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L’incontro tra Ocalan e Ingrao-Una giornata particolare

Publie le domenica 15 maggio 2005 par Open-Publishing

Care tutte e tutti,

Non c’è giustizia e non c’è legge. Alla Corte di Strasburgo hanno prevalso le ragioni politiche. La Corte non ha riodinato la riapetura del processo, certo nella sentenza si legge che la riapertura del caso Ocalan sarebbe "una opzione appropriata", il che vuol dire che si limita ad auspicarla. La proposta di pace e negoziati di cui era portatore Ocalan non si è ancora compiuta, i kurdi devono ancora trovare e vedere riconosciuta la loro identità politica e cultulare, il loro irrevocabile diritto all’autodeterminazione. Vi mando con questa email due articoli, uno scritto da Pietro Ingrao, proprio sul suo incontro con Ocalan quando era in Italia e l’altro scritto da me nel Gennaio del ’99, quando l’Italia firmò la sentenza di Ocalan, ancor prima dei giudici militari turchi, negandogli il diritto di ottenere asilo nel nostro paese.

Buona lettura.

Una abbraccio,

Luisa Morgantini


UN INCONTRO PIETRO INGRAO E ABDULLAH OCALAN

Una giornata particolare

Un lungo dialogo con un uomo che viene da una lotta di resistenza, lunga e pericolosa E che ha portato nel cuore dell’Europa il nodo dellaquestione kurda, sfidando l’isolamento"Quel capo kurdo sta cercando una strada di pace nonostante la memoria delle crudeltà subite... E la lunga odissea di un popolo braccato potrebbe trovare una svolta, oggi in Europa"

 PIETROINGRAO -

L’ appuntamento con Luisa Morgantini è per le 10 e 30: mi chiamerà al citofono, perché nella mia casa non c’è portiere. L’incontro con Ocalan è fissato per le 11. Di solito io sono lento, e in ritardo sull’ora. Stavolta, correndo, riesco ad essere puntuale. Alle 10 e 30 scendo in strada senza aspettare la chiamata. Mi sembra scortese arrivare in ritardo dall’ospite. Ma Luisa non si vede. In compenso, sul marciapiede di fronte, c’è un signore di media età che sale e scende per tutto il tempo, su e giù frugando su una Punto. Sta lì per parecchio e, naturalmente, giurerei che è una spia. Luisa non si vede. Risalgo in casa. Luisa ha telefonato, il centro di Roma ha il traffico bloccato. Alla fine Luisa arriva, ma sulla tangenziale si procede meno che a passo d’uomo, a causa dello sciopero dei mezzi. Cambiamo strada, cerchiamo di infilarci per via di Villa Massimo ma Luisa sbaglia e finisce in una strada a senso vietato. Lì becchiamo il fermo da parte di un gruppo di carabinieri. Luisa fruga a lungo in complicate borse e borselli, ma inutilmente: s’è scordata a casa la patente (ammesso che l’abbia davvero). Sono furente, bloccato nella macchina mentre l’agente di polizia se la prende consapevolmente con lenta calma. Alla fine riusciamo a partire. Ma la tangenziale è ancora soltanto un immobile serpente di macchine, sotto un brutto cielo piovigginoso, che a Roma sembra un dispetto.

In attesa di uscire dall’imbuto ci mettiamo a raccontare antiche storie sessantottine, che riguardano la spendida e fantasiosa giovinezza di Luisa e le immaginose vicende che la trascinarono da un’acerba esperienza comunista agli irrequieti metalmeccanici della Fiom, e poi zingara del pacifismo, non so in che ponti dell’Oriente, tra palestinesi, kurdi, e non so che pezzi del Kosovo. Intanto assai lentamente siamo riusciti ad uscire dall’imbuto che blocca Roma, e incontriamo, calmo e paziente al posto stabilito, l’amico kurdo che ci porterà da Ocalan. Parla perfettamente l’italiano, sembra abituato alle attese, e avvezzo ad una calma. O forse il segno impercettibile di molte prove che mi spingono a un tacito rispetto verso questo essere, giunto, così sembra, "da lunghi esigli" come dicono i versi famosi di Saba. Ed arriviamo nella casa in cui sta il prigioniero, o l’ospite straniero, secondo come vi piace chiamarlo. Ci mettiamo a sedere in uno stretto salottino con abbigliamento sobrio, quasi un po’ liso, quando subito sopraggiunge Ocalan. Resto un po’ sorpreso. Non è come l’ho visto nelle fotografie in cui appare un po’ fisso, ieratico.

