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Kenia: la guerra dell’acqua e une delle ultime puntate del programma "La Talpa"

Publie le lunedì 10 ottobre 2005 par Open-Publishing
1 commento

di Donne in Nero Tuscia

Vi scriviamo in merito a une delle ultime puntate del programma "La Talpa" di cui casualmente e purtroppo ci è capitato di vedere una puntata.

In particolare vorremmo porvi la seguente domanda: chi è la persona che ha avuto l’idea, di inserire tra le attività da far svolgere ai partecipanti del programma, quella di bere 60 litri d’acqua, considerando il fatto che il suddetto programma viene girato in AFRICA, laddove milioni di persone muoiono per non aver accesso all’acqua potabile?

Il 2003 è stato l’anno internazionale dell’acqua, anno in cui nel nostro paese sono state organizzate molteplici iniziative atte a sensibilizzare l’opinione pubblica italiana su questo problema, in particolare sui conflitti in corso per le risorse idriche in diverse parti del mondo (tra cui il Kenia, come si può leggere nel documento qui sotto riportato) e sulla carenza delle suddette risorse che sta causando l’agonia di molti paesi poveri, soprattutto africani.

Il vostro programma rappresenta un insulto per tutte le persone che soffrono di queste gravi guerre e carestie.

Il vostro programma veicola il messaggio che il Nord del mondo possa continuare a bere fino a VOMITARE, sfruttando quanta più acqua possibile (più del necessario) quando in altre parti del mondo ci sono popolazioni che muoiono per la mancanza di tali beni.

Ci auguriamo che la produzione del vostro programma prenda coscienza non solo della gravità dell’atto che ha compiuto mostrando quelle immagini, in quel particolare contesto, ma anche della estrema ignoranza e insensibilità dimostrata davanti ai telespettatori.

Con la speranza che la televisione diventi uno strumento, se non
"educativo", almeno "decente" nei messaggi da essa veicolati e augurandoci
che questi messaggi non cadano nel vuoto, vi preghiamo di leggere con
attenzione l’articolo in seguito riportato.


Kenia: la guerra dell’acqua

Hanno causato più di 70 morti gli attacchi dello scorso 12 luglio a Torbi,
nel distretto settentrionale di Marsabit, in Kenia. Secondo quanto
riferito dalla polizia, ci sono almeno 20 bambini tra le vittime del
massacro. Dieci assalitori, invece, sono stati freddati durante un
conflitto a fuoco con le forze di sicurezza. Secondo le fonti della Croce
Rossa keniana, riportate da IRIN, almeno altri 18 sarebbero i feriti
ricoverati nell’ospedale più vicino al piccolo villaggio. Robert Kipkemoi
Kitur, assistente commissario del locale distretto di polizia, ha
affermato che gli aggressori apparterrebbero all’etnia Borana. Non c’è
ancora sicurezza sui numeri della carneficina. Alcune fonti, arrivano a
contare almeno 95 vittime, smentendo i dati diffusi dalla polizia. Le
forze di sicurezza, in seguito al raid, hanno comunque messo in moto una
vasta operazione, riuscendo a recuperare molta della refurtiva razziata
durante l’attacco.

Secondo le notizie diffuse dalla Misna, le indagini delle autorità hanno
già portato a risultati importanti. Sette individui armati sono stati
fermati in queste ore: due di questi sarebbero coinvolti nel massacro
della scorsa settimana.

Antiche rivalità

Quello del 12 di luglio è solo uno dei tanti massacri consumati in questi
mesi in Kenia, quasi sempre per lo stesso motivo. Quelle dei Gobra e dei
Borana sono due comunità di pastori tra le tante che condividono una terra
estremamente arida e che più di una volta si sono travate a combattere per
lo sfruttamento delle risorse: i pascoli e le fonti idriche sono i motivi
principali di ostilità tra le tribù. Si sono generate così le faide che
hanno portato il numero degli assassinati a lievitare di parecchio negli
ultimi tempi.

L’elenco compilato dall’agenzia IRIN è impietoso: 22 mlorti a marzo negli
attacchi al villaggio di El Golicha e altri 20 in un precedente scontro
etnico tra Murule e Garre. Ancora 14 morti sono il tragico bilancio di un
altro scontro in gennaio.

In particolare, secondo quanto riferito dall’agenzia Afrol, gli assalti di
marzo nel nord-est del paese sono stati particolarmente cruenti. Le fonti
UNICEF, citate nel rapporto, riferiscono di un accanimento particolare con
armi da fuoco e da taglio nei confronti dei bambini e dei più giovani. Una
sorta di rabbiosa pulizia etnica, insomma, sempre per la stessa ragione:
accaparrarsi qualche pozzo in più.

