Home > LA GIUSTA DISTANZA
Regia: Carlo Mazzacurati
Soggetto e sceneggiatura: Carlo Mazzacurati, Doriana Leondeff, Marco Pettenello, Claudio Piersanti
Direttore della fotografia: Luca Bigazzi
Montaggio: Paolo Cottignola
Interpreti principali: Fabrizio Bentivoglio, Giovanni Capovilla, Ahmed Hafiene, Valentina Lodovini, Giuseppe Battiston, Roberto Abbiati, Natalino Balasso, Stefano Scaldaletti, Mirko Artuso
Musica originale: Tin Hat
Produzione: Fandango, Rai Cinema
Origine: Ita, 2007
Durata: 107’
La giusta distanza è la misura con cui puoi evitare di finire uccisa come Mara o morire suicida come Hassan. Ma se la conservi, come t’insegna un giornalista che ti è maestro, accade che ti può sfuggire il colpo della vita nel mestiere cui tanto tieni. E il giovane Giovanni non la conserva. E’ ancora provincia profonda quella che ispira Mazzacurati, lì dove Pater Padus è sempre fiume sovrano, che inondi o sia in secca. E gli argini-Maginot celano case antiche e inquietanti più della nebbia. Palpa da decenni la provincia adriatica il regista, da Trieste al Polesine, e ne narra la lenta, implacabile deriva, simile al battello felliniano che appare a un tratto nella festa di fiume di questa storia. La deriva dell’omicidio insulso, sciocco, non voluto ma proprio per questo allarmante. E i personaggi macchiettistici non sono più agro-dolci quali i goffi amici imbroglioni de ‘‘La lingua del santo’’ ma angosciosamente vacui come il tabaccaio che acquista Suv, imbarcazione d’altura e moglie con lo stesso spirito.
C’è sempre la merce al centro dei loro pensieri, non più l’avventura e il fascino dell’ignoto de ‘‘Il toro’’ . La vita scorre banale e anodina ad accumulare euro per girarli di notte alle lucciole e anche chi pensa a sposarsi come Guido, sa già che tradirà o peggio. Il lirismo alberga nei cuori semplici e generosi, sempre duri a morire com’era l’operaio Antonio di ‘‘Vesna va veloce’’. Stavolta pulsa in petto all’immigrato tunisino Hassan che fa il meccanico e rimane straniato dalle sfavillanti pupille ‘‘berbere’’ apparse in paese. Il delta padano non è esente da magie e accanto a pesci-siluro e tonni pinne gialle il tocco d’esotismo può arrivare in corriera con la mestrina Mara che fa girar la testa pure ai paisàn novantenni davanti ai calici già di primo mattino. Mara è notata da tutti anche da Giovanni, speranza di vita di quel lembo di terra e acqua che si conserva. Giovanni ha diciott’anni, studia, vive col padre rimasto vedevo, e del paese sa tutto perché è un attento osservatore.
Mara ne ha trenta e sembra una ventenne. Arriva lì per sostituire l’anziana maestra che è uscita di senno (e vaga col battello di notte sul Po), prende per qualche mese in affitto una casa isolata, in attesa di partire per il Brasile con un progetto di cooperazione. Quel sorriso, che affascina già di per sé l’aria del luogo ferma e umida che sa di fango, è un’apparizione straordinaria e Hassan rapito, di notte va a spiarla. Scoperto e respinto, riesce con gentilezza e poesia a colpire a sua volta Mara ed è un tripudio di sensi. Lo stesso Giovanni, affascinato oltreché dalla scrittura dalle belle more come un’atleta coetanea per la quale ha iniziato a collaborare col quotidiano di zona, ha sguardi per Mara però è troppo giovane. Il suo acume e la penna lo fanno salire nella stima del cronista che lo avvia alla professione. Dopo che Hassan rivela a Mara l’amore e lei chiarisce che la sua vita sarà altra perché ha anticipato la partenza per il Brasile, resta il suo corpo immerso nelle acque fangose del Padus. La provincia ossessionata dal crimine dell’immigrazione ha già trovato l’assassino: Hassan. Lui si proclama innocente, si becca quindici anni poiché, testardo e passionale, non prende la giusta distanza accettando i cinici piani della difesa. E dopo la condanna si suicida.
Neanche Giovanni prende la giusta distanza. Ha conosciuto Hassan e la delicatezza del suo cuore, va a scavare fra le carte del processo. Poi col piglio del cronista di razza - segugio ancora in vita nella misteriosa strage di cani che c’è nella Bassa - recupera i numeri di certe telefonate ricevute dalla donna prima della morte. C’è anche quello dell’assassino. L’omicida della porta accanto. Omicida per caso, involontario, incapace di controllare gl’impulsi, pentito perché non sa ciò che fa, piagnucoloso e minimizzante. Sempre più presente nell’Italia di provincia e di città, banale più che misteriosa. Cerebrolesa dall’omologazione e dal consumo che consuma la propria vita. Eppure la speranza vive oltre la morte delle Mara e degli Hassan. Sarà il ragazzo diventato cronista a narrarlo in un giornale con la maiuscola grazie a intuito, intelligenza e coraggio che non ammettono distanze.
Enrico Campofreda, 19 ottobre 2007