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Luglio 2009
MARINA FORTI
LA MATTINA DOPO IL VOTO...
Un’intensa e partecipata campagna elettorale, con grandi novità come i confronti in tv tra i candidati, e grandi speranze e poi la doccia fredda, tremenda, alla comunicazione dell’esito. Un paese fatto per due terzi di giovani, vivace e ospitale con cui il regime dovrà comunque fare i conti. intervista a Marina Forti.
Marina Forti è inviata del quotidiano “il manifesto”. Ha viaggiato a lungo in Asia meridionale e nel Sud-est asiatico.
Sei rientrata dall’Iran da pochi giorni, dopo aver assistito agli ultimi giorni di campagna elettorale e alle prime manifestazioni di contestazione dell’esito del voto. Puoi raccontare?
Dico subito che ho lasciato l’Iran perché avevo avuto un visto solo per sette giorni, e l’avevo avuto due giorni prima del voto, benché l’avessi chiesto molto tempo prima. Ero arrivata pensando: “Va beh, chiedo subito un’estensione...”, è la prassi, invece ho scoperto che tutti i giornalisti avevano avuto visti così brevi, e il giorno dopo il voto, cioè sabato, il giorno in cui riaprono gli uffici, quando sono andata a chiedere un’estensione, mi è stato risposto: “No, è stato deciso dall’alto che nessun visto verrà esteso, perché tanto non ci sarà un ballottaggio e quindi non c’è più motivo di restare qui”. Eppure normalmente venivano dati visti per quindici giorni. Comunque non sono stata espulsa, l’unico espulso è stato il corrispondente della Bbc qualche giorno fa.
Venendo alla campagna elettorale, devo dire che è stato un momento di grandissima partecipazione, di grandissimo interesse. Io ho seguito altre campagne elettorali in Iran, sempre molto partecipate, molto vivaci, ma questa lo è stata in maniera particolare, anche perché aveva inaugurato alcune novità per la vita politica iraniana. Intanto c’erano stati i confronti faccia a faccia tra due candidati in televisione, una cosa mai accaduta e che ha attratto moltissimo interesse. Ma poi c’erano state moltissime occasioni di dibattiti, confronti, manifestazioni, cortei… era come se tutti si fossero messi a parlare, e a parlare di tutto.
I confronti televisivi erano stati stupefacenti e in realtà a posteriori danno anche qualche indicazione su che cosa è successo dopo. I candidati erano quattro, grosso modo, due del campo conservatore e due del campo riformista. Nel campo riformista c’erano Mir-Hussein Moussavi e Mehdi Karroubi. I due conservatori erano il presidente uscente, Mahmud Ahmadinejad e Mohsen Rezai, un ex comandante dei Guardiani della rivoluzione, una persona molto interna all’apparato di sicurezza del regime, che si è schierata contro Ahmadinejad, attirando fra l’altro i voti di molti conservatori.
Una cosa che si sottolinea poco è che Ahmadinejad, che pure ha un indubbio consenso in Iran, in realtà in questi quattro anni ha governato quasi contro il Parlamento, che pure è a maggioranza della sua gente, della sua corrente; è stato ostacolato e beccato su tantissime questioni dalla maggioranza conservatrice: dalla legge finanziaria alle varie misure di politica economica; ci sono stati degli scandali, diversi ministri si sono dovuti dimettere. Insomma, pur avendo un Parlamento della sua maggioranza, in realtà Ahmadinejad ha avuto vita molto difficile.