Un fiume di rifugiati

L’effetto collaterale più deleterio di questa serie interminabile di
attacchi è la marea di profughi che abbandona le proprie case in cerca di
rifugio dai possibili attacchi.

Secondo le dichiarazioni dei portavoce della Croce Rossa keniana,
riportate dalla IRIN, più di 9000 persone sarebbero fuggite dai villaggi
più isolati dopo le uccisioni di martedì scorso. Gli sfollati, radunatisi
per etnia, cercano scampo dalle pallottole e dalle lame delle opposte
fazioni accampandosi nelle vicinanze di presidi della polizia.

La Croce Rossa ha chiesto un contributo di circa 700 mila dollari per
riuscire a sfamare coloro che hanno lasciato i villaggi e che , molto
spesso, non hanno più alcun mezzo di sostentamento. Alcuni, infatti, si
sono visti sottrarre preziosi capi di bestiame, rimanendo con un pugno di
mosche in mano, in attesa che cessino per sempre le brutalità.

TRATTO DA http://www.warnews.it/index.php/content/view/1820/29/

Messaggi

  • Io ho mandato una mail di protesta con il vostro testo alla redazione della Talpa che... così mi ha risposto!!!

    "E’ nel dna della televisione urtare le coscienze e provocare scandali
    destinati
    a rientrare un attimo dopo. Eravamo alla metà degli anni ’50 quando il primo
    critico televisivo italiano, Ugo Buzzolan, sulle pagine de La Stampa
    stroncava
    Lascia o Raddoppia, trasmissione colpevole di mettere in gioco la cultura
    degli italiani obbligandoli in pubblico ad una scelta struggente. Come
    sappiamo,
    Lascia o Raddoppia ha assunto nel tempo una dimensione mitica ed è tuttora
    l’archetipo televisivo più attuale.

    La Televisione, per la sua forza pervasiva, è destinata a scuotere le
    coscienze
    ed urtare provvisorie sensibilità, ma è anche vero che ogni programma sposta
    più in là la soglia virtuale che separa ciò che è etico da ciò che non lo
    è, in quel preciso istante, in quella specifica cultura.
    Basterebbe guardare davvero le celebrate televisioni altrui per accorgersi
    che l’inarrivabile tv modello, la BBC, manda in onda programmi che nel
    nostro
    Paese verrebbero considerati troppo trasgressivi e susciterebbero polemiche
    molto più ampie di quelle che potrebbero nascere dalle osservazioni di
    alcuni
    spettatori de La Talpa.

    La tendenza a "fare la morale alla televisione" è sempre più rumorosa e
    spettacolare
    (giornalisticamente interessante) della morale che muove dall’interno coloro
    che la televisione la fanno, spesso ponendosi problemi e soluzioni che si
    risolvono all’interno della scrittura, o nelle fasi di produzione, quindi
    mediaticamente in silenzio.

    Fatte queste premesse doverose, veniamo alla risposta dovuta a chi - in
    questi
    giorni - ha mosso alcune critiche ad alcune scelte operate dal nostro
    programma
    nelle prime tre puntate: l’utilizzo di sessanta litri d’acqua da bere e di
    occhi di bue da mangiare durante le prove d’accesso.

    Sostanzialmente si tratta di reazioni emotivamente accettabili, che potevamo
    immaginare fin dal momento della nostra scelta di ambientare -primi in
    Italia
     un reality in un territorio di confine come una zona di savana nel cuore
    del Kenya.

    Scelta che abbiamo lungamente meditato, ben consapevoli di arrivare in un
    vero altrove, che il cinema e la letteratura hanno saputo trasfigurare e
    rendere affascinante e desiderabile, ma che, in realtà pone problemi reali
    legati alla durezza della vita che noi occidentali possiamo solo immaginare
    ma che non abbiamo mai vissuto.

    Ci è sembrato che un adventure-game come il nostro potesse attingere da
    questo paesaggio non solo immagini ma anche stimoli e provocazioni, offrendo
    ai protagonisti e, attraverso di loro agli spettatori, un’occasione
    imperdibile
    di confrontarsi con un’altra realtà. Con ostacoli e prove non
    artificialmente
    create per fare spettacolo, ma presenti nel nostro mondo. Un’occasione di
    crescita collettiva, che nasce dallo scambio e dall’incontro con popoli,
    tradizioni, luoghi.

