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Iraq : la Guerra Continua

Publie le lunedì 20 giugno 2005 par Open-Publishing

di Roberto Reale

Per noi italiani è finita in un cono d’ombra, lontana dai riflettori dei media che se ne occupano stancamente. Ma in Iraq la guerra continua. E’ entrata nella sua fase più cupa: quella in cui gli orrori quotidiani rischiano di venir vissuti come normalità. Di venir rimossi come inevitabili. Il bollettino militare del 20 giugno è terribilmente uguale a quello dei giorni precedenti. Alle 10 e 30 ( ora di Roma) già si lamentano due stragi a Erbil e Baghdad. Bilancio provvisorio: 29 morti.

Quello complessivo delle vittime civili dall’inizio del conflitto non lo sa nessuno. “Iraqi body count”, il sito che se ne occupa, parla di 25mila persone decedute. Ma sono stime prudenti. Che fine fanno i feriti? Quanti vengono salvati? Quanti muoiono successivamente? A Tal Afar intanto è stato ucciso un altro soldato americano. In tutto sono diventati 1720. In America c’è chi si interroga sul costo umano di questa “guerra al terrore”. Dal tempo del Vietnam non si registrava un così alto numero di caduti. Il dibattito arriva anche nelle stanze del potere. “Voice of America” ( che non è certamente un organo pacifista) ci informa che due senatori hanno espresso la convinzione che le cose stiano andando sempre peggio: il democratico Joe Bilden e il repubblicano Chuck Hagel. Quest’ultimo, intervistato da “US News and World Report Magazine” ha detto fuori dai denti che la “ la Casa Bianca ha perso ormai ogni contatto con la realtà”.

Una realtà amara di cui - assicura Hagel - sono ormai convinti anche altri repubblicani: l’America sta perdendo la guerra. Secondo un copione ormai divenuto abituale è stata Condoleezza Rice a rispondere al senatore: dai sempre disponibili microfoni di Foxnews ha garantito che in Iraq invece gli Stati Uniti stanno facendo enormi progressi. Persino dei contenuti di questo dibattito, in corso nel “cuore dell’impero”, in Italia arriva tutto sommato poco. Da noi tutta la vicenda irachena ( nella quale pure siamo militarmente coinvolti) è stata risucchiata in un buco nero. Meritoriamente oggi il “Corriere della Sera” mette in luce come nel paese tutte le parti in lotta facciano un uso spietato della tortura. A Karabila sono state trovate dai marines le prove che gli “insorti” la pratichino contro le loro vittime. C’erano pochi dubbi: i terroristi che mettono le bombe nei mercati certo non rispettano i loro prigionieri. Il problema è che in questo momento in Iraq i diritti umani non li tutela proprio nessuno.

A Baghdad e dintorni la pietà e il rispetto sono diventati una merce sempre più rara. La tv di stato irachena ha fatto delle confessioni degli “insorti catturati” il proprio cavallo di battaglia. In una sorta di macabro reality show sono andate in onda in questi mesi persone che ammettevano di aver commesso, per denaro, atroci delitti. Alcuni avevano ancora sul volto le tracce delle percosse che li “avevano aiutati a dire la verità”. Non stupisce allora quanto ha scritto ieri il “Los Angeles Times”. Basta leggere il titolo del giornale californiano per arrivare al sodo: “ I comportamenti assunti dalle forze di sicurezza irachena ricordano l’era di Saddam Hussein”. E qui il cerchio si chiude. Lo stesso ministero per i diritti umani di Baghdad - avverte il Los Angeles Times - denuncia che il 60 per cento dei detenuti è sottoposto a brutalità di ogni genere.

La domanda è inevitabile: dove ci sta portando questa guerra? Il disegno terrorista ( ma non tutti i gruppi che combattono sono uguali: con alcuni persino il Pentagono tiene aperti canali di comunicazione) è chiaro: lacerare l’Iraq, renderlo totalmente ingovernabile, scatenare l’odio etnico e religioso. Quello che non è per nulla chiaro è quale sia oggi l’alternativa. Bush, Rumsfeld, la Rice hanno prodotto un’apocalisse di cui non comprendevano a pieno la portata. Dicono che le cose vanno meglio e intanto non sono in grado di garantire alcun tipo di sicurezza agli iracheni. Perché le stragi non si fermano? Perché ogni giorno i morti si contano a decine? Di tutto questo si parla oggi più in America che in Italia. Abbiamo tremila militari impegnati in un paese in cui è in corso una guerra di cui sappiamo sempre meno. Un conflitto che nel suo insieme “non fa notizia”. Di cui l’informazione non parla o non può parlare. Perché allontanata da minacce, sequestri, divieti, censure.

http://www.articolo21.info/notizia.php?id=2158