Home > LA GUERRA IN CASA!

LA GUERRA IN CASA!

Publie le venerdì 16 febbraio 2007 par Open-Publishing

Il 17 Febbraio saremo a Vicenza per dire no all’ampliamento della base Dal
Molin. Raccogliamo in questo le sollecitazioni delle comunità locali che
in questi mesi hanno saputo riappropriarsi delle strade e delle piazze per
denunciare e contrastare l’impatto devastante che questo progetto avrebbe
sul territorio vicentino. In questo riconosciamo la saldatura con le lotte
vittoriose della Val di Susa e di Scanzano Ionico.

La retorica dell’impegno umanitario e la partecipazione alle dinamiche
imperialiste di occupazione militare e spartizione economica ritornano
oggi, ed in maniera quanto mai vistosa e nel loro volto più becero, ai
nostri territori. Una "Enduring Freedom" che lascia spazio soltanto ad una
"Permanente Guerra" e che non puo’ più essere percepita come distante, ma
che passa anzi dalla militarizzazione della città di Vicenza, destinata ad
essere satellite di un enorme agglomerato militare, capace di dettare a
tutti gli abitanti i propri estranei tempi, i propri spazi, le proprie
"belliche necessità".

Di fronte ad un Governo Prodi suddito, ed incurante dell’opinione e della
resistenza della comunità locale all’invasione militare che si tenta di
mettere in atto col progetto di ampliamento della base Dal Molin, la
priorità va all’affermazione che tutte le missioni militari italiane
all’estero, con o senza ONU, debbano cessare. Non di certo un problema
esclusivamente urbanistico, come il Governo ha tentato malamente più volte
di indicare, ma un problema di reale asservimento ad esigenze in palese
contraddizione con quelle delle popolazioni locali. L’obiettivo è e rimane
quello del fermare questo progetto, impedendo che il Governo possa giocare
sul piano di un baratto che vede come posta in gioco rifinanziamenti alle
missioni in Iraq, Afghanistan e Libano così come la risoluzione di
controversie giuridiche internazionali.

E così alla costruzione di fantomatici nemici interni ed esterni, cui
riservare politiche di sacrifici, da un lato, e di sterminio, dall’altro,
si affianca una concreta irreggimentazione dei fronti. Su quello interno
alla continua spremitura del tessuto sociale votata allo sfruttamento,
alla precarizzazione delle esistenze (fatte di Legge 30, di precarietà
lavorativa, di stillicidi Finanziari), alla criminalizzazione dei
movimenti sociali produttori di conflitto e rivendicazioni si accostano la
militarizzazione dei territori e l’internamento come modello di gestione
della mobilità dei soggetti (come nel caso del cpt). Su quello esterno il
rifinanziamento delle missioni militari registra la sconfitta dei modelli
di mobilitazione pacifista che hanno invaso le città durante il governo
Berlusconi, mostrandone la facilità di strumentalizzazione ad opera delle
attuali forze di Governo, e assimila chi legittimamente resiste
all’occupazione militare dei propri territori come in Iraq al concetto di
terrorismo.

Rigettando questa assimilazione, la possibilità di opporci concretamente a
questo nuovo progetto bellico passa sia dalla capacità di riprendere
un’iniziativa autonoma contro la guerra nelle piazze, sia dal rinnovare il
conflitto sociale contro la precarizzazione delle esistenze e contro
l’internamento etnico, sia dall’espressione della nostra solidarietà a
tutte le resistenze globali all’imperialismo.

Contro la Guerra Permanente: ENDURING RESISTANCE!
Contro ogni base militare!
Contro tutti i Governi guerrafondai!
Per la cessazione delle politiche imperialiste!
Per il rilancio delle lotte sociali!


In queste prime settimane dell’anno ci sono state recapitate le notifiche
di conclusione delle indagini preliminari svolte dal pm Paolo Giovagnoli.
I provvedimenti riguardano 41 persone per le vicende della "Fattoria", e
45 per quelle del consiglio comunale.