Ma torniamo ai dibattiti. Il primo è stato appunto tra Ahmadinejad e Mir-Hussein Moussavi, che non è un uomo nuovo e tuttavia è tra coloro che durante la campagna elettorale hanno cominciato a dire che l’Iran aveva bisogno di evolvere verso forme di democrazia più certe e di mettere in pratica la sua Costituzione repubblicana (che dà ampie garanzie dei diritti umani, dei diritti civili, eccetera). Quindi in questo senso è propriamente un riformista, nel senso di una persona che si batte per un’evoluzione interna del regime. Ecco, nel primo di questi dibattiti, Ahmadinejad ha attaccato, più ancora che il suo sfidante, come sarebbe stato ovvio, Rafsanjani, grande vecchio della Repubblica islamica, presidente della Repubblica per due mandati, dall’89 al ’97, e persona molto potente, che tuttora presiede due delle istituzioni più importanti della Repubblica, il Consiglio per il Discernimento delle Scelte e l’Assemblea degli Esperti, un organismo elettivo (il primo è per nomina) di teologi, che ha il potere di nominare la Guida Suprema o di dimetterla.
Attaccare Rafsanjani è stato un colpo da maestro, dal punto di vista della campagna elettorale, perché parliamo della persona che ha avviato la fase della cosiddetta ricostruzione e della prima liberalizzazione economica dopo la lunghissima guerra Iran-Iraq, che aveva dissanguato il Paese.
In quel dibattito Ahmadinejad ha fatto accuse che non erano mai state pronunciate in televisione (magari si dicono per strada o al bar), cioè gli ha dato del ladro, corrotto, mafioso, il padrino di tutte le mafie, e questo, ripeto, è stato un colpaccio, perché sono in molti in Iran a pensare che Rafsanjani, persona molto ricca personalmente e di famiglia, sia il responsabile della drammatica crisi economica.
Questo episodio ha così svelato una lotta di potere che sta andando avanti da almeno quattro anni -dietro le quinte- tra Rafsanjani appunto, e la Guida Suprema, Alì Khamenei, che è la prima autorità dello Stato e che è l’istituzione più peculiare della Repubblica islamica. In nessun’altra repubblica al mondo esiste un simile potere assoluto, per di più di ispirazione divina. La Guida Suprema ha poteri enormi. Intanto ha il controllo diretto della televisione, della magistratura, delle Guardie della rivoluzione, che sono un corpo militare professionale, dell’esercito, del Consiglio dei Guardiani (un organismo di controllo che, per esempio, convalida le candidature, il voto, le elezioni, eccetera).
Parliamo di una lotta di potere arrivata probabilmente a una resa dei conti, non solo tra due grandi vecchi della Repubblica islamica, ma soprattutto tra due blocchi di potere molto forti, espressi appunto, uno dalla vecchia guardia del clero islamico che è entrato in politica con la rivoluzione, l’altro dalla generazione di Ahmadinejad (che ha 53 anni), che durante la rivoluzione era molto giovane e che pur avendo servito nelle Guardie della rivoluzione, nelle milizie islamiche, è cresciuta all’ombra di questi grandi vecchi, di questo clero islamico rivoluzionario, e ora reclama la sua parte.
Sono i veterani della guerra Iran-Iraq, che dopo la guerra sono stati messi da parte in nome del fatto che bisognava ricostruire l’economia, far aumentare la produzione, i consumi, far circolare i soldi, eccetera, e che nel tempo hanno sviluppato una sorta di revanscismo.
La base di potere è costituita sostanzialmente dai militari, che poi in Iran vuol dire le Guardie della rivoluzione, una formazione prestigiosa e con compiti più estesi dell’esercito ordinario, che pure esiste.
In questi giorni si sono sentite nominare diverse milizie islamiche, in particolare i Basij. Chi sono?
Sono un gruppo creato durante la rivoluzione per mobilitare, o meglio per inquadrare i giovani scesi in piazza in quel periodo in modo molto spontaneo, che quindi andavano in qualche modo organizzati. E’ una specie di scuola quadri dei giovani rivoluzionari. Durante la guerra Iran-Iraq erano la milizia che reclutava i volontari per andare a combattere al fronte. Nel tempo è rimasta una milizia che recluta e che ha cellule nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro pubblici, gli ospedali, i ministeri, gli uffici pubblici, eccetera.
