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L’Europa è in panne, ma Sarkozy è nei guai

Publie le lunedì 16 giugno 2008 par Open-Publishing

L’Europa è in panne, ma Sarkozy è nei guai

di Anna Maria Merlo

Dopo la bocciatura del referendum in Irlanda sul trattato di Lisbona, il vecchio continente è alla ricerca di un «piano B». Si può far votare di nuovo gli irlandesi? Oppure manovrare sulle deroghe? In prima fila, tra i grandi sconfitti dal No, il leader francese già in crisi di popolarità. Adesso gli occhi sono puntati su Londra e sul traballante Brown Il presidente francese puntava sulla prossima guida del Consiglio Ue ora però va incontro a un futuro grigio, saltate anche le nuove nomine

Il «no» irlandese ha rovinato i programmi della presidenza francese del Consiglio della Ue, che inizia il 1° luglio e dura fino alla fine dell’anno. Nicolas Sarkozy puntava molto sulla circostanza, dopo essersi vantato di aver sbloccato l’Europa con la proposta del mini-trattato di Lisbona, via d’uscita alla paralisi creata dal «no» francese e olandese nel 2005 al Trattato costituzionale. Durante la presidenza francese avrebbero dovuto essere decise nomine importanti: al Consiglio del prossimo dicembre i capi di stato e di governo dei 27 avrebbero dovuto nominare il presidente eletto del Consiglio europeo e l’alto rappresentante per la politica estera, al posto di Xavier Solana. Ma non si farà nulla, visto che il trattato di Lisbona non entra in vigore.

Venerdì sera, Sarkozy e la cancelleria tedesca Angela Merkel, che avevano promesso iniziative comuni, si sono limitati a firmare un comunicato congiunto che invita gli stati che non hanno ancora ratificato Lisbona - lo hanno fatto per ora 18 su 27 - a continuare la procedura. Una posizione debole, che non fa che riprodurre l’ormai tradizionale reazione delle élites europee di fronte ai popoli, che ogni volta che sono chiamati a dire la loro rispondono di «no». Per Sarkozy, la presidenza si annuncia grigia.

Soprattutto sui due programmi che aveva considerato prioritari: la difesa e l’Unione per il Mediterraneo. Sulla difesa, Sarkozy aveva giustificato il prossimo rientro della Francia nei comandi della Nato, al vertice dell’Alleanza atlantica di Bucarest in aprile, con il progetto di rilanciare la difesa europea. Ma l’alleato per eccellenza in questo campo è l’altra potenza nucleare europea: la Gran Bretagna. Ieri, Gordon Brown, già indebolito, ha subito gli attacchi dei conservatori, che contestano la ratificazione di Lisbona, prevista sulla carta già per il 18 giugno (alla vigilia del Consiglio europeo di Bruxelles). Lunedì Sarkozy sarà a Praga, da un altro euro-scettico: il presidente della repubblica Ceca, Vaclav Klaus, ha già dichiarato che considera «morto» il trattato di Lisbona e il suo paese ha praticamente sospeso la ratifica.

L’Unione per il Mediterraneo, già partita male, adesso ha veramente le ali di piombo. Sarkozy ha programmato un vertice euro-mediterraneo a Parigi il prossimo 13 luglio, alla vigilia della sfilata del 14, dove ha invitato tutti i partecipanti, anche il controverso presidente siriano Bachar Al-Assad (suscitando una levata di scudi, a cominciare dai libanesi). Ma, a parte il fatto che già numerosi paesi del sud del Mediterraneo non si sono dimostrati entusiasti (ci sono state aspre critiche da parte di Gheddafi, molta freddezza algerina), ormai le reticenze tedesche - che già hanno costretto Sarkozy a ridimensionare il progetto - avranno la meglio.

Cosa resta a Sarkozy? Purtroppo, si apre l’ampio campo del populismo. Un’altra priorità della presidenza francese è la lotta all’immigrazione clandestina. Ieri a Parigi c’è stata una manifestazione contro «la direttiva della vergogna», la direttiva «ritorno», repressiva verso gli immigrati. Per essere «vicino ai cittadini», come ama dire, visto il clima, c’è da aspettarsi che la caratteristica della presidenza francese si ridurrà all’inasprimento delle leggi verso gli immigrati. Altri populismi minacciano: Sarkozy si è recentemente scontrato con Bruxelles perché gli è stato impedito di abbassare l’Iva sui carburanti, sola idea del presidente francese per lottare contro il caro-petrolio. L’energia e il clima sono temi prioritari della presidenza francese.

Il trattato di Lisbona è definitivamente morto a Dublino? C’è chi pensa a Bruxelles che gli irlandesi potrebbero essere chiamati a rivotare (come hanno fatto nel 2001 per il trattato di Nizza, respinto e poi approvato), dopo un «arrangiamento giuridico» (degli opting out, le deroghe, sulla difesa e sull’aborto, per esempio). Ma in realtà adesso è Londra a decidere: se Brown non riuscirà a far passare il Trattato alla Camera dei Lords il 18 sarà la fine definitiva. Una via d’uscita? Che i dirigenti capiscano che va colmato il deficit democratico e che forse è arrivato il momento di istituzionalizzare un’Europa a più velocità. Gli 862mila irlandesi che hanno votato «no» diventerebbero così la leva per la nascita di un «nocciolo duro» europeo. 862 1 su 1000

Sono stati 862mila gli irlandesi che hanno detto No alla ratifica del trattato di Lisbona. All’incirca un millesimo della popolazione europea, l’uno per cento considerando solo gli stati membri Ue, comunque sufficienti per aprire la crisi.

su Il Manifesto del 15/06/2008