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Invito all’astensione, aperta un’inchiesta

Publie le giovedì 9 giugno 2005 par Open-Publishing

La procura di Roma indaga sugli «appelli» di Casini e Pera. Potrebbe esserci anche la campagna di Ruini

Nessun inquisito I documenti dei pm non contengono ipotesi di reato specifiche. Una norma del 57 limita le richieste di non voto di SARA MENAFRA, ROMA Il fascicolo c'è. La procura di Roma l'ha aperto qualche giorno fa. Il procuratore generale Giovanni Ferrara, però, ieri mattina, ha messo subito i puntini al loro posto: «E' un fascicolo senza ipotesi di reato. In sostanza contiene quasi esclusivamente l'esposto arrivato la scorsa settimana». Sarà, ma quel che conta, in questi ultimi giorni di campagna referendaria, è che gli inviti all'astensione del presidente del Senato Marcello Pera, del suo collega alla Camera Pierferdinando Casini e forse persino del cardinale Camillo Ruini siano finiti in un fascicolo d'indagine. Che l'«indurre all'astensione» da parte di pubblici ufficiali o ministri di culto fosse un reato punito dalle leggi italiane l'aveva scritto il professor Michele Ainis (ordinario di Istituti di diritto pubblico) in un editoriale su La Stampa meno di una settimana fa. E molti, cattolici ma anche referendari moderati, gli avevano urlato contro improperi di vario genere. «Astensione, a ministri e prelati vietata la propaganda» era il titolo del commento in cui il prof. spiegava che l'articolo 98 del decreto 361 del 1957 e l'articolo 51 della legge 352 del 1970 parlano chiaro. Nel testo che istituiva le leggi «elettorali» per la Camera si diceva che «il pubblico ufficiale» o «il ministro di qualsiasi culto» che «abusando delle proprie attribuzioni e nell'esercizio di esse» «si adopera» ad «indurre gli elettori all'astensione» «è punito è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire 600.000 a lire 4.000.000». La legge che nel70 ha istituito il referendum abrogativo ha ribadito il concetto: all’art. 51 stabilisce semplicemente che quelle disposizioni «si applicano anche con riferimento alle disposizioni della presente legge».

La norma parla di pubblici ufficiali e ministri di culto che commettano l’abuso «nell’esercizio delle loro funzioni». Se Pera e Casini siano «in servizio» quando annunciano urbi et orbi che non voteranno, lo decideranno i magistrati qualora l’inchiesta andasse avanti.

Nel caso dei membri della Cei, dei singoli sacerdoti o del cardinale Ruini, invece, la faccenda si fa complicata, quantomeno perché è difficile sostenere che in alcuni momenti un sacerdote «non» è in servizio. E infatti a finire nelle pesti per quella legge del `57 nel corso degli anni sono soprattutto preti, anche se in tre casi su tre (prima sul referendum sul divorzio e poi su quello sull’aborto) la Cassazione decise di assolvere i preti incriminati.

Subito dopo il referendum sull’aborto tre preti finirono nei guai per aver affisso nella bacheca della parrocchia dei volantini che invitavano a votare «no» al referendum sull’aborto. Tribunale prima e Cassazione poi assolsero tutti, citando il diritto di fare campagna elettorale. Ma, come scrivono i Radicali sul loro sito (www.lucacoscioni.it) in quei casi, giudicati nell’84, «si trattava dell’ipotesi di vincolare al no gli elettori e non la differente condotta di "indurre" all’astensione». Insomma a guardar bene, la prima volta in cui questa legge potrebbe essere applicata sarebbe proprio quella di queste elezioni.

I radicali sono talmente convinti che questa legge faccia al caso loro che da giorni invitano le procure ad indagare. E il ginecologo Severino Antinori ha presentato un esposto a Roma che è finito dritto dritto nel fascicolo aperto dai magistrati. Seppur convinti assertori delle ragioni del referendum, la maggior parte dei giuristi che in queste settimane si sono espressi a favore del «sì», invece, fatica a dire che quella legge potrebbe essere applicata anche oggi.

Il senatore Massimo Villone dei Ds, ad esempio, docente di diritto Costituzionale spiega che secondo lui la campagna per l’astensione di queste settimane «deve essere combattuta politicamente e non con le denunce» e il professor Augusto Barbera, anche lui costituzionalista, la scorsa settimana aveva spiegato che quella legge «si è liquefatta col passare degli anni». Ainis, che ha ripescato la legge col suo editoriale aveva spiegato di pensarla esattamente all’opposto. Quella norma, aveva scritto, «stava sotto gli occhi di tutti, come la Lettera rubata di Edgard Allan Poe». Ma forse l’enigma del re del noir era meno complicato.

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