Far parte dei Basij non vuol dire necessariamente essere dei picchiatori. C’è la struttura paramilitare, che è quella che in questi giorni è in giro per le strade a picchiare gli oppositori e che dall’89 in poi è stata usata come strumento di ordine pubblico. Tuttavia la gran parte aderisce al movimento un po’ come si aderiva al partito fascista in Italia nel ventennio, semplicemente perché era una struttura sociale, c’era il dopolavoro, ti metteva in buona luce con i superiori...
Dicevi della grande euforia dei giorni che hanno preceduto le elezioni. Quali sono state le prime reazioni alla comunicazione dell’esito?
Teheran alla vigilia del voto era in uno stato di eccitazione grandissima perché, come dicevo, la campagna elettorale era stata tra le più libere e partecipate e aveva mobilitato grandi folle, c’erano state manifestazioni, dibattiti, discussioni. Non solo, finite le riunioni spesso i giovani la sera si riversavano tutti nei parchi a ballare, portandosi la musica, gridando slogan, quindi un momento di libertà estrema. E’ stato come se si fosse aperta una valvola.
La mattina dopo è stata una doccia fredda tremenda. La libertà che forse avevano respirato alcuni giorni prima ha reso ancora più forte la delusione. Nessuno si aspettava che Ahmadinejad vincesse al primo turno, tantomeno con un simile scarto dall’avversario. Si può discutere molto sui risultati e sulla popolarità del regime di Ahmadinejad, che non va mai sottovalutata, però quella notte sono successe una serie di cose perlomeno sospette. D’altra parte qualche giorno fa il Consiglio dei Guardiani ha ammesso che tre milioni di voti sono stati inventati.
Anche se poi lo stesso Consiglio ha affermato che non si è trattato di un’irregolarità grave. Beh, tre milioni non sono pochi, e comunque è evidente che dei maneggi sono stati fatti…
Io quella notte stavo ovviamente seguendo lo svolgimento delle elezioni, avevo mandato un articolo al manifesto in cui descrivevo il voto. Durante il giorno ero andata in giro per i seggi, in particolare nella zona sud di Teheran, quella più popolare. Teheran è una città enorme, ha circa 15 milioni di abitanti (dipende da dove si mette il confine cittadino perché ha una provincia intorno che è molto urbanizzata), ed è in qualche modo divisa tra nord e sud. La zona nord è quella più borghese, la zona sud è più modesta, abitata da lavoratori, da operai, costituita da quartieri anche estremamente poveri. Mi ero recata anche nel seggio dove andava a votare Moussavi. La cosa più interessante, a parte vedere passare lui e sua moglie acclamati da una folla che urlava il suo nome, che urlava Allahu Akbar, è stato parlare con la gente. A Teheran -questo l’ho sperimentato sempre, ma particolarmente in questa occasione- basta fare una domanda a qualcuno e immediatamente ti si forma attorno un capannello di persone, che tutte vogliono rispondere, tutte vogliono parlare, dire la propria, non ci sono né remore, né timori a dire che cosa si pensa per strada. Questo è rimasto incredibilmente vero anche nei giorni successivi, quando sono cominciate le manifestazioni dell’opposizione. La gente non aveva paura di protestare per il voto.
Comunque in questo seggio della zona sud, molte persone si lamentavano: “Facciamo fatica ad arrivare a fine mese, gli affitti costano tantissimo, l’inflazione è altissima...”. Una donna mi diceva: “Io ho fatto sacrifici per quattro anni per mandare mio figlio all’università e adesso che ha il diploma non trova lavoro, e l’altro figlio pure...”. Insomma, descrivevano una vita molto modesta e con grandi difficoltà economiche. E molte ammettevano: “Io ho votato per Ahmadinejad quattro anni fa, perché lui diceva che avrebbe fatto questo e quest’altro -il suo slogan era “Redistribuirò il reddito del petrolio sulle tavole di tutti gli iraniani”- e noi l’avevamo votato, ma poi non ha mantenuto l’impegno. E’ un bugiardo! I nostri figli non trovano lavoro, i prezzi sono sempre più alti…”.