Ci viene contestato di aver impedito all’assessore alla casa Merola e al
presidente del quartiere San Donato Malagoli nel primo caso e a tutto il
consiglio comunale nel secondo di parlare, attraverso l’uso di minacce e
violenza, tutti reati che ci sono stati inoltre aggravati dall’uso
improprio, viste le accuse, dell’aggravante dell’eversione dello stato
democratico.

Inoltre il pm ha richiesto misure cautelari per tutti i manifestanti della
Fattoria (nella fattispecie gli arresti domiciliari per 16 imputati, il
foglio di via per 4, la libertà vigilata per i restanti), rigettate dal
gip e ricondotti in appello al tribunale della libertà dallo stesso pm.

La prima breve considerazione che vorremmo fare è proprio a proposito del
suddetto pubblico ministero. Sono oramai 2 anni che Giovagnoli mette in
pericolo le libertà democratiche di Bologna. Se, infatti, questa
democrazia è stata possibile costruirla solo con la lotta delle classi
meno abbienti, accusare di eversione ogni tentativo di conflitto per il
cambiamento sociale, che è stato comune ai partigiani sulle montagne come
agli operai che occupavano le fabbriche, dai picchetti anticrumiraggio
alle requisizioni della terra da parte dei contadini, è sintomo di una
cultura giuridica che non ammette nessuna partecipazione di democrazia dal
basso alle scelte fondamentali del vivere comune.

L’imputazione più grossa che ci viene fatta è quella di essere numerosi,
cioè della possibilità stessa di riunirci per mettere in comune desideri,
bisogni, linguaggi, lotte. Sintomo soprattutto, quello di Giovagnoli, di
un impianto, ormai prassi, accusatorio che si fa sostanza politica,
intervento autoritario per escludere determinate situazioni di lotta e
contenuti (la lotta al cpt, alla precarietà, al copyright, al caro-vita e
al caro-affitti) dallo stesso dibattito cittadino, intervento che in città
si fa volontà di selezione dall’alto delle scelte di autorganizzazione dei
soggetti.

In questo, aggravato in Giovagnoli per il fatto che il suo non può essere
intervento politico visto il ruolo che ricopre, a meno ovviamente di non
"sovvertire" l’ordinamento della divisione costituzionale dei poteri,
vediamo una comunanza con le politiche di Cofferati. Un passaggio, certo
ideale e culturale, fra il comando politico e la diretta esecuzione
giudiziaria.

Per questo riteniamo gravissima la posizione espressa dal presidente di
quartiere Riccardo Malagoli. Dapprima sostenitore delle occupazioni, oggi
all’interno dei meccanismi di repressione dei movimenti e dei bisogni. Mai
ci saremmo aspettati, pur nelle differenze politiche, che un esponente
della cosiddetta sinistra radicale individuasse i compagni sulle
fotografie mostrategli dalla Digos. Forse qualcuno poteva ancora pensare
che il morboso intrecciarsi di giudiziario, poliziesco e politico nella
repressione delle istanze dal basso non fosse di casa in quei lidi. A Roma
ad esempio l’equivalente istituzionale di Malagoli, un presidente di
circoscrizione sempre di Rifondazione, requisisce le case sfitte per
assegnarle ai precari...

Per i fatti contestatici, poi, concernenti le nostre proteste nei
confronti del consiglio comunale che non ha espresso dissenso sulla
presenza dei cpt in città, pur presente nel programma di maggioranza, e
per aver cambiato l’ordine del giorno in un’assemblea di quartiere, dopo
che la polizia aveva circondato l’intera Bolognina per sgomberare 2
appartamenti, crediamo parlino da soli.

Pratiche comuni nel movimento e non solo. Nel primo caso, poi, siamo stati
addirittura relatori principali di una commissione speciale sui CPT, con
la presenza dell’assessore Mancuso e della vicesindaco Scaramuzzino.

Nel frattempo le denunce sono partite, ma gli appartamenti pubblici
continuano ad essere abbandonati e i CPT a rinchiudere i migranti.

Laboratorio Occupato CRASH!
Movimento Autorganizzato Occupanti
Collettivo Universitario Autonomo