamico con la cosiddetta borghesia buona. In questo senso il contratto dei metalmeccanici è significativo: indica che bisogna investire sulla qualità dell’innovazione e sulla ricerca e che non si può più continuare con la politica dei bassi salari. Su questa idea-forza si può disarticolare l’opposizione e allargare la maggioranza di governo. E’ necessario però l’ancoraggio sociale dell’azione riformatrice del governo, perché lì si determina l’identità sociale dell’Unione. Solo così si può fare l’allargamento. Insomma, finora il governo non ha avuto il tempo di farlo, anche perché abbiamo ereditato un disastro da precedente governo, ma ora si cambia registro. Per esempio, saremo protagonisti delle battaglie sul Dpef e sulla Finanziaria perché si avvii la politica del risarcimento. Ma su questo terreno sappiamo che l’interlocuzione con il mondo del lavoro è decisiva.

Sguardo rivolto alla società italiana, ma anche al Mediterraneo?

Bisogna guardare ai paesi del Mediterraneo e ricostruire una politica di pace. Mi ha colpito l’ultima tragedia degli sbarchi di immigrati a Lampedusa, l’immagine dei due fratelli abbracciati su una barca della speranza. Mi sono chiesto quante volte hanno guardato alle nostre coste con un sogno nella mente? Per questo non possiamo più fargli trovare nella nostra terra un cpt invece dell’accoglienza.

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