Ora, ovviamente un seggio non fa testo, ma sono le stesse cose che mi ero sentita dire quando avevo fatto un giro più sistematico delle città satellite operaie di Teheran in occasione delle elezioni parlamentari di un anno fa.
Ma qual è effettivamente il seguito di Ahmadinejad? Si è sempre detto che lo votano le campagne e le classi meno abbienti. Tra l’altro ha aumentato le pensioni, ecc.
Istituti di ricerca che hanno fatto osservazioni più sistematiche di quelle che può fare un giornalista in qualche giorno, sostengono che, nonostante l’indubbia popolarità, la sua rielezione non era affatto scontata.
E’ vero che Ahmadinejad ha raddoppiato le pensioni, però l’ha fatto tre mesi prima del voto. Nei quattro anni precedenti ha sì distribuito dei soldi, ma l’ha fatto, dicono i critici, sempre sotto forma di una tantum, di sussidi, di sovvenzioni ad hoc. Ha molto pubblicizzato la sua misura per aiutare i giovani a trovare casa, per sposarsi, grazie a sovvenzioni sugli affitti, eccetera. Ma di nuovo si tratta di interventi a spot e spesso temporanei.
Un’altra cosa che ha fatto è stato girare moltissimo per le province, e in ogni zona, anche la più remota, quando arrivava aveva sempre promesse per tutti: “Qui finanzierò questa scuola, quel ponte, quella opera pubblica, eccetera...” Opere che sicuramente sono benvenute, che sicuramente possono servire allo sviluppo di quel centro specifico e però…
Si raccontano moltissimi aneddoti su questo suo modo. Lui arriva e chiede: “Quali sono i problemi qui?”, “I nostri figli hanno finito la scuola, ma non riescono ad andare all’università”, e lui: “Bene, allora 10 borse di studio per questo villaggio”, cose di questo genere, un po’ come un signore munifico che arriva e distribuisce.
Questa distribuzione di aiuti così irrazionale gli ha attirato critiche anche in campo conservatore. Qualche tempo fa, un gruppo di un centinaio di economisti di diverse tendenze politiche e di diversi background ha firmato una lettera comune criticando questa politica. La critica sostanziale è che non ha fatto investimenti produttivi.
Eppure Ahmadinejad è andato al governo quando il prezzo del petrolio ha cominciato a salire…
L’economia dell’Iran si regge sull’export di greggio, di petrolio e di gas, quindi lui ha avuto una vera manna. Negli ultimi due anni si calcola che l’Iran abbia incassato 280 miliardi di dollari, dall’export di petrolio. Però il prezzo del greggio è per sua natura variabile e così com’è aumentato è anche sceso.
A un certo punto hanno addirittura razionato la benzina! Cioè uno si chiede come mai un paese che produce petrolio non abbia abbastanza benzina. In realtà è perché le raffinerie industriali in cui si trasforma il petrolio in benzina, sono troppo poche. Di nuovo perché non si sono fatti interventi strutturali. Anni fa si diceva che sono poche perché molte erano state bombardate durante il conflitto, però la guerra Iran-Iraq è finita da 20 anni!
Insomma, è evidente che ci sono stati errori nella valutazione sugli investimenti da fare. In Iran oggi ci sono fabbriche, manifatture, eccetera, che chiudono una dopo l’altra.
In conclusione Ahmadinejad non ha fatto quegli investimenti produttivi che avrebbero potuto rafforzare l’economia, e ha invece distribuito soldi all’insegna di una politica molto populista, tra l’altro creando inflazione. Tant’è che gli stessi aiuti arrivati alle famiglie sono stati bruciati dall’aumento dei prezzi.
