Home > LA CRISI FINANZIARIA È ANNULLATA!

Uff...che sollievo! Tutti, da Ben Bernanke e il Who’s Who di sultani bancari presi dall’intrallazzo negli spessi vapori mentali di Jackson Hole, Wyoming, fino ai tediosi scribi del New York Times, affaticati nel loro labirinto di specchi Escheriano, fino al povero grigiore di James Surowiecki, al New Yorker, fino alla — miracolo dei mircaoli! — banda dei Germogli Economici che impazza sui network delle TV via cavo, all’assortimento di statistici, metodologi, fricchettoni del computer, ruffiani, fattorini, ganimedi e cretini in ogni ufficio, dall’Ufficio delle Statistiche sul Lavoro (Bureau of Labor Statistics) fino al FMI — ogni uomo e donna che abbia una sia pur minima connessione con le leve del potere e dell’opinione la scorsa settimana ha levato la sua lode alla sopravvivenza del sistema finanziario mondiale a quello che si è rivelato alla fine come un banale riflusso gastroesofageo prolungato, rinascendo come la nuova economia del Toro Miracoloso. Le nostre preoccupazioni sono finite. Se credete a queste cazzate. E io non ci credo.
Tutto questo non fa che mostrare come quelli che comandano negli Stati Uniti abbiano completamente perso il senno.
Danno l’impressione di credere davvero che questa esercitazione globale di "facciamo finta che..." sarà in grado di far risorgere la Grande Marcia agli ipermercati Wal-Mart, agli showroom di automobili e di nuovi appartamenti, di riaccendere un nuovo giro di cementificazione furiosa, di importazione di frullatori, di prestiti facili, senza menzionare il dare in pegno innovative cambialette stampate su carta igienica a creduli fondi pensione residenti in paesi dove non si è mai sentito parlare di due diligence (obblighi di comunicazione), sarà in grado di rispolverare gli LBO (Leverage Buy Out) di aziende sane da parte di affabulatori che non hanno la più pallida idea di come gestirle (e comunque nemmeno l’intenzione di farlo), di resuscitare la costruzione di nuovi centri commerciali, amministrativi, e Teknologici, di ripartire con il commercio di banconi in granito e home theatres e di ricominciare a far girare i tornelli di DisneyWorld — il tutto senza perdere di vista la trasformazione dell’Afghanistan in un vicinato di cui la Famiglia Bradford sarebbe orgogliosa.
Tra parentesi — e scusate la brusca digressione — ma c’è qualcuno che sa se Michael Jackson abbia già trovato degna sepoltura? Dopotutto è morto solo da un paio di mesi. E, se non l’ha ancora trovata, è forse quella la fonte dell’odore che attraversa da costa a costa il paese delle opportunità? Non è un tantino indecente continuare a tenere il povero cristo in attesa? O forse si sta pianificando segretamente un ritorno a sorpresa, comprensivo di frizzi, lazzi e gadget dell’evento?
L’America ama la parola "ripresa" ad un livello degno di una società catastroficamente malata. "In ripresa" è il nuovo mantra universale di individui e nazioni perdenti. Negli Stati Uniti tutti sono "in ripresa". Anche Michael Jackson (magari ha lasciato perdere l’attività somatica, ma per guardare il lato positivo, come dicono i Rotariani, c’è che ha smesso di usare droghe una volta per tutte, e che le riviste hanno smesso di pubblicare sue foto scattate dopo il 1990, quando ha trasformato se stesso in un qualcosa uscito dritto dritto da un catalogo di film dell’orrore).
