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Cosa divalo sta succedendo?
Berlusconi ieri ha parlato di "trame eversive" contro di lui... poi Calderoli se ne esce con "Un altro governo? Sarebbe un golpe" - ora le
dichiarazioni di D’Alema: "L’opposizione sia pronta in caso di scosse. Rischio difficoltà imprevedibili, potrebbe essere necessario prendersi responsabilità"
mah!
Messaggi
1. L’opposizione sia pronta ?!, 14 giugno 2009, 17:17
Beh, è evidente che qualcosa sta veramente succedendo ....
Berluska è al lumicino, ha i suoi principali "sabotatori" nell’ambito della sua stessa maggioranza ... ma soprattutto è inviso ormai alla grande industria tanto italiana che internazionale che non condivide la sua posizione incredibilmente "minimizzante" sulla portata della crisi economico/finanziaria ... non condivisa pienamente nemmeno da Tremonti ....
In più, marcando sempre di più i suoi rapporti con Putin e con Gheddafi, Berluska si sta facendo nemici tanto negli Usa che probabilmente anche in Israele ...
D’Alema come al solito esagera ... e poi tremo all’idea di un "governo tecnico" , magari diretto da Draghi, e di quello che potrebbe fare senza avere il problema di poi doversi ripresentare alle elezioni ... ricordo bene il Dini del dopo-Berluskoni del 1994 ed il suo attacco forsennato alle pensioni ed ai diritti dei lavoratori .... con pure la Cgil che plaudiva ....
Ma è appunto evidente che qualcosa, a scanso di equivoci qualcosa di non necessariamente positivo per i ceti sociali più disagiati in Italia, sta comunque succedendo ....
Del resto, non è che il capitalismo morirebbe insieme a Berluskoni .... anzi probabilmente è proprio certo capitalismo a considerarlo ormai "bollito" e controproducente ....
K.
2. L’opposizione sia pronta ?!, 14 giugno 2009, 17:24, di Pasquino
Forse il polpo è già cucinato, nella sua stessa acqua?
Vedremo!
1. L’opposizione sia pronta ?!, 14 giugno 2009, 19:15
Il Cavaliere e il suo fantasma
di EZIO MAURO
Dunque siamo giunti al punto in cui il Presidente del Consiglio denuncia pubblicamente un vero e proprio progetto eversivo per farlo cadere e sostituirlo con "un non eletto dal popolo". Un golpe, insomma, nel cuore dell’Europa democratica, come epilogo dell’avventura berlusconiana, dopo un quindicennio di tensioni continue introdotte a forza nel discorso pubblico italiano: per tenere questo sventurato Paese nella temperatura emotiva più adatta al populismo che può dominare le istituzioni solo sfidandole, fino a evocare il martirio politico.
È proprio questa l’immagine drammatica dell’Italia che l’uomo più ricco e più potente del Paese porta oggi con sé in America, all’incontro con Obama.
Solo Berlusconi sa perché dice queste cose, perché solo lui conosce la verità, che non può rivelare in pubblico, della sciagura che lo incalza. Noi osserviamo il dramma di un leader prigioniero di un clima di sconfitta anche quando vince perché da quindici anni non riesce a trasformarsi in uomo di Stato nemmeno dopo aver conquistato per tre volte il favore del Paese.
Quest’uomo ha con sé il consenso, i voti, i numeri, i fedeli. Ma non ha pace, la sicurezza della leadership, la tranquillità che trasforma il potere in responsabilità. Lo insegue l’altra metà di se stesso, da cui tenta di fuggire, sentendosi ghermito dal fondo oscuro della sua stessa storia. E’ una tragedia del potere teatrale e eccessiva, perché tutto è titanico in una vicenda in cui i destini personali vengono portati a coincidere col destino dell’Italia. Una tragedia di cui Berlusconi, come se lo leggesse in Shakespeare, sembra conoscere l’esito, sino al punto da evocare la sua fine davanti al Paese.
In realtà, come è evidente ad ogni italiano di buon senso, non c’è e non ci sarà nessun golpe. C’è invece un rapido disfacimento di una leadership che non ha saputo diventare cultura politica ma si è chiusa nella contemplazione del suo dominio, credendo di sostituire lo Stato con un uomo, il governo con il comando, la politica con il potere assoluto e carismatico.
Oggi quel potere sente il limite della sua autosufficienza. Ciò che angoscia Berlusconi è il nuovo scetticismo istituzionale che avverte intorno a sé, il distacco internazionale, il disorientamento delle élite europee, le critiche della stampa occidentale, la freddezza delle cancellerie (esclusi Putin e Gheddafi), lo sbigottimento del suo stesso campo: dove la regolarità istituzionale di Fini risalta ogni giorno di più per contrasto.