Qui di fronte a me è un uomo giovane, direi assai espansivo, con una grande voglia di raccontare e conversare. Dovessi dirlo con una parola sola, mi sembra un comunista militante come ne ho conosciuti spesso ad est, e rimanda subito ad un’immagine di Resistenza. Prima ancora del Kurdistan, ci tiene a parlare molto dell’Italia, della sua storia e nel dialogo viene subito sulla sua bocca - devo dire con una certa mia sorpresa - il nome di Gramsci, il ragionamento sul "Principe" di Machiavelli. Il discorso si prolunga parecchio sull’Italia, anche con molte domande e curiosità da parte sua. Direi che per un certo tempo parliamo più dell’Occidente e dell’Italia che dei Kurdi. Io ascolto, come restando un po’ a guardare. Rifletto un attimo dentro di me sulla strana penetrazione nel mondo di quella riflessione gramsciana, che è stata così costitutiva per il nostro destino e i nostri pensieri, e così severa nei suoi dilemmi e nel suo tragico esito. Di fronte a quell’amico kurdo, immerso in una lotta crudele, viene a mente la grande sconfitta, avvenuta nel secolo, di quei nostri tragici maestri: ora essi tornano sulla bocca e nelle parole di quel combattente (di quel boscevico: questo il temine che mi viene sulle labbra) che cerca una strada, una svolta possibile nella guerra atroce che egli sostiene contro la reazione turca. Naturalmente io spingo presto il discorso sull’oggi.

E la netta convinzione che traggo dal lungo dialogo (siamo stati alcune ore insieme) è che quel capo kurdo cerca una strada nuova, pacifica nonostante la memoria di crudeltà inenarrabili subite, e l’odissea di un popolo braccato e frantumato, in una misura che non riusciamo nemmeno a valutare. Questo mi sembra il punto politico nuovo; e trovo in qualche modo strano, e grave, che il mondo europeo, e prima di tutto la sinistra, non afferri e quasi non colga questa possibilità di svolta che c’è nella sanguinosa vicenda kurda. E’ possibile aiutare, favorire questa fuori uscita dal cozzo delle armi e avviare un processo che abbia qualche analogia - faccio solo un esempio - con il cammino israeliano-palestinese, e studi le strade di una condizione di autonomia riconosciuta al popolo kurdo in Turchia? E che si può fare, oggi, e presto per non smarrire questo filo e favorire un esito del genere o qualcosa di simile? Qui, per me, è il nodo. Il punto vero, la questione racchiusa nella vicenda Ocalan. Eluderlo significa non capire il tema vero in campo, che scavalca di molto le aule dei tribunali.
L’Europa e l’Italia possono rispondere di no, che se ne infischiano di questo tema schiuso dalla svolta di Ocalan, o che hanno altre cose a cui pensare.

O possono anche rispondere, brutalmente e candidamente, che non vogliono compromettere né i loro buoni affari in Turchia né il conto che fanno della Turchia reazionaria come guardiano armato dello sterminato e lucroso mare di petrolio serrato in Medioriente. Cioè Italia ed Europa, possono dirci:
il danaro prima di tutto e al di sopra di tutto. Questa scelta più che possibile è in atto.

