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"La libertà è la base di uno stato democratico."
Aristotele (384-322 a.C.), filosofo greco.
Domenica 31 dicembre, come tutti gli anni, si è svolta a Roma una manifestazione contro il carcere davanti al penitenziario di Rebibbia. C’erano poche decine di persone, forse 300. L’evento è stato organizzato da “Odioilcarcere”, un collettivo romano nato nell’autunno del 2002.
Il piccolo corteo si è mosso intorno a mezzogiorno ed ha sfilato davanti alle finestre delle celle sia del reparto maschile sia di quello femminile. Ingente il dispiegamento delle forze dell’ordine. Come se quei musicisti, ballerini mascherati a festa e famiglie con bambini avessero potuto creare le condizioni di possibilità per un’evasione di massa.
Alla testa del piccolo gruppo di manifestanti una banda di percussionisti preceduta dal suo clownesco corpo di ballo: ragazzi con vestiti dai colori sgargianti che danzavano al ritmo frenetico di tamburi e rullanti. A seguire la “Titubanda”, una splendida orchestra di fiati che ha allietato i presenti con la propria esemplare “passione festaiola”.
Dietro gli artisti tutti coloro i quali hanno aderito all’iniziativa: donne, bambini, giovani, adulti ed anziani. Tutte persone tranquille, sorridenti, che con la loro presenza hanno voluto dimostrare la propria solidarietà nei confronti dei carcerati, gente a cui il nuovo anno porterà solo un altro anno di reclusione.
La “sinistra sovversiva”, checché ne dicano Berlusconi & Co., questa volta non ha distrutto nulla. Ha sfilato in pace.
Dai riquadri ferrosi disegnati duramente dalle sbarre si affacciavano mani incredule che salutavano, si udivano voci lontane che ringraziavano, che invitavano i musicisti a spostarsi “più in là”, o “in qua”, per farsi ascoltare meglio.
La reclusione coatta è un’invenzione tipicamente moderna. Alla fine del Medioevo, caduti i codici comportamentali fondati sul vassallaggio, i detentori del potere si sono trovati di fronte alla necessità di creare una diversa stabilità sociale. I contravventori dovevano essere puniti non più dal proprio padrone, o dalla Chiesa, ma dallo “stato oligarchico”. La soggettività politica appena emersa. Nascevano così le carceri e tutta una serie di leggi finalizzate al preservamento del nuovo ordine costituito.
Personalmente sono favorevole. Favorevole all’applicazione di misure restrittive della libertà personale nei confronti di chi si è arrogato il diritto di togliere la libertà al prossimo in modo totalmente arbitrario. Perché la più grande forma di libertà è la possibilità di essere felici, e spesso le vittime di gravi soprusi delinquenziali questo diritto lo hanno perso.
Sono contrario invece alla lentezza del nostro sistema giudiziario, che condanna le coscienze dopo anni, già pentite. Contrario alle strumentalizzazioni politiche, perché la legge non sarà mai uguale per tutti. Contrario all’indifferenza di chi se ne frega di combattere per un sistema penitenziario fondato sul recupero dei criminali e criminalizza; quell’indifferenza che dimentica anche madri, padri, figli, fratelli, mogli e mariti dei criminali stessi.
Sono contrario a considerare i detenuti come bestie che non meritano nulla. Animali senz’anima né possibilità di pentimento. Individui a cui deve essere negata anche la solidarietà civile, quella laica. Quella del popolo. Ma sono contrario anche alle facili prese di posizione radicali, alle semplicistiche affermazioni ad effetto scritte su striscioni che non spiegano nulla.
Per questo, quando qualcuno ha legato alla ringhiera di un caseggiato antistante Rebibbia uno stendardo con su scritto “Odio ogni carcere”, io non ero d’accordo; ma non mi sentivo escluso.
Ai bambini con cui mi accompagnavo sono stati regalati palloncini, acqua, musica e trucchi per il viso. Se non fossero stati musulmani probabilmente avrebbero pure addentato una salsiccia succulenta.
Nell’aria si respirava condivisione. Era un giorno di festa. Per tutti.
L’INCONTRO
Fuori è un gioco
un encomiabile gioco
dietro gli occhi a scacchi
e quelli di cristallo,
che sorvegliano.
Dentro no.
Dentro è solo dentro.
Ferro, filo spinato
cemento armato.
Punto d’incontro: il vuoto
di mani, distanti
che si salutano.
M.B.