Il Cavaliere sente di aver perso il tocco, che aveva quando trasformava ogni atto in evento, mentre lo spettacolo tragicomico dei tre giorni italo-libici dimostra al contrario che le leggi della politica non sono quelle di uno show sgangherato.
Soprattutto, Berlusconi capisce che la fiaba interrotta di un’avventura sempre vittoriosa e incontaminata si è spezzata, semplicemente perché gli italiani improvvisamente lo vedono invece di guardarlo soltanto, lo giudicano e non lo ascoltano solamente. E’ in atto un disvelamento. Questa è la crepa che il voto ha aperto dentro la sua vittoria, e che è abitata oggi da queste precise inquietudini.
Il Cavaliere ha infatti ragione quando indica i quattro pilastri che perimetrano il campo della sua recente disgrazia: le veline, le minorenni, lo scandalo Mills e gli aerei di Stato. Giuseppe D’Avanzo, che su questi temi indaga da tempo con risultati che Berlusconi conosce benissimo, spiega oggi perché siano tutt’altro che calunnie come dice il premier. Sono quattro casi che il Cavaliere si è costruito con le sue mani, che lo perseguitano perché non può spiegarli, che lui evoca ormai quotidianamente mentre tenta di fuggirli, e che formano insieme uno scandalo pubblico, tutt’altro che privato: perché dimostrano, l’uno insieme con l’altro, l’abuso di potere come l’opinione pubblica comprende ogni giorno di più.
E’ proprio questo il sentimento del pericolo che domina oggi Berlusconi. Incapace di parlare davvero al Paese, di confrontarsi con chi gli pone domande, di assumersi la responsabilità dei suoi comportamenti, reagisce alzando la posta per trascinare tutto - le istituzioni, lo Stato - dentro la sua personale tragedia: di cui lui solo (insieme con la moglie che di questo lo ha avvertito, pochi giorni fa) conosce il fondo e la portata. Reagisce minacciando: l’imprenditore campione del mercato invita addirittura gli industriali italiani a non fare pubblicità sui giornali "disfattisti", quelli che cioè lo criticano, perché la sua sorte coincide col Paese. Poi si corregge dicendo che voleva invitare a non dar spazio a Franceschini, come se non gli bastasse il controllo di sei canali televisivi ma avesse bisogno di un vero e proprio editto. E’ qualcosa che non si è mai visto nel mondo occidentale, anche se la stampa italiana prigioniera del nuovo conformismo preferisce parlar d’altro, come se non fosse in gioco la libertà del discorso pubblico, che forma l’opinione di ogni democrazia.
In realtà Berlusconi minaccia soprattutto se stesso, rivelando questa sua instabilità, questa paura. Se sarà coerente con le sue parole, c’è da temere il peggio. Cosa viene infatti dopo la denuncia del golpe? Quale sarà il prossimo passo? E se c’è una minaccia eversiva, allora tutto è lecito: dunque come userà i servizi e gli altri apparati il Cavaliere, contro i presunti "eversori"? Come li sta già usando? Chi controlla e chi garantisce in tempi che il premier trasforma in emergenza?
Attendiamo risposte. Per quanto ci riguarda, continueremo a comportarci come se fossimo in un Paese normale, dove la dialettica e anche lo scontro tra la libera stampa e il potere legittimo del Paese fanno parte del gioco democratico. Poi, ognuno giudicherà dove saprà fermarsi e dove potrà arrivare questo uso privato e già violento del potere statale da parte di un uomo che sappiamo pronto a tutto, anche a trasformare la crisi della sua leadership in una tragedia del Paese.
"Repubblica" del 14.6.2009
2. L’opposizione sia pronta ?!, 15 giugno 2009, 16:46
Il premier e i consigli per gli acquisti
di MASSIMO GIANNINI
"Non date pubblicità ai media che cantano ogni giorno la canzone del pessimismo". Questa, dunque, è la "dottrina Berlusconi" sul libero mercato. Questi sono i "consigli per gli acquisti" che l’Imprenditore d’Italia impartisce ai suoi "colleghi". L’uomo che sognava di essere la Thatcher, che si celebrava come "l’unico alfiere dell’economia liberale" nel ’94 e come "il vero missionario della tv commerciale in Europa" nel ’96, oggi concepisce così i rapporti tra produttori, clienti ed utenti. Non un contratto. Neanche un baratto. Piuttosto un ricatto.
Le parole pronunciate dal presidente del Consiglio dal palco confindustriale di Santa Margherita Ligure sono un ulteriore, drammatico esempio dei tanti "virus letali" che si stanno inoculando nelle vene di questo Paese. è un problema gigantesco, che chiama in causa sia chi produce quei virus (il presidente del Consiglio) sia chi li subisce (l’establishment politico-economico).