    Ci ha confortati, in questa scelta preliminare, la bellissima esperienza
    della prima edizione del programma, che ci ha visti ambientare un set a
    pochi
    metri da un pueblo poverissimo dello Yucatan. Lì, i centotrenta membri
    della
    troupe italiana hanno familiarizzato profondamente con gli abitanti, molti
    dei quali hanno lavorato con noi per alcuni mesi lasciandoci un ricordo
    indelebile.
    Senza contare che lo Yucatan ha incrementato del 70% il flusso turistico
    dall’Italia, tanto da spingere il Ministero del Turismo e della cultura a
    concederci l’ingresso in templi chiusi al pubblico come segno di
    ringraziamento
    per quanto fatto per il loro Paese.

    E’ quindi con uno spirito di estrema collaborazione, apertura e
    disponibilità
    che i nostri collaboratori si pongono nei confronti del territorio che li
    ospita.
    Lo "spreco" di sessanta litri di acqua complessivi per una prova di gioco
    è in sé davvero poca cosa se pensiamo che si tratta del quantitativo che
    ognuno di noi utilizza in Italia per la doccia del mattino. E’ vero, questo
    è successo in un Paese dove la siccità è vissuta in modo molto più
    drammatico
    che in Italia, ma la zona dove si trova il set de La Talpa non conosce
    questo
    problema, anche per la presenza di un fiume di grande portata, lungo
    settecento
    chilometri, che scorre a pochi passi dalla location e nel quale è stata
    ambientata
    una delle prove del programma. Va inoltre ricordato che la popolazione dei
    Masai vive di pastorizia, ed è noto a tutti quanto l’allevamento di animali
    sia profondamente legato alla presenza dell’acqua nel territorio.

    Cogliamo comunque l’occasione per precisare alcuni altri elementi che
    caratterizzano
    la nostra presenza in Kenya, che vuol essere, al contempo, anche una piccola
    occasione di scambio di esperienze e di amicizia verso un popolo al quale
    non intendiamo soltanto strappare il brivido di un’inquadratura insolita.

    Prima di arrivare in Kenya, in diversi incontri con i loro rappresentati
    ufficiali abbiamo approfondito la conoscenza della cultura dei luoghi ed
    in particolare dei Masai, dei quali abbiamo apprezzato il coraggio e
    l’attenzione
    a codici etici di coraggio e di fierezza. Con loro abbiamo stabilito un
    rapporto
    di collaborazione che ha ispirato le nostre prove, nelle quali i nostri
    concorrenti
    possono mettere in gioco, a loro volta, determinazione, forza, volontà.
    E’ una caratteristica de La Talpa motivare ogni prova e giustificarla
    secondo
    un doppio registro: da una parte calandola nello spirito del programma e
    dall’altra cercando nella realtà e nella cultura dei luoghi ospitanti non
    solo la scenografia esteriore ma anche le motivazioni profonde di ogni
    "missione"
    che i protagonisti si trovano ad affrontare.

    Così, gesti che senza contestualizzazione potrebbero sembrare gratuiti (come
    mangiare occhi di bue) assumono un altro significato se si considera che,
    per la tribù dei Turkana, questi non solo rappresentano una normale
    consuetudine,
    ma anche una particolare cortesia rivolta agli ospiti. La tribù dei Turkana
    vive in una zona settentrionale del Kenya nei pressi del lago omonimo. E’
    una delle tribù che ha mantenuto maggiormente la propria identità e che ha
    quindi conservato tradizioni e usi propri di una tribù di guerrieri che trae
    il proprio sostentamento principalmente dall’allevamento. Data l’ostilità
    del territorio e la scarsità delle risorse, nessuna parte degli animali
    allevati
    viene sprecata, e quello che può sembrare a noi disgustoso, è da loro
    considerato
    una prelibatezza, come nel caso degli occhi di bue.

    Una delle scoperte che La Talpa ci porta a fare è che spesso i nostri
    pregiudizi
    e le nostre fobie non sono altro che sovrastrutture culturali e le prove
    eseguite all’interno del programma cercano, in qualche modo, di dimostrarlo.

    In conclusione, ci piace ricordare, in maniera sintetica che:

     la troupe della Talpa dà lavoro in Kenya a sessanta persone. Noi tutti
    sappiamo che cosa significhi, in quel contesto e per la vita di questi
    individui,
    una tale occasione.

     al termine dell’esperienza in Kenya la Produzione de La Talpa realizzerà
    un’opera permanente di pubblica utilità, come segno tangibile di
    riconoscenza
    per l’ospitalità ricevuta e per dare una concreta testimonianza di
    sensibilità
    e amicizia.

    Siamo sicuri che si tratti della stessa sensibilità che anima i nostri
    telespettatori,
    i quali ci fa piacere immaginare non sollecitati da strumentalizzazioni di
    alcun genere.

    Con sincera amicizia

    La Produzione de La Talpa e tutti i suoi collaboratori"