Dopodiché è indubbio che la base del suo consenso siano le classi più modeste delle campagne e delle zone urbane più povere, però anche questo dato comincia a ridimensionarsi. Intanto la popolazione in Iran è ormai all’80% urbana e al 20% rurale e anche le aree più povere e depresse gravitano sempre di più sulle città, perché chi abita in un villaggio tende ad andare a lavorare almeno in una cittadina, o comunque in una fabbrica che sta lì vicino. Le zone rurali, poi, è vero che sono le più tradizionaliste, ma anche il clero è diviso, e oggi essere tradizionalisti non vuol necessariamente dire votare per Ahmadinejad.
Poi c’è l’argomento del “vivo come voi”. Ahmadinejad si è sempre presentato come un uomo che fa una vita ordinaria, quasi modesta: “Io ho un’utilitaria come quella che hanno tutte le famiglie iraniane, ho una casa di due stanze, vivo come voi...”. La gente ha sempre apprezzato questa sorta di vicinanza e da questo punto di vista Ahmadinejad era uno che dava fiducia. La provincia vedeva la classe media di Teheran come gente che vive in un altro mondo, all’insegna dei consumi, dei soldi. Insomma Ahmadinejad ha molto usato questa immagine di essere uno del popolo. Solo che dopo quattro anni, o fai anche qualcosa di buono, o non ti basta essere figlio del popolo per prendere i voti.
In questi giorni parlavo con un analista politico molto equilibrato, credibile, che sostiene: “Sicuramente la sua base popolare resta forte, ma sarà più o meno un 30-35% dell’elettorato”, quello è il suo zoccolo duro. Non è poco, naturalmente. Però arrivare al 62%…
Secondo te il regime si aspettava una simile reazione? Era preparato?
Queste manifestazioni così non se le aspettava nessuno, tranne, credo, le forze dell’ordine, perché alcuni giorni prima era arrivata perfino alle orecchie di noi giornalisti stranieri la notizia che le Guardie della rivoluzione e la polizia erano in all’erta, per far fronte agli eventuali disordini che potevano scoppiare all’annuncio dei risultati. Certo nessuno si aspettava che durassero così a lungo, che prendessero una piega così decisa, questo non se lo aspettava nessuno, neanche il potere, neanche il governo.
Credo che siano stati tutti presi un po’ alla sprovvista. A un certo punto è sembrato che qualche concessione ci potesse essere, quando hanno detto che il Consiglio dei Guardiani avrebbe ricontato parte dei voti. Invece alla fine non c’è stato alcun gesto di conciliazione. C’è stata prima una serie di avvertimenti in un crescendo sempre più minaccioso. Fin dal primo giorno era stato detto che le manifestazioni di opposizione non erano autorizzate, e che quindi erano illegali, però la polizia aveva al massimo disperso i manifestanti. I morti che c’erano stati il lunedì erano giovani colpiti dai Basij quando la manifestazione si stava già sciogliendo. I ragazzi avevano tirato dei sassi e gli altri gli avevano sparato contro dal tetto della loro sede. Si poteva ancora pensare alla reazione a una provocazione. Sono seguite manifestazioni abbastanza tranquille, abbastanza pacifiche, anche perché una folla incute un certo rispetto, un certo timore. Non a caso queste squadre di Basij o di altri miliziani, come Ansar-e Hezbollah, intervenivano quando la folla cominciava a disperdersi. Io li ho visti con i miei occhi, in moto, con uno che guida, e uno dietro, picchiare dei ragazzi con un manganello al grido di “Ansar-e Hezbollah”, li ho proprio sentiti.
Fino a sabato scorso erano soprattutto queste milizie che si incaricavano di andare in giro a picchiare le persone, con estrema violenza, addirittura entrando nelle case, spaccando le finestre, inseguendo i manifestanti che si andavano a rifugiare da qualche parte. La violenza organizzata della polizia del sabato ha rappresentato un salto.
Tu sei ancora in contatto con amiche e conoscenti in Iran? Come comunicate?
