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LA SENTENZA DELLA MAGISTRATURA DI TORINO: UN MONITO AL SISTEMA IMPRENDITORIALE
Publie le martedì 18 novembre 2008 par Open-PublishingMAI PIU’ MORTI SUL LAVORO.
Omicidio volontario. Questa è la decisione del Giudice delle indagini preliminari Francesco Gianfrotta, dopo un lungo dibattimento che ha impegnato diverse udienze, ha rinviato a giudizio alla Corte di Assise di Torino i responsabili della ThyssenKrupp per i sette operai morti il 6 dicembre del’anno scorso. Per la prima volta nella storia della giustizia italiana l’infortunio sul lavoro viene considerato omicidio volontario.
La tesi presentata dai loro avvocati è stata platealmente battuta, non può essere che 7 operai siano morti per un triste e tragico destino, o peggio, per un errore umano. Il Pubblico Ministero ha dimostrato il contrario, le responsabilità ci sono e sono gravissime .
Ora inizia il percorso per fare di questo processo un laboratorio di costruzione di una coscienza civile contro l’idea dominante, impregnata di pietismo piuttosto che di indignazione, dell’inevitabilità degli infortuni. Questo è stato definito un processo simbolo per l’eco che ha avuto sui media. Dei morti alla Thyssen si sono interessati tutti ma alla fine del processo sarà inevitabile una verifica sul grado di consapevolezza acquisita dai cittadini, in particolare dai politici e dai giornalisti, sulla responsabilità delle imprese negli infortuni e sulle malattie professionali che portano a morte, a gravi infortuni e ad inabilità permanenti. Gli omicidi sul lavoro e le malattie professionali hanno cause ben precise, di ciò, come lavoratori direttamente esposti al rischio e come soggetti impegnati nella costruzione di una cultura di prevenzione praticata, ne siamo convinti da sempre - e lo sanno bene anche i soggetti tecnici, politici e sindacali deputati all’applicazione delle leggi e del controllo permanente sui responsabili dei potenziali luoghi dentro i quali il dolo potrebbe avverarsi – ma la cultura dominante tende ad archiviare ogni infortunio con la causale della fatalità e spesso della responsabilità della vittima.
Ho partecipato alle udienze delle indagini preliminari come Parte civile in rappresentanza di Medicina Democratica ma anche nelle vesti di giornalista del periodico “Lavoro e Salute” da sempre indagatore delle cause alla fonte del rischio insito in questo sistema produttivo. Un sistema, che permette agli imprenditori di soprassedere agli obblighi di legge e, nel caso della Thyssen, trova anche naturale aumentare la produzione durante lo smantellamento degli impianti senza alcuna preoccupazione, non tanto per il surplus di fatica del ridottissimo numero degli operai quanto per l’aumento esponenziale dei rischi per la sicurezza delle persone. Sistema criminale, nel quale crescono e si riproducono mandanti dei delitti loro ascritti, quando la legge funziona! Nel caso della Thyssen la legge ha funzionato a dovere ed ha saputo inficiare il tentativo della difesa degli indagati tutta tesa - con motivazioni poco originali in quanto già portate a scusante in molti altri casi – a dimostrare che quanto è avvenuto quella notte è stata una tragica fatalità e comunque la causa è da ricercarsi in inadempienze da parte degli operai; da brividi nella schiena è stato l’esempio della richiesta di risarcimento ai famigliari delle vittime da parte del titolare della Umbria Olii mentre la Thyssen avrebbe benevolmente soprasseduto, anzi provvederà e risarcire con esborsi cospicui. Inutile è stato anche il tentativo di trincerarsi, da parte della difesa, dietro l’attenuante che nulla fosse stato prescritto dagli organi prescrittori di controllo, a me è parso non solo infantile ma anche offensivo nei confronti del Pubblico Ministero, dr. Guariniello, perché introduceva il sospetto che si fosse evitata un’aggiunta responsabilità di quegli organi pubblici. Alla fine inutile è stata questo e altri auto consolatori tentativi di scusante per l’alta dirigenza della multinazionale: omicidio volontario per il massimo dirigente tedesco E. Espenahn, e omicidio colposo per gli altri cinque dirigenti suoi delegati sul territorio italiano. Sentenza storica a monito della coscienza nazionale di un paese tristemente simbolo sul tema degli infortuni sul lavoro, a disposizione delle istituzioni politiche e sindacali e moralmente gratificante per noi Rappresentati dei Lavoratori per la Sicurezza, spesso isolati megafoni inascoltati di allarme preventivo.
Durante le udienze ho avuto modo di sentire tutto, nelle frasi ponderate e sommesse e negli atteggiamenti fortemente composti, il dolore profondo dei famigliari delle vittime. Persone dalle quali bisogna imparare per continuare a costruire una comunità di intenti, per non restare chiusi, come RLS, nei luoghi di lavoro tra riunioni, sopralluoghi, denunce d’inadempienze. Oggi il nostro impegno non è più sufficiente per determinate reali condizioni e cominciare a dire concretamente "basta" alla strage quotidiana sul lavoro, c’è bisogno di un movimento civile che risvegli le coscienze e ci rivolgiamo alle madri, ai padri, alle mogli, ai figli dei lavoratori morti perché siano loro, insieme a noi RLS, ad insegnare ai politici, ai sindacati, agli imprenditori come si difende il valore della vita difendendo la dignità del lavoro, riunendosi in un comitato nazionale sull’esempio delle Madri dei desaparecidos argentini.
Per non dimenticare le migliaia di lavoratrici e lavoratori fatti scomparire da questa dittatura confindustriale.
Franco Cilenti
http://blog.