Home > JEFFREY SACHS E I MITI SULLA POVERTA’

JEFFREY SACHS E I MITI SULLA POVERTA’

Publie le giovedì 8 dicembre 2005 par Open-Publishing

Due falsi concetti che mantengono povero il mondo, di Vandana Shiva (articolo apparso su Ode Magazine del 28.11.2005)

Jeffrey Sachs è uno dei principali economisti mondiali, è alla testa dell’Earth Institute e responsabile di un progetto Onu per promuovere un rapido sviluppo. Perciò, quando ha lanciato il suo libro "La fine della povertà", la gente ne ha preso nota. Il Time magazine gli ha persino dedicato la copertina.

Ma sorgono dubbi sulle prescrizioni di Sachs di come porre fine alla povertà. In effetti egli non riesce a capire da dove venga la povertà. La guarda come un peccato originale. "Poche generazioni fa, praticamente chiunque era un povero, la rivoluzione industriale ha portato nuove ricchezze, ma gran parte del mondo è stata lasciata indietro."

Questa storia della povertà è del tutto falsa. I poveri non sono quelli che sono "rimasti indietro", ma quelli che che sono stati derubati. La ricchezza accumulata dall’Europa e dal Nord America è largamente basata sulle ricchezze rubate all’Asia, all’Africa ed all’America Latina.

Senza la distruzione della ricca industria tessile dell’India, senza il controllo del commercio di spezie, senza il genocidio delle tribù native americane, senza la schiavitù africana, la rivoluzione industriale non avrebbe dato gli stessi risultati di benessere all’Europa e al Nord America.

E’ stata questa appropriazione violente delle risorse e dei mercati del Terzo Mondo che ha creato ricchezza al Nord e povertà al Sud.

Due dei grandi miti economici del nostro tempo permettono alle persone di negare questo stretto collegamento e di diffondere interpretazioni scorrette sulla povertà.

Prima di tutto, sulla distruzione della natura e la capacità delle persone di provvedere a se stesse il biasimo non cade sulla crescita industriale e sul colonialismo economico, ma sugli stessi poveri. La malattia viene offerta come cura: più crescita economica, in modo da risolvere gli stessi problemi di povertà e di declino ecologico a cui essa stessa ha dato inizio. Questo è il messaggio che sta a cuore all’analisi di Sachs.

Il secondo mito è l’assunto per cui se tu consumi ciò che produci, non stai veramente producendo, almeno non in termini economici. Se io mi coltivo il cibo che mangio, e non lo vendo, allora esso non contribuisce al PIL e perciò non aiuta ad andare verso la "crescita". Le persone sono percepite come "povere" se mangiano il cibo che hanno coltivato anziché il cibo malsano distribuito dall’agribusiness globale. Sono visti come poveri se vivono in case che si sono costruiti da soli, con materiali ben adatti ecologicamente come il bambù ed il fango anziché in blocchi di cemento. Sono visti come poveri se indossano abiti prodotti con fibre naturali anziché sintetiche.

Queste esistenze "sostenibili", che il ricco Occidente percepisce come povertà, non si coniugano necessariamente a una bassa qualità della vita. Al contrario, per la loro stessa natura di economie basate sul sostentamento assicurano un’alta qualità della vita, se questa viene misurata in termini di accesso a cibo sano e all’acqua, a una identità sociale e culturale forte, a una buona percezione del senso di essere vivi. Poiché questi poveri non condividono i cosiddetti benefici della crescita economica, sono rappresentati come "rimasti indietro".

Sachs analizza questa falsa distinzione tra i fattori che creano l’accumulo e quelli che creano povertà. E per questo motivo, le sue prescrizioni aggraveranno e renderanno peggiore la povertà, invece di porvi fine. I moderni concetti di sviluppo economico, che Sachs vede come la "cura" per la povertà, si sono presentati solo in piccola parte della storia umana. Per secoli, i principi del sostentamento hanno permesso alle società, sull’intero pianeta, di sopravvivere ed anche di prosperare. In queste società i limiti presenti in natura erano rispettati, e guidavano i limiti del consumo umano. Quando la relazione della società con la natura è basata sul sostentamento, la natura esiste come forma di bene comune. Viene ridefinita come "risorsa" solo quando il profitto diventa il principio organizzativo della società e produce l’imperativo finanziario allo sviluppo ed alla distruzione delle risorse per il mercato.

Anche se molti scelgono di dimenticarlo o di negarlo, tutti i popoli in tutte le società dipendono ancora dalla natura. Senza acqua pulita, suoli fertili e diversità genetica, la sopravvivenza umana non è possibile.
Oggi lo sviluppo economico sta distruggendo quelli che un tempo erano beni comuni, portando a una contraddizione: lo sviluppo depriva le stesse persone che dichiara di aiutare della loro terra e dei loro tradizionali sistemi di sostentamento, forzandole a sopravvivere in un mondo naturale sempre più impoverito.

Un sistema come il modello di crescita economica che conosciamo oggi, crea miliardi di miliardi di dollari di profitti per le corporazioni, mentre condanna milioni di persone alla povertà. La povertà non è, come Sachs suggerisce, uno stato iniziale del progresso umano da cui dobbiamo fuggire. E’ lo stato finale in cui le persone cadono quando uno sviluppo unilaterale distrugge i sistemi ecologici e sociali che hanno mantenuto la vita, la salute e il nutrimento dei popoli e del pianeta per millenni.

La realtà è che le persone non muoiono per mancanza di soldi. Muoiono per mancanza di accesso ai beni comuni. Qui, di nuovo, Sachs si sbaglia quando dice: "In un mondo di abbondanza, un miliardo di persone sono così povere che le loro vite sono in pericolo." I popoli indigeni dell’Amazzonia, le comunità montane dell’Himalaya, i contadini ovunque le loro terre non siano state espropriate e la cui acqua e biodiversità non sia stata distrutta dall’industria agricola creatrice di debito, sono ecologicamente ricchi, sebbene guadagnino meno di un dollaro al giorno.

Dall’altro lato, la gente è povera quando deve comprare le proprie necessità di base a prezzi alti, senza riguardo al loro introito. Prendete l’India. Poiché il cibo e le fibre a basso costo sono state estromesse dal mercato dalle nazioni sviluppate e dall’indebolimento delle leggi di protezione sul commercio compiuto dal governo, i prezzi dei prodotti agricoli in India stanno crollando, il che significa che ogni anno i contadini del paese perdono 26 miliardi di dollari. Impossibilitati a sopravvivere in queste nuove condizioni economiche, molti contadini ora sono colpiti dalla povertà e migliaia di essi si suicidano ogni anno.

Ovunque nel mondo l’acqua potabile viene privatizzata, così che le corporazioni economiche possono ricavare un profitto astronomico vendendo ai poveri una risorsa essenziale, che un tempo era gratuita. E i 50 miliardi di dollari di "aiuti" che dal Nord vengono al Sud, sono solo la decima parte dei 500 miliardi di dollari che sono stati succhiati nell’altra direzione, grazie agli ingiusti meccanismi imposti all’economia globale dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale.

Se siamo seri, quando diciamo di voler mettere fine alla povertà, allora dobbiamo essere seri nel mettere fine ai sistemi che creano la povertà derubando i poveri dei loro beni comuni, dei loro stili di vita e dei loro guadagni. Prima di poter far diventare la povertà storia, dobbiamo considerare correttamente la storia della povertà. Il punto non è quanto le nazioni ricche possono dare, il punto è quanto meno possono prendere.