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LA MAISON JAUNE

Publie le domenica 26 agosto 2007 par Open-Publishing

Regia: Amor Hakkar
Soggetto e sceneggiatura: Amor Hakkar
Direttore della fotografia: Nicolas Roche
Montaggio: Lyonnel Gamier
Interpreti principali: Amor Hakkar, Ava Hadmi, Tounès Ait-Ali
Musica originale: Jo Macera
Produzione: Sarahfilms, HA Films
Origine: Fra, Alg, 2007
Durata: 82’

Per parlare del dolore, del suo dolore anche se con ruoli invertiti Amor Hakkar si fa crescere i mustacchi e si mette davanti, oltre che dietro, la cinepresa. Così quello che nella vita personale era stato l’accompagnamento di suo padre defunto verso i luoghi delle proprie radici - il massiccio algerino dell’Aurès – diventa nella finzione filmica il recupero della salma d’un figlio da parte di un padre contadino interpretato dallo stesso regista. Il viaggio reale deve aver segnato a fondo Hakkar che ha vissuto prevalentemente in Francia se dopo dieci anni ha voluto trarne spunto per la trama di questo lungometraggio che accanto all’elaborazione del lutto, parla di famiglia, tradizioni, rapporti fra persone. Lo fa per immagini e sensazioni più che per dialoghi e questo è il valore e il limite della pellicola che unisce momenti empatici con lo spettatore ad altri poco comunicativi se non addirittura stereotipati.

Nel viaggio che il capofamiglia (Mouloud) compie per recuperare il cadavere del figlio Belkacem, morto inaspettatamente durante la leva, c’è il lento attraversamento d’una impervia regione. Mouloud è un contadino povero, viaggia su un trattorino agricolo di giorno e di notte, incontra l’accoglienza e la comprensione di concittadini e gli ostacoli, comunque superati, della burocrazia. La tragedia, giunta inattesa e inspiegabile, sembra immediatamente arginata dall’attivo realismo con cui l’uomo s’allontana da moglie e figlie per riprendere la salma del giovane. Ma lo sguardo pure attento e distaccato di Mouloud è colmo di sofferenza. Tornato nella sua casupola e inumato il corpo il nuovo dolore che l’affligge è la condizione della moglie che non riesce a riprendersi dal colpo ricevuto. Non mangia, è muta, sembra esser morta con Belkacem.

Mouloud fa di tutto per recuperarla: chiede un medicinale contro la tristezza, dipinge la capanna di giallo perché viene a sapere che è un colore che piace alle donne, prende un cane perché la moglie da piccola amava questi animali insomma cerca in ogni modo di ravvivare una situazione che appare compromessa. Lui povero venditore di patate giunge addirittura a spendere una cifra folle e rilevare un televisore con videoregistratore per visionare una cassetta dove il figlio ha registrato un saluto alla famiglia. Superando anche la difficoltà della mancanza d’elettricità nella propria abitazione riesce alla fine, davanti all’immagine del figliolo, a far sorridere la consorte e forse reintrodurla alla vita. Ma quel ripristino di normalità è arricchito soprattutto dalle molteplici manifestazioni di partecipazione e solidarietà della gente che hanno rafforzato Mouloud aiutandolo nell’elaborazione del lutto.

E’ nell’incontro col tassista che lo traina, il meccanico che gli ripara il motore grippato, l’addetto all’obitorio che chiude un occhio sul “furto” del feretro, il poliziotto d’un posto di blocco che impietosito gli regala un lampeggiante per marciare di notte. E anche nelle preci dell’imam e nella disponibilità del Prefetto che lo riceve superando i preliminari burocratici, che Mouloud incontra il calore e l’umanità del suo popolo e lenisce un evento tragico come quello vissuto.

Enrico Campofreda, 26 agosto 2007