Insomma, per riassumere, l’economia americana è in ripresa. Paul Krugman dice che ci renderemo conto presto che il PIL sta crescendo. No non scherzo, l’ha detto sul serio, sul circuito di chat della Sunday TV. Non per stare a spaccare il capello in quattro, ma vorrei veramente sapere che cosa intendi dire, mio caro Paul Masturbatore Fatuo. Vuoi forse dire che gli imprenditori edili di Atlanta apriranno una nuova frontiera di espansione suburbana nella Contea di Twiggs in modo da permettere ai pendolari di godersi una bella guidata di 160 miglia al giorno nel loro SUV fiammante per recarsi ai loro nuovi lavori di day traders in centro? Vuoi forse dire che la Fiera dell’Immobiliare sta per tuffarsi nel mare di bancarotte e salvare venti milioni di titolari di mutuo che stanno al momento godendosi una bella vacanza in fondo all’oceano? Vuoi forse dire che i covoni di asset tossici nascosti nelle casseforti di Citibank, JP Morgan, Bank of America ed altri (senza parlare dei libri contabili di ogni fondo pensione statunitense, e di un bel pò all’estero) si trasformeranno magicamente in Saccottini del Mulino Bianco alla riapertura dell’anno finanziario? Intendi dire che American Express e Master Card stanno per dichiarare una Perdonanza generale su tutti i conti in rosso? Vuoi dire che la General Motors produrrà un’auto che a) tutti vogliono veramente acquistare, e b) che l’impresa può vendere con profitto? Stai dicendo che stiamo per guadagnarci un bel flashback a, diciamo, il 1981? Abbiamo vinto una qualche lotteria cosmica che non è stata ancora annunciata? Che cos’è che sta aumentando veramente in questo paese, oltre alla disoccupazione, alle bancarotte, alle aste fallimentari, alle liquidazioni, al possesso di armi da fuoco e alla disperazione suicidaria? In breve, Paul Krugman, sei fuori di testa?
La chiave alla follia attuale è, ovviamente, questa aspettativa, questo desiderio, in realtà, che tutti i racket, i giochi, le schivate, le truffe, e le scorciatoie che il sistema bancario, economico e politico americano hanno inventato negli ultimi trent’anni — per nascondere il fatto sconfortante che in questi tempi produciamo veramente poco che abbia un reale valore — torneranno magicamente a pieno regime, come una macchina che ha passato un paio di settimane in officina. Ovviamente, questo non succederà. La macchina è rotta, permanentemente e senza rimedio — questi ridicoli meccanismi del moto perpetuo basati sull’idea che sia possibile ottenere qualcosa dal nulla. Per essere più precisi, noi non stiamo facendo veramente nulla per ricostruire la nostra economia lungo delle direttrici che siano coerenti con le realtà dell’energia, della geopolitica, o della scarsità di risorse.
Fin qui, le nostre nozioni di "green economy" ammontano a poco più di una presa per il culo verniciata di verde. Pensiamo che finiremo per costruire dei grattacieli "verdi"! Siamo troppo stupidi per capire quanto questo sia una contraddizione in termini. Gli architetti sono completamente disinteressati all’unico concetto veramente "verde" — l’urbanistica tradizionale — e più particolarmente, l’idea di quartieri e spazi aperti al traffico pedonale. E’ semplicemente troppo convenzionale per loro, non abbastanza speciale, manca di lustrini, non è abbastanza sofisticato, è noioso, non è all’ultimo grido! Ci riempiamo la bocca di treni ad alta velocità, ma non possiamo nemmeno andare da Cleveland a Cincinnati su un treno normale — e, cosa ancor più impressionante, nessuno è veramente interessato a fare in modo che sia possibile. Ci importa solo di trovare un qualche miracolo in grado di far continuare a correre le automobili.
Quello che stiamo vedendo non è altro che una iniezione massiccia di ormoni nei mercati azionari, eseguita principalmente da traders robot programmati, e la bistecca da cucinare la forniscono i cittadini presenti e futuri. Queste furberie non fanno che aggiungere nuovi rischi e fragilità così estremi che la prossima volta che un granello di sabbia finirà tra gli ingranaggi barocchi del sistema faranno affondare tutto ciò che c’è di funzionante nell’impresa USA. Finiremo per sputtanare non solo il capitalismo, ma anche l’idea stessa di capitale, cioé di ricchezza acquisita impiegabile. Ovviamente, quando questo succederà, gli eventi sul campo daranno un nuovo significato al termine "reality tv".
Titolo originale: "Financial Crisis Called Off"
Fonte: http://kunstler.com
24.08.2009
Traduzione a cura di ANGELO F.
Messaggi
1. LA CRISI FINANZIARIA È ANNULLATA!, 31 agosto 2009, 10:39
lunedì 31 agosto 2009
Si allunga la lista di banche USA a rischio!
Come in quasi ogni fine settimana dall’inizio dell’anno, anche in quello appena trascorso la Federal Deposit Insurance Corporation e le altre autorità preposte al corretto funzionamento del settore bancario hanno disposto la chiusura di alcune banche, in questo caso nel numero di tre e, per fortuna, di dimensioni medio piccole, portando così a 84 il numero dei fallimenti bancari nei primi otto mesi del 2009, contro i 25 del 2008 e i 3 del 2007, l’anno nel quale ha preso il via la tempesta perfetta.
