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L’America latina è all’opposizione in una FAO dominata dal neoliberismo
Publie le lunedì 9 giugno 2008 par Open-Publishingdi Gennaro Carotenuto
Il vertice della FAO a Roma si è concluso nella più inconcludente delle maniere e prescrivendo al malato la droga che lo sta uccidendo: più liberismo. Ma i paesi integrazionisti latinoamericani sono emersi come un blocco d’opposizione e di pensiero critico: “è il sistema di produzione e consumo capitalista il problema”.
La dichiarazione finale del vertice FAO tenutosi a Roma è un bla bla di vecchie ricette economiche dimostrabilmente fallite nel trentennio neoliberale. Perfino il ministro degli esteri italiano, Franco Frattini, la considera “profondamente deludente”, ed è tutto dire. Il documento ribadisce vecchi obbiettivi impossibili allo stato da raggiungere, come dimezzare la fame nel mondo entro il 2015 e non affronta i vecchi nodi come i sussidi all’agricoltura del Nord del mondo, che sfiorano oggi i 100 miliardi l’anno e drogano il mercato impedendo materialmente ai contadini del Sud di competere. Inoltre prescinde completamente (troppo difficile e controverso) dall’affrontare l’attuale crisi creata dalla speculazione finanziaria che sta portando alla lievitazione dei costi di alimenti basilari per i popoli del Sud del mondo in quella che si manifesta come una carestia strutturale.
Intanto i movimenti sociali, riuniti nel controvertice, disegnavano un mondo migliore possibile in una situazione che sembra ritornata alle messe cantate della fine degli anni ’90, con il palazzo ad autocelebrarsi e frammenti della società civile a riunirsi in maniera quasi carbonara.
Tuttavia anche dall’interno del palazzo è emerso chi si è opposto all’ennesima inutile conferenza. Sono stati innanzitutto tre paesi integrazionisti latinoamericani, Argentina, Cuba e Venezuela, ai quali si sono sommati Nicaragua, Ecuador e Bolivia. Si sono battuti strenuamente punto per punto contro la dichiarazione finale, spesso opponendo risultati concreti a mere parole.
In un mondo dove chi coltiva la terra è chi più soffre la fame il Venezuela ha indicato nella lotta al latifondo e per la riforma agraria una delle chiavi. Nel paese, dal 1998 al 2008, 1.8 milioni di ettari di terre sono stati consegnati a 100.000 famiglie di contadini e il consumo di alimenti come il latte è perciò –secondo il governo venezuelano- potuto crescere del 70%. Risultati simili vanta la Bolivia, dichiarando di avere incrementato di 1.6 milioni gli ettari di terre coltivabili da contadini, indigeni, piccoli produttori. Fumo negli occhi per chi difende un modello agricolo basato sull’agroindustria.
“Se la diagnosi è sbagliata –ha però affermato la delegazione argentina- i rimedi proposti non possono che essere altrettanto sbagliati e la permanenza dei sussidi e delle barriere doganali nel Nord sono il problema”. I venezuelani fanno invece notare “la mancanza totale di spirito umanitario nella dichiarazione” e i cubani puntano il dito: “tutto ciò avviene perché i paesi del Nord del mondo non vogliono affrontare davvero il problema della fame”. Il perché è presto indicato: la fame resta il più straordinario strumento di pressione politica ed economica. E così sia.
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