Per telefono. Quella delle comunicazioni è una faccenda strana, perché i telefoni fissi funzionano perfettamente, hanno sempre funzionato. E’ chiaro però che le persone per strada usano i telefonini, non i fissi. Dal giorno dopo il voto è stato sospeso il servizio sms, i messaggini di testo, e tuttora i telefonini per parecchie ore al giorno sono fuori uso, oppure sembra che ci sia campo e invece non c’è, oppure c’è per cinque minuti. Ma soprattutto sono stati oscurati i siti web. A quelli che erano già normalmente censurati, se ne sono aggiunti altri. Immediatamente dal giorno dopo il voto hanno reso inaccessibile il sito web dei candidati sconfitti.
Anche a voler prendere tutto per buono, mettiamo cioè che abbia vinto Ahmadinejad, che il voto sia stato regolare, fatto sta che il giorno dopo hanno cominciato a oscurare siti, a chiudere giornali, a chiudere le sedi, ad arrestare tutti gli oppositori. Insomma, qualcosa che non va c’è...
La posta elettronica funziona. Per un paio di giorni non sono riuscita a usare Gmail, però poi il servizio è ripreso. A volte saltano i server, quindi non si ha accesso a internet, poi però dopo qualche ora tornano a funzionare.
Il dato più incredibile è che, nonostante le comunicazioni fossero ostacolate, in quei giorni tutti sapevano perfettamente che la manifestazione era all’ora tale, nella piazza tale e uno si chiede: “Ma come fai a saperlo, come fa a circolare questa informazione?”. Non solo, una volta si è saputo che un’ associazione islamica di sostegno ad Ahmadinejad aveva convocato una manifestazione esattamente nello stesso luogo e alla stessa ora, evidentemente per impedire che l’opposizione potesse fare il suo corteo, e allora si è deciso di posticipare di un’ora e di cambiare piazza, e tutti lo sapevano!
Oppure per strada capitava -io giravo con la mia interprete, che è un’amica- che ci passasse accanto un gruppo di giovani, di ragazze, e a bassa voce ci dicessero: “Se state con Moussavi venite lì all’ora tale”. Comprensibilmente erano tutti molto eccitati nell’organizzare queste iniziative clandestinamente. E’ un po’ quello che succedeva 30 anni fa, all’inizio della rivoluzione. Tra parentesi, secondo me i paragoni si fermano qui, perché per il resto siamo in un’altra situazione. Magari mi sbaglio, ma insomma, non credo che siamo alla vigilia di una rivoluzione come quella di allora, con un sovrano che si appresta a fuggire. Quello che è certo è che sta succedendo qualche cosa che cambierà la natura della Repubblica islamica.
Comunque la sensazione che ricavo dalle amiche che vivono là e con cui comunico è che si stia diffondendo la paura. La gran parte dei giornalisti della sinistra islamica, o riformisti, o critici, o in qualche modo dissidenti, è agli arresti, così come gli intellettuali, i leader politici, tutti. La mia interprete quotidianamente mi segnala e traduce le notizie dall’unico giornale riformista che ancora resta aperto, Etemad-e-Melli, il quotidiano del partito di Mehdi Karroubi, l’altro candidato sconfitto, un riformista a pieno titolo, già compagno di battaglia di Mohammad Khatami, che ha poi fondato questa corrente, che si chiama appunto Etemad-e-Melli, che significa “La fiducia della nazione”. Dopo che qualche giorno fa hanno chiuso il giornale di Moussavi, questo è rimasto l’unico organo di informazione dello schieramento riformista. Il problema è che quand’anche non lo facessero chiudere, tra un po’ smetterà di uscire perché stanno arrestando tutti i suoi giornalisti! Hanno già arrestato il redattore capo, un giornalista conosciuto, e poi sono stati arrestati credo una ventina dei redattori. Quotidianamente arrivano notizie di altri arresti, spesso persone abbastanza note, che durante la campagna elettorale o dopo il voto hanno rilasciato interviste, o fatto dichiarazioni pubbliche, che adesso verosimilmente verranno usate contro di loro.