Come ha ricordato di recente Sheila Bair, presidentessa del FDIC, quello bancario è un settore che accusa in ritardo le difficoltà dell’economia, anche se, mai come nel caso di questa crisi finanziaria, tutto è iniziato nel settore del credito, anche se a causa dell’operatività di una branca particolare di attività quale la finanza più o meno strutturata, attività caratteristica delle Investment Banks e delle divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali, ma il problema è che ora le banche sopravvissute ai problemi autogenerati devono fare i conti con la marea montante di insolvenze legate ai default delle famiglie e delle imprese.
Il primo a porre la questione dell’ondata di ritorno sulle banche dei guasti prodotti dalla recessione ufficialmente avviatasi negli Stati Uniti d’America nel dicembre del 2007 è stato il numero uno della Deutsche Bank, Joseph Ackermann, con una dichiarazione che avrebbe dovuto mandare a picco i titoli della sua e delle altre banche, cosa che non si è realizzata, almeno a vedere gli andamenti recenti delle quotazioni dei titoli della maggiori banche globali, anche per la ragione che operatori e investitori non le lasceranno fallire, come è invece accaduto per Lehman Brothers e per le altre 111 banche a stelle e strisce chiuse d’autorità.
Il problema è che la lista delle banche statunitensi a rischio secondo la stessa FDIC sono passate da 305 nel primo trimestre del 2009 a 416 nel secondo trimestre, un numero davvero preoccupante, ma ancor di più lo è l’incremento verificatosi in un lasso di tempo di appena tre mesi, per non parlare poi del fatto che la stessa lista è rigorosamente top secret, una circostanza che non fa dormire sonni tranquilli a tutti coloro che hanno depositi superiori a quella soglia di 250 mila dollari che vengono integralmente garantiti dall’organismo presieduto dalla Bair, che peraltro ha visto ridursi la sua dotazione a poco più di 10 miliardi di dollari, dopo averne persi 3,6 nel secondo trimestre dell’anno.
D’altra parte, quando il tasso di morosità sui mutui giunge al 13 per cento e quello sulle carte di credito è previsto portarsi a breve al 14 per cento, è evidente che le banche destinate ad andare incontro a un pericolo di difficoltà tendono a crescere, anche se è presto per dire quante tra esse siano destinate a chiudere i battenti e quante potranno sopravvivere grazie agli accantonamenti e alle riserve.
Quello che è certo è che i governi e le banche centrali hanno davvero raschiato il fondo del barile nella prima fase della tempesta perfetta, interventi che, peraltro, non sono stati assolutamente sufficienti a ridurre in maniera significativa l’altissima montagna di titoli più o meno tossici della finanza strutturata che ancora sono presenti al di sopra e al di sotto della linea di bilancio delle banche di tutto il mondo sussidiate con aiuti statali per migliaia di miliardi di dollari, il che sta a dire che quella che si apre in concomitanza con le dichiarazioni di prossima uscita dalla crisi, rischia di essere davvero una fase molto peggiore di quella che abbiamo vissuto dal 9 di agosto del 2007 a oggi.
Marco Sarli
http://diariodellacrisi.blogspot.com/2009/08/si-allunga-la-lista-di-banche-usa.html
1. LA CRISI FINANZIARIA È ANNULLATA!, 31 agosto 2009, 15:43
www.ilsole24ore.com
Fallite altre tre banche negli Stati Uniti
Nella notte fra venerdì e sabato negli Stati Uniti sono fallite altre tre banche, portando a 84 il saldo complessivo dei crack nel 2009. In particolare, le autorità di supervisione hanno decretato la chiusura della Affinity Bank di Ventura in California, della Bradford Bank di Baltimora nel Maryland e della Mainstreet Bank di Forest Lake nel Minnesota. I tre fallimenti costeranno circa 446 milioni di dollari al fondo federale di assicurazione sui depositi, il Fdic.
La presidente dell’agenzia, Sheila Bair, ha sottolineato che anche il numero di istituti a rischio è salito, portandosi a quota 416 nel secondo trimestre dell’anno dai 305 del primo. Nella lista sono presenti le banche che, secondo i supervisori, hanno problemi di liquidità, capitalizzazione o qualità degli attivi.
29 agosto 2009