E’ l’oggi. Ma se essa è
riconfermata e l’occasione Ocalan viene respinta al mittente, allora fa d’uopo gettare via bende e maschere. Allora ci vengano risparmiate le litanie sui diritti umani, perché in quel pezzo o frantumo di Kurdistan essi oggi sono strame. E noi europei lo sappiamo benissimo. E i cristiani d’Europa - per favore - ci risparmino lacrime e preghiere. Esistono tutt’ora due mondi (o tre o quattro se vi piacciono le analisi precise). In uno di essi - quello che sta sotto - non vivono diritti umani, né salvezza per i deboli e per i senza patria. Smettetela di raccontare menzogne dai vostri pulpiti. O almeno sappiate che voi non ci ingannate, non ci ingannerete; voi che vi stupite tanto dei massacri in Algeria. Perché mai siete tanto sorpresi di quei massacri? Che vedono - quegli integralisti algerini - ogni giorno sulla schiena del globo che non sia la supremazia delle armi e della violenza sopra ogni cosa, al primo posto? Volete processare Ocalan? Ebbene venga pure la Corte internazionale di giustizia, se questa orgogliosa, beneducata, elegante Europa è in grado di mettere in piedi almeno uno straccio di assise internazionale.

Essendo chiaro però che c’è un diritto d’asilo, il quale è scritto in Costituzione e che non è nella disponibilità di nessuno cancellare. Conviene però essere chiari anche con noi stessi, donne e uomini che ci definiamo di sinistra. Posso sbagliare, e forse Ocalan non sarebbe d’accordo con questo mio giudizio. Ma temo che tutt’ora, e ancora oggi, i kurdi siano terribilmente soli. O quasi. Temo che lo sforzo, il tentativo di Ocalan di spostare la lotta su un terreno pacifico sia assai difficile e a rischio. Dubito molto - davvero molto - che esso possa riuscire senza un movimento operoso di sostegno continuo e organizzato a questa prospettiva e ai diritti dei kurdi. Salvo avanguardie abbastanza piccole, la sinistra europea non sta lavorando per un tale movimento. Dico amaramente a me stesso che Ocalan, e ciò che egli rappresenta del popolo kurdo, sono oggi quasi soli. E spero di sbagliarmi. Quel secondo, o terzo, o quarto mondo ci è lontano. C’è stata una fase di questo secolo - una fase discutibile e anche folta di errori ma forte - in cui l’Occidente si interrogato sui dannati della terra, e sulla sua stessa storia - insanguinata - di Occidente. Oggi non è così. Dobbiamo dircelo, in questo mondo che vede una nuova, complessa forma di primazia del grande capitale e della finanza su scala
mondiale.

Il caso Ocalan sta dentro questo stato delle cose. Tale è il suo significato simbolico e il messaggio che ci manda. Possiamo fregarcene, o anche tentare arzigogoli, sotterfugi, per ingannare la nostra coscienza. Ma questo è l’aspro, amaro stato dei fatti. Su queste cose mi veniva di riflettere, tornando da quell’incontro con il capo kurdo, bloccato com’ero nella morsa del mare di macchine intasate, sotto la pioggia battente, nella capitale di questo paese. Domanda stravagante che mi spuntava in mente: che legami ci sono, e quali sono, tra quella metropoli strozzata dal traffico delle auto e quelle lontane plaghe del medioriente? Già, il petrolio...


Che pena, Ocalan lascia l’Italia...

di Luisa Morgantini

Che pena , che vergogna e che dolore, nel leggere e ascoltare le reazioni sulla partenza di Ocalan dall’ Italia. Quasi tutti sollevati dall’incombenza di dovere e poter fare qualcosa di serio per la difesa dei diritti negati di un popolo. Perché di questo si tratta. Il PKK non è un organizzazione terrorista. Combattono sulle montagne del Kurdistan da quasi 15 anni contro uno degli eserciti più forti e armati del Medio Oriente. Sono accusati di smerciare droga, (spero che non sia vero) finora non ne sono state trovate le prove. In compenso l’ultimo governo turco si è dimesso per scandali legati alla criminalità e alla droga. Certamente sono state fatte azioni di terrorismo da parte del Pkk e azioni di guerra che hanno provocato morti non solo tra i soldati dall’esercito turco ma anche tra i civili. Si sa che sono stati uccisi collaborazionisti kurdi, soprattutto tra i guardiani dei villaggi e anche tra gli insegnanti.

