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L’emergenza razzista. Aosta Alabama andata e ritorno

Publie le martedì 9 gennaio 2007 par Open-Publishing

di Piero Sansonetti

Toccato ad una ragazza sarda di 24
anni, Eliana, il compito di fare la pietra
dello scandalo. Qual è lo scandalo? Che
in Italia c’è una emergenza razzista e tutti
fanno finta di niente. La storia di Eliana l’avete
letta ieri su “Liberazione”, raccontata
per filo e per segno da Walter Falgio. Eliana
ha risposto ad una offerta di lavoro per fare
la cameriera in un ristorante di Aosta, ma
quando il datore di lavoro si è accorto che
lei era nera, l’ha rispedita in Sardegna sostenendo
che nel suo ristorante una nera
non può lavorare. Voi pensate che il caso di
Eliana sia isolato? No, non lo è, l’originalità
del caso è che Eliana anziché abbattersi,
sentirsi umiliata, rassegnata, ha deciso di
protestare, ha parlato coi giornalisti, si è rivolta
ai carabinieri.

Vengono alla mente tanti episodi dell’America
degli anni ’50 e ’60. Avvenivano soprattutto
negli Stati del sud. Nel 1954 a
Montgomery, che è la città più importante
dell’Alabama, una giovane donna che si
chiamava Rosa Parks si ribellò alla discriminazione
razziale e si rifiutò di cedere a
un ragazzo bianco il suo posto a sedere in
autobus. Successe il finimondo, Rosa fu arrestata,
i neri iniziarono una protesta clamorosa,
boicottarono gli autobus, arrivò
dalla Georgia Martin Luther King, fu la
scintilla che mise in moto un grande movimento
che - dopo dieci anni abbondanti di
dure battaglie - ottenne la fine della segregazione.

Il razzismo però restò. Un giorno,
alla fine degli anni ’70, un cristone nero entrò
in un caffè del Texas, ma il padrone gli
chiese di uscire perché quello era un locale
solo per bianchi. Lui ci rimase male, anche
perché era un tipo di grandi ambizioni: si
chiamava Colin Powell e di mestiere faceva
il generale dell’esercito.

Siamo sicuri che esista una distanza abissale
tra quel razzismo duro e volgare di
marca americana e quello che sta crescendo
da noi? Temo di no. In settori non marginali
della nostra società, la xenofobia e la
presa di distanza “etnica” stanno diventando
sentimenti diffusi, e svolgono una funzione
di ”cemento” della collettività. Capite
che il rischio è enorme.

Il razzismo “civile”,
”moderato”, diffuso, come quello di
quel barista del Texas che scacciò Powell, è
quello più pericoloso perché mina le basi
della convivenza, colpisce al cuore la struttura
della civiltà e della tolleranza.
Possiamo prenderne atto e rassegnarci.
Oppure cercarne le cause. E le cause stanno
nelle classi dirigenti.

Cioè al vertice dei
partiti - non soltanto della Lega - nei giornali,
nelle Tv, e naturalmente nelle leggi. La
Bossi Fini è la peggiore legge approvata
nell’Italia repubblicana, perché - al di là dei
suoi eccessi e della sua furia repressiva - codifica
il comportamento e il pensiero di coloro
che dividono il mondo in “noi” e gli
stranieri, “noi” e i neri, noi egli altri. E stabilisce
una scala di diritti e di doveri. Diritti
per noi, doveri per gli altri.

Proclama la
“minorità” dell’ immigrato, che viene definito
solo in funzione dell’utilità sociale che
può avere per gli “italiani”, i “bianchi”. Cioè
per noi. Nel momento in cui le leggi sdoganano
questa concezione schiavista, non
c’è da stupirsi se un ristoratore aostano vede
Eliana e le dice: non puoi lavorare qui,
sei negra...

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