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L’ "antipolitica" di ieri e quella di oggi

Publie le giovedì 24 maggio 2007 par Open-Publishing

2007/1992/1989: un calendario dell’antipolitica

IL GIOCO delle ricorrenze, oggi, spinge molti ad accostare il 2007 al 1992. Accostando l’ondata di sfiducia nei confronti della politica e le polemiche nei confronti della "casta" dei politici, di questi giorni, agli anni di Tangentopoli. Alla lunga e tormentata stagione che prese avvio, appunto, nel 1992, con l’arresto per concussione di Mario Chiesa, allora presidente del Pio Albergo Trivulzio.

Tuttavia, al di là delle analogie, tra le due fasi esistono differenze profonde, a cui abbiamo fatto già cenno nella mappa di domenica scorsa. Per chiarire meglio la distanza e la differenza che separano le due stagioni, pero’, conviene cambiare parallelo, riferimento storico.

Meglio, cioé, retrodatare di qualche anno: dal 1992 al 1990. O ancora meglio: al 1989.

Perché ciò che avviene nel 1992 costituisce l’estremo scrollone a una casa traballante e scalcinata, al confine con un terreno sconvolto dal terremoto e, dunque, già franato.

L’Italia, infatti, era allora il confine occidentale del sistema sovietico. L’estremo avamposto delle "democrazie di mercato". Per questo é anche il contesto che riflette, maggiormente, i caratteri del socialismo reale. Ha il partito comunista più forte dell’Occidente, a cui si contrappone, peraltro, una forza politica di ispirazione confessionale, la Dc (anche se De Gasperi provvede a marcarne in fretta la laicità). Propone, inoltre, una presenza dello Stato e del pubblico abnorme, rispetto a tutti gli altri paesi a economia di mercato. Infine, ha un sistema politico e partitico chiuso, bloccato, senza ricambio. Come la classe dirigente. E’ un "regime" pesante e invecchiato, come l’URSS brezneviana.

Quando il muro di Berlino crolla, le sue macerie si rovesciano anche su di noi, che siamo appena al di là del confine. (E non é un caso, come ha osservato Gigi Riva sull’Espresso, che il "disastro" dei regimi comunisti abbia sconvolto, forse più di ogni altro Paese, la Jugoslavia. Che stava proprio al di là del nostro confine; e costituiva anch’esso un cuscinetto, fra i due mondi). Così, il nostro sistema politico si sfascia in fretta, perché manca il "nemico", perché era diviso e tenuto insieme dall’anticomunismo. Tanto che a pagare, più ancora del PCI (costretto, però, a cambiare nome; e condannato a una sorta di redenzione senza fine) è la DC, che si (auto)dissolve. Seguita dai partiti di governo. Il Partito Socialista, soprattutto. La nostra economia, peraltro, non è più in grado di competere, in un mercato che si apre. Troppo pesante, da sostenere, il debito "pubblico". Il peso dello "Stato".

In quel caso, in quel contesto, in quelle condizioni, la sfiducia dei cittadini ha uno sbocco politico lacerante. Garantisce le polveri all’antipolitica espressa dalla Lega, anzitutto. Alimenta la stagione referendaria. Che, indiscutibilmente, è interpretata come una spallata contro il sistema dei vecchi partiti. Come comprende Craxi, per primo, quando nel 1991 invita gli elettori ad "andare al mare", invece che votare al referendum.

Le inchieste della magistratura, che anche in altre occasioni precedenti avevano attaccato direttamente il potere politico, ma senza provocare fratture, si abbattono sul Palazzo con effetti deflagranti; sconosciuti nelle fasi precedenti. Perché investono una casa ormai senza fondamenta. Perché i cittadini le usano come un ariete, per sfondare la porta del Palazzo. Per irrompervi. (Consiglio, per ripercorrere vicende e attori di quella fase antipolitica, di leggere o rileggere un saggio, acuto e fuori dagli schemi, di Alfio Mastropaolo: Antipolitica; All’origine della crisi italiana, Napoli, L’ancora del Mediterraneo, 2000).

Il 2007 presenta le stesse caratteristiche? Le stesse condizioni? Non ci pare. L’Italia oggi non è più un confine. Sta al centro di un’Europa senza muri. Il disagio verso le istituzioni, per quanto forte, non è un fatto nuovo. Né isolato, in Europa. In quella vecchia, tanto meno in quella nuova. E poi l’antipolitica oggi non costituisce un moto collettivo, che segnala un distacco collettivo. E’ un male diffuso e sottile. Anzi, più che un male é una "componente" che attraversa "tutte" le democrazie. Dove trova rappresentanza piena (in tutti i Paesi europei e non solo). Ha i suoi partiti e i suoi campioni. Che spesso governano o hanno governato. Anche da noi, ma non solo da noi.

Nel 2007, l’antipolitica ha conquistato la cittadinanza. In Italia, ma anche altrove. I suoi leader, come nei primi anni Novanta, si scagliano contro la "casta" (come recita il titolo del fortunato libro di Rizzo e Stella) degli eletti. Ma ne fanno parte anch’essi.

Oggi, l’antipolitica ci sembra riflettere soprattutto dalla delusione provocata dall’illusione trainata dall’onda antipolitica post-89. Pensavano, molti cittadini, che servisse a cambiare in meglio. La politica, l’economia, la classe dirigente. Non è avvenuto. Non nella misura immaginata e sperata.

Anzi, cio che é successo, in parte, ha contraddetto le attese. Da ciò la differenza da allora. Il 2007 non é il 1992, perché il 1992 c’é già stato. E perché manca il terremoto del 1989. Da allora il terreno si é assestato. Lo scenario che si prospetta, peraltro, non é meno insidioso. Le istituzioni, la classe politica, i partiti. Rischiano di venire sepolti non dalla rivolta, ma dall’indifferenza. Di affondare insieme al Palazzo, perché, sotto, il terreno è diventato sabbia.

http://www.repubblica.it/2007/02/rubriche/bussole/antipolitica/antipolitica.html?ref=hprub