Ora la magistratura ha fatto un comunicato molto minaccioso, dicendo che i fautori della protesta, gli organizzatori, avranno un processo esemplare.
Sta emergendo l’immagine di un potere che evidentemente si è sentito sfidato oltre misura e che reagisce con la repressione. Aggiungo però che, nonostante questo, tutti quelli che possono continuano a parlare e ad andare in piazza.
Cosa dobbiamo aspettarci nel prossimo futuro?
Cercando di essere il più realistici possibile, direi che molto di quello che succederà dipende da quanti conti riescono a regolarsi i due grandi vecchi, con i relativi blocchi di potere. Da questo punto di vista l’Iran è un paese abbastanza opaco: quello che avviene dentro i palazzi del potere è un po’ complicato da capire. Molti sono convinti, e hanno buoni argomenti, che quello che sta avvenendo sia una specie di colpo di stato, anzi la conclusione di un colpo di stato. Nei quattro anni di presidenza, Ahmadinejad ha piazzato i suoi uomini ovunque, non solo nelle varie istituzioni ma anche nell’amministrazione pubblica, e sono tutti ex Guardie della rivoluzione. Questo blocco di potere parrebbe dunque aver occupato tutte le posizioni, e ora si preparerebbe al colpo finale, cioè a estromettere completamente dalla gestione del potere la vecchia guardia rivoluzionaria, la sinistra islamica, i riformisti.
Parliamo di un progetto condiviso anche da alcuni ayatollah più radical e più oltranzisti, che sono i mentori di Ahmadinejad.
In una battuta, il progetto è che tra i termini “repubblica islamica”, si dia meno peso al primo (quindi alle istituzioni a suffragio universale) per instaurare uno Stato islamico in cui resti la Guida Suprema come potere unico, e il suo governo, il suo presidente.
Ora, se questo piano giunga a compimento o meno, non sono in grado di dirlo perché ci sono segnali di divisione all’interno delle stesse Guardie della rivoluzione e dell’esercito.
Nell’immediato la partita l’hanno vinta loro, grazie a una repressione violenta, però mi aspetto anche che avranno dei problemi, perché in qualche modo quello che è successo ha già cambiato i dati. C’è una legittimità che è stata messa in discussione, e con questo dovranno fare i conti. Come dovranno fare i conti con i tanti giovani scesi in piazza in questi giorni. I giovani sono da tempo al centro dell’attenzione di tutte le forze politiche, conservatrici e riformiste. In Iran i due terzi della popolazione hanno meno di 30 anni e oggi chiedono più democrazia e più diritti. E, attenzione, questi giovani non hanno fatto la rivoluzione islamica, per cui anche quelli che adesso gridano “morte alla dittatura, morte a Khamenei”, non chiedono la fine della Repubblica islamica. E’ un movimento che chiede un’evoluzione interna.
Certo siamo di fronte a una svolta, perché, che vinca l’uno o l’altro dei blocchi di potere, risulterà o un regime più autoritario e militarizzato, come temo, oppure un regime che riprenderà la strada delle riforme democratiche avviate a suo tempo da Mohammad Khatami. Ma, oltre alla svolta istituzionale, quello che in questi giorni abbiamo già registrato è una grossa frattura nel rapporto tra i cittadini e il potere. Manifestazioni di sfida così aperta al leader massimo, cioè alla Guida Suprema, al governo, che addirittura è stato accusato di mentire, beh, è una cosa che in 30 anni non era mai successa.
L’Iran, per chi non lo conosce, rischia di sembrare un paese arcigno, cupo, invece è un paese vitale, vivace, pieno di giovani ed estremamente ospitale e io credo che alla fine sarà questo Iran ad avere il sopravvento.