L’infezione promana direttamente dal capo del governo, dalla sua visione del potere, dalla concezione tecnicamente "totalitaria" delle sue funzioni. Proprio lui, che dovrebbe essere il primo a conoscere e difendere le ragioni del mercato, le umilia e le distrugge in nome di un interesse politico superiore: il suo. Il ragionamento fatto ai giovani industriali è agghiacciante: "Bisognerebbe non avere ogni giorno una sinistra e dei media che cantano la canzone del pessimismo. Anche voi dovreste fare di più: non dovreste dare pubblicità a chi adotta questi comportamenti". Nell’ottica distorta del Cavaliere, la pubblicità non è più uno strumento da impiegare liberamente nella competizione economica: non si distribuisce più in base all’utilità del mezzo, all’efficacia del messaggio e alla profittabilità dell’investimento. Diventa invece un’arma da usare selettivamente nella battaglia politica: si distribuisce, a prescindere dall’efficacia del messaggio e dalla profittabilità dell’investimento, solo in base alla "fedeltà" del mezzo. Il presidente del Consiglio chiede agli imprenditori una sostanziale alterazione delle regole del mercato, con l’unico scopo di punire chi non è d’accordo con la politica del suo governo.
Il paradosso è che a sostenere questa tesi sia il capo del governo, che è al tempo stesso proprietario di Mediaset (e dunque di una delle maggiori concessionarie italiane) e azionista (attraverso il Tesoro) delle principali aziende pubbliche o semi-pubbliche del Paese. Come si regoleranno i dirigenti di Publitalia, nel distribuire le campagne pubblicitarie sulle radio e le televisioni? E come si regoleranno i manager di Eni, Enel, Finmeccanica, Poste, nel distribuire le loro campagne pubblicitarie sui quotidiani e i settimanali? Sarà interessante verificarlo, di qui ai prossimi mesi.
L’infezione inquina progressivamente il corpo della società italiana, delle classi dirigenti, delle istituzioni di garanzia. Una parola sugli imprenditori, innanzi tutto. Ancora una volta, bisogna constatare con rammarico che quando il Cavaliere ha lanciato il suo ennesimo anatema, dai giovani e dagli "anziani" di Confindustria non solo non si sono levate proteste, ma viceversa sono arrivati addirittura gli applausi. Eppure, per chi fa impresa e combatte ogni giorno sui fronti più esposti della concorrenza, le aberrazioni berlusconiane non dovrebbero trovare diritto di cittadinanza, in un convegno della più importante associazione della cosiddetta "borghesia produttiva".
Se esistesse davvero, una classe dirigente responsabile e consapevole del suo ruolo dovrebbe reagire, cacciando il mercante dal tempio. Invece tace, o addirittura condivide. E non solo nei saloni di Santa Margherita Ligure. Poche ore più tardi, nella notte di Portofino, il Cavaliere ha cenato con due alti esponenti del gotha confindustriale. Marco Tronchetti Provera (presidente di Pirelli ed ex azionista di riferimento di Telecom) e Roberto Poli (presidente dell’Eni) erano al suo fianco, mentre il premier smentiva la smentita dei suoi uffici di Palazzo Chigi, e confermava che con quell’intemerata sulla pubblicità ce l’aveva proprio con i giornali "nemici", e in particolare con "Repubblica".
Ebbene, anche in quella occasione nessun distinguo, nessuna presa di distanza da parte di chi dovrebbe preferire le leggi mercatiste di Schumpeter a quelle caudilliste di Berlusconi.
Ma una parola va spesa anche sulle cosiddette Autorità amministrative indipendenti, chiamate a tutelare la concorrenza, e sulla cosiddetta libera stampa, chiamata a difendere il diritto all’informazione. Solo in un Paese in cui si stanno pericolosamente snaturando i meccanismi di "check and balance" può accadere che di fronte a certe nefandezze ideologiche non ci siano organi di vigilanza capaci di fare semplicemente il proprio dovere. L’Antitrust non ha nulla da dire, sulla pretesa berlusconiana di riscrivere le regole del mercato pubblicitario con criteri di pura convenienza politica? E il giornale edito dalla Confindustria non ha nulla da dire, sul tentativo berlusconiano di condizionare le scelte commerciali dei suoi azionisti?
Domina il silenzio-assenso, nell’Italia berlusconizzata. Tutto si accetta, tutto si tollera. Anche un mercato schiaffeggiato dalla mano pesante del Cavaliere, invece che regolato dalla mano invisibile di Adam Smith.