Per quel che mi riguarda, non lo saprei e non lo vorrei fare. Considero una tragedia che chi combatte per la libertà debba commettere atti crudeli, purtroppo di questo ne è testimone anche la nostra Resistenza. Per i kurdi, che ambirebbero vivere senza l’oppressione turca ed avere il diritto di esprimersi liberamente nella loro lingua, gli insegnanti turchi rappresentano l’espressione del regime che li opprime: ogni bambino kurdo, all’inizio di ogni giorno di scuola, deve recitare l’inno alla felicità e all’onore che gli viene dall’essere turco e subire una punizione ogni volta che parla in kurdo. Le guardie del villaggio denunciano, uccidono e mutilano ogni kurdo che osi rivendicare anche solo a parole la sua identità o abbia qualche amico o parente partito per la montagna a combattere con il Pkk. Centinaia sono i kurdi che fuggono dai villaggi o che sono stati uccisi, torturati, incarcerati perché si rifiutano di diventare guardie dei villaggi. Del resto questo non è segreto, lo sanno tutti, tant’è che il Parlamento Europeo tra le indicazioni sulla questione kurda - turca, chiede al governo turco lo smantellamento del sistema delle guardie del villaggio. E’ la guerra, per questo bisogna porvi fine.

Consegnandosi all’ Italia, Ocalan ci ha fatto onore ed ha dato fiducia alla nostra democrazia e ai valori che diciamo di difendere ed attuare: pace, giustizia e libertà. Ha ribadito la necessità di uscire dalla guerra con un negoziato pacifico. Abbandonando l’ Italia, ed esprimendo il suo rammarico, ha però mostrato la sua generosità, dichiarando di non voler essere un problema usato per fini di politica interna da parte delle opposizioni di destra o di centro e creare così grattacapi al nostro governo.

Non ci meritiamo tanta generosità.

Insieme a tanti altri ho avuto momenti di orgoglio per il comportamento iniziale del governo italiano. Oggi ho pena, vergogna, dolore. Dolore pensando ai milioni di donne, uomini, bambini kurdi che continueranno ad essere massacrati e torturati, ai loro villaggi distrutti. Niente retorica sono più di tremila i villaggi rasi al suolo nel Kurdistan turco di cui non si chiede conto alla Turchia, così come sono migliaia i democratici turchi e kurdi incarcerati e le loro sedi distrutte. Ma la Turchia, ci dicono, è un fedele alleato nella Nato, un partner economico rilevante e un baluardo contro l’integralismo islamico. Non possiamo rischiare di essere messi a rischio. Di fronte a questo non ci sono valori o principi che valgono, i kurdi possono essere sacrificati. Molti, se fallisse la proposta di pace e di negoziato lanciata da Ocalan, continueranno a combattere, e ne soffriranno tutti kurdi e turchi, molti di più saranno costretti a lasciare il Kurdistan. Non si riverseranno nelle città turche o in Iraq o in Iran o in Siria, in quei luoghi ci penserebbe l’esercito turco che viola le sovranità di quei paesi ad ucciderli e a bombardarli. Sbarcheranno sulle nostre coste pensando di trovare accoglienza perché noi siamo un paese ricco e democratico. E la loro odissea continuerà. Troveranno qualche militare o carabiniere di buon cuore, qualche associazione di solidarietà, e si spera una politica di rifugio da parte del Ministero degli interni, visto che il Ministro è una donna di alti valori umani. E poi troveranno i vari Berlusconi, Fini, che prima piangono sugli albanesi uccisi in mare e poi chiedono l’espulsione e la criminalizzazione di ogni immigrato. Che vergogna.!

Mi auguro, ma spetterà anche a noi associazioni e movimenti fare pressioni affinchè le parole dei rappresentanti del governo italiano siano vere: partito Ocalan, l’impegno per una soluzione negoziata del dramma del popolo curdo potrà essere posta all’ordine del giorno, non solo nel programma del governo italiano ma anche in Europa.

Intanto per Ocalan, la richiesta del diritto d’asilo non è stata ritirata, chissà che non venga concessa e in questo modo rispettata la nostra Costituzione.

Gennaio ’99