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L’Unione europea e i fondi all’Autorità Nazionale Palestinese

Publie le sabato 3 giugno 2006 par Open-Publishing

di Gianni Vaggi *

Alcune brevi riflessioni sulla recente decisione del Consiglio e della Commissione europea circa il congelamento dei fondi da trasferire all’ANP. Queste considerazioni derivano anche da due visite in Israele fatte da febbraio a oggi e da numerosi contatti che il PEACE (Palestinian European Academic Cooperation in Education) Program tiene sia in Palestina che in Europa.

Primo. Il danno si rifletterà soprattutto su personale che già da tempo lavora nei ministeri e quindi certamente non è legato ad Hamas. Il boicottaggio economico colpirà anche persone che lavorano negli organismi internazionali con fondi europei e sono moltissimi. In molti casi si tratta di giovani o persone che in parte abbiamo contribuito noi europei a formare negli anni passati. Personalmente ho cinque ex studenti che rischiamo e il posto e il reddito. Come tanti altri giovani, soprattutto a
Gerusalemme e a Ramallah, essi sono molto laici e per niente attratti da ritorni a istituzioni e norme religiose o del tipo Sharia.

Vi è un numero molto elevato di palestinesi che rischiano moltissimo per queste decisioni dell’Unione europea e che sono esattamente il tipo di interlocutore che noi ‘vorremmo’; cioè attenti al nuovo, moderni e desiderosi di vivere una vita normale e in pace con Israele. Molti di questi sono giovani istruiti, e spesso istruiti grazie a noi europei. Possiamo comunque considerare queste persone come un gruppo di privilegiati rispetto a coloro che vivono nei campi profughi. Ovviamente mi auguro che il blocco dei fondi non tocchi gli aiuti umanitari. Ma io sto parlando di giovani che
possono essere la nuova classe dirigente della Palestina.

Queste persone non si identificano con la cerchia degli stretti privilegiati del giro di Fatah, ma rischiano di essere le più colpite, proprio perché più a contatto con i fondi internazionali. L’Unione europea potrebbe e dovrebbe aumentare il sistema di monitoraggio dei fondi dati alla Palestina, al fine di evitare usi improri, corruzione e sperperi; anzi questo si sarebbe dovuto fare già nel passato. La Banca Mondiale potrebbe sospendere un grande progetto sull’educazione secondaria e superiore che era affidato al Ministero dell’Educazione e peraltro era finanziato dalla Commissione
europea con cinque milioni di dollari. Vogliamo spingere anche questa fascia di persone nelle braccia di Hamas, o dei paesi arabi, oppure costringerla all’emigrazione? E con chi si farà il dialogo di pace?

Secondo. L’uso delle sanzioni e degli strumenti economici a fini politici raramente porta i risultati sperati e soprattutto difficilmente colpisce chi si dice di voler colpire. Le sanzioni contro l’Irak di Saddam sono solo il caso più emblematico e tragico. Coloro che soffrono davvero delle sanzioni sono quasi sempre altri.

Non credo nelle smart sanctions e non vorrei che il boicottaggio economico di Hamas ne fosse l’ennesima prova. Che poi le sanzioni abbiano l’effetto di rovesciare i governi indesiderati mi pare ancor meno dimostrato. Il vero effetto delle sanzioni è quello di cambiare drasticamente i mercati e i segnali che essi mandano e quindi i piani e i progetti delle persone, per cui vengono premiati i più furbi e disonesti; si pensi al mercato nero che, ovviamente, in situazioni di sanzioni prospera. Irak,
Bosnia, ecc. lo dimostrano. Il boicottaggio economico dell’ANP potrebbe essere l’ennesima stupida e terribile dimostrazione dei danni sociali, umani e politici che questo comporta.

C’è il rischio concreto di alienarsi quella larghissima parte della popolazione palestinese che guarda con attenzione all’Occidente, e soprattutto all’Europa. Per quanto l’Europa conti poco, c’è verso di essa una grande attenzione e una grande attesa, e questo in modo diverso si vede anche in Israele. Per molti giovani palestinesi l’Europa è in questo momento l’unico punto di riferimento che
desidererebbero avere, sia sul piano economico che politico. Ma ormai da troppi anni non vediamo una Politica con la ‘P’ maiuscola in Medio Oriente, ma sempre e soltanto ragionamenti basati sull’uso della forza.

Hamas dovrà rinunciare esplicitamente alla violenza e dovrà riconoscere il diritto all’esistenza di Israele. Il punto centrale è però la ripresa di un dialogo che ormai da cinque anni e mezzo manca completamente.

Proprio perché crede nel dialogo, il PEACE Program non ha mai sostenuto le richieste di boicottaggi delle università israeliane; il boicottaggio è la negazione del dialogo. Proprio per questo chiediamo all’Europa e ai governi che non ricorrano a misure ingiuste e stupide, che non aiutano certo a raggiungere l’obiettivo della pace giusta.

In quanto accademici e intellettuali europei, possiamo essere vicini ai giovani che vogliono prepararsi a una vita migliore in un Medio Oriente sicuro e di pace per tutti i popoli. Ognuno di noi lo può fare anche coinvolgendo le proprie istituzioni nella cooperazione con realtà palestinesi: università, ONG, società civile, ecc. Un sogno? Forse, ma pensiamo alle alternative.

Come intellettuali non abbiamo alcun potere politico, ma come educatori possiamo essere un ‘piccolo ponte’ fra Europa e Palestina. Non sprechiamo questo privilegio che è anche una nostra piccola responsabilità. E’ però responsabilità delle istituzioni e dei governi europei di evitare difficoltà e tensioni ulteriori e favorire il dialogo.

* Università di Pavia e Vice Presidente del PEACE Program

Lavori in corso n° 32

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