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L’elenco delle nostre priorità

Publie le venerdì 5 dicembre 2008 par Open-Publishing

L’elenco delle nostre priorità

di Simone Oggionni

Condivido in larga parte la relazione del segretario, ma vorrei puntualizzare due aspetti dell’analisi che ha svolto sul contesto complessivo.

Il primo riguarda la crisi. Che non si soltanto una crisi finanziaria ma che intacchi anche il funzionamento concreto dell’economia reale penso sia, tra noi, un dato assodato.

Ma a me pare, e qui provo a puntualizzare rispetto a Ferrero, che non si tratta nemmeno soltanto di una crisi del neo-liberismo, e cioè soltanto del fallimento di quest’ultimo ciclo trentennale di contrazione salariale e di gigantesca redistribuzione della ricchezza dal lavoro al profitto e alle rendite. È una crisi che, più a fondo, mette in questione esattamente il meccanismo sistemico di funzionamento del modo di produzione capitalistico. Ed è importante riconoscerlo perché, al contrario (se non riconosciamo la natura strutturale della crisi), si potrebbe pensare che il capitalismo rimanga strutturalmente sano e, sgonfiata la bolla speculativa o messa una pezza, con un qualche intervento pubblico, ai guasti di questa fase neo-liberista, possa arrivare ad una sua auto-riforma risolutiva. E perché mette in questione il cuore del modo di produzione capitalistico? Perché è una crisi di sovrapproduzione e l’aumento della produzione delle merci, combinato con l’abbassamento dei salari (agito allo scopo di aumentare il plusvalore estorto) e con la crescita epidemica della precarietà (e quindi della povertà di massa) ha annullato la capacità di spesa di milioni di famiglie di lavoratori. E questa dinamica è ricorrente, non riguarda soltanto questa fase di rivoluzione passiva ma l’intero modello economico capitalistico.

Il secondo appunto riguarda la categoria, riesumata da Ferrero e rivendicata da Alfonso Gianni, di “spirale tra guerra e terrorismo”. Una categoria che era già fragile nel 2001 (perché sottendeva una circolarità inesistente delle responsabilità, per cui l’un fattore era causa e contemporaneamente conseguenza dell’altro) e che oggi è forse ancora più inadeguata se è vero – come scrive D’Eramo sul manifesto – che a Mumbai «non c’è stato un attentato, ma un attacco militare coordinato, pianificato da mesi, con truppe d’assalto e sbarchi via mare». Ecco, io penso che sia più pertinente (e sufficiente) la categoria generale di “guerra”, che sussume il terrorismo, perché la guerra in Afghanistan e in Iraq è a tutto tondo terrorismo e perché oggi il terrorismo (su cui il giudizio di nessuno qui dentro è mai stato ambiguo o reticente) presenta a tutti gli effetti la forma di una guerra guerreggiata.

Arrivo alla situazione italiana, per brevi cenni.

Il primo è che la crisi che ho descritto determina condizioni oggettivamente favorevoli allo sviluppo della nostra iniziativa politica e non è casuale, da questo punto di vista, che si stia verificando una ripresa del conflitto sociale che, per la prima volta e dopo mesi di consenso crescente, mette in difficoltà il governo Berlusconi. Il secondo è che questa crisi (le condizioni oggettive dei nostri riferimenti sociali e le iniziative di mobilitazione messe in campo dal movimento studentesco e dalla Cgil) riapre la partita nel sindacato e anche nel Pd. Perché anch’io penso che il nostro partito e la sinistra non possano permettersi di rimanere indifferenti a quello che accade nel più grande sindacato italiano e dentro il più grande partito dell’opposizione parlamentare.

Tuttavia penso che dobbiamo stare attenti a come manifestiamo ed esprimiamo questa nostra attenzione. Io ho visto in queste settimane più operazioni di piccolo cabotaggio che non il riconoscimento del fatto che le contraddizioni si determinano se si sviluppano conflitti e movimenti e se anche il nostro partito vi investe radicalmente. A cosa mi riferisco? Alle sollecitazioni più o meno velate affinché D’Alema faccia la scissione e alle ipotesi di liste comune che alludono a qualcosa di altro da Rifondazione comunista, ad una nuova formazione politica della sinistra, coem se la batosta di aprile non ci avesse insegnato niente. E su questo punto, davvero, vorrei capire da Alfonso Gianni la differenza politica (non linguistica) tra dissoluzione del partito e suo superamento! Semplicemente non c’è!

Concludo con due considerazioni. La prima: dobbiamo proseguire sulla linea di Chianciano, come concretamente stiamo cercando di sperimentarla: investire nel conflitto sociale, stare tra la gente e rimettere in moto il partito, lavorare per far crescere, dal basso, l’opposizione sociale al governo Berlusconi. La seconda: dobbiamo cominciare ad avanzare proposte concrete. Bruno Steri ci dice che, tra noi, siamo d’accordo sul 99% dei contenuti. È così! Riusciamo a mettere nero su bianco l’elenco delle priorità e delle proposte programmatiche sul tema della crisi economica? Facciamolo e mettiamo il partito (tutto) al lavoro su due o tre campagne politiche incentrate appunto intorno a queste nostre priorità programmatiche.