(m.giannini @ repubblica.it)
(15 giugno 2009)
http://www.repubblica.it/2009/03/sezioni/politica/berlusconi-varie/giannini-acquisti/giannini-acquisti.html
3. L’opposizione sia pronta ?!, 15 giugno 2009, 16:48
Il Cavaliere all’incontro con Obama spiega ai suoi la mossa davanti agli industriali
I militari in più per l’Afghanistan saranno presi dal contingente in Kosovo
Il premier e l’affondo sul complotto
"Attenti che riporto l’Italia al voto"
dal nostro inviato CLAUDIO TITO
WASHINGTON - "Il mio governo andrà avanti tranquillamente, ma se non sarà così allora si tornerà al voto". Non è la prima volta che Silvio Berlusconi minaccia le elezioni anticipate. Quando sente "aria di complotto" brandisce il ritorno alle urne come un’arma. Sabato notte con gli amici a cena e poi ieri mattina al telefono con i suoi fedelissimi e con alcuni ministri ha spiegato il senso del suo affondo al convegno di Confindustria di Santa Margherita.
Il riferimento al "disegno" per portare un "non eletto" a Palazzo Chigi ha come prima contromisura proprio la minaccia di interrompere la legislatura. Prima di partire per Washington dove oggi incontra il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, il premier ha confermato a diversi big del centrodestra di voler rompere il tentativo di assedio che si starebbe organizzando intorno al suo esecutivo. "Ho voluto far capire - è stata la sua spiegazione - che stavolta non mi faccio ingannare". Naturalmente il riferimento è sempre al 1995, al governo Dini, insomma al "ribaltone". La sede scelta per "smascherare" il complotto non è stata frutto del caso: gli imprenditori. Gli esponenti del mondo economico e dei "poteri forti" che - a suo giudizio - vedono in Mario Draghi un’alternativa. Perché Berlusconi è convinto che tra i "complottardi" ci siano proprio diversi rappresentanti dell’imprenditoria. Così, sabato li ha avvertiti e nello stesso ha trovato il modo per tenerli sulla corda. Un modo, ha fatto capire ai suoi, per ammonire: "Quando verrete a chiedermi qualcosa, ricordatevi di cosa vi ho detto".
Tant’è che, in partenza per gli States, i suo collaboratori lo hanno descritto più "soddisfatto" che "preoccupato" rispetto alla situazione italiana. Semmai l’apprensione è concentrata sul colloquio con l’inquilino della Casa Bianca. Il Cavaliere ha preparato il summit pronto a giocarsi tutte le carte pur di convincere Obama, di persuaderlo che "l’Italia sta dalla sua parte". Sa che al momento lo stato di rapporti con gli Usa non è più sereno come sei mesi fa. Il caffè che prenderà oggi pomeriggio con il presidente americano rischia di essere un test decisivo. Il presidente del Consiglio è il secondo leader europeo - dopo l’inglese Gordon Brown - a varcare la soglia della Casa Bianca. Lo farà in qualità di presidente di turno del G8. Le due delegazioni, sette persone per parte, si vedranno nello Studio Ovale.
Obama chiederà cosa può fare l’Italia per onorare l’alleanza. Naturalmente si parlerà di Afghanistam e della disponibilità di Roma all’ampliamento del suo contingente. Berlusconi intende offrire a Obama questo schema: l’Italia troverà i soldati in più per Kabul grazie alla diminuzione di alcune centinaia di unità (da 300 a 500 su 3000) del contingente in Kosovo. Sul tavolo anche altri temi: Medio Oriente, Libano e soprattutto il G8 dell’Aquila.
Ci sono anche temi potenzialmente spinosi. La recente visita di Gheddafi in Italia e la grande visibilità concessa al colonnello libico, i rapporti con Mosca (in particolare l’amicizia con Vladimir Putin e la politica energetica dell’Italia a favore del gas russo), le elezioni in Iran dove sono presenti molte nostre aziende, gli accordi disdetti con Fimeccanica (il "no" Usa agli eliccotteri Agusta), la possibilità che vengano trasferiti in Italia alcuni dei detenuti di Guantanamo e infne alcune affermazioni fatte di recente dal capo del governo come l’impossibilità che l’Italia possa diventare un paese multietnico. Prima di entrare alla Casa Bianca, il premier italiano visiterà una mostra sull’Abruzzo alla National Gallery. Poi renderà omaggio ai caduti del cimitero di Arlington. Dopo il faccia a faccia con Obama, avrà un incontro con la speaker del Congresso Nancy Pelosi.
(15 giugno 2009)
http://www.repubblica.it/2009/06/sezioni/esteri/berlusconi-usa/berlusconi-usa-retroscena/berlusconi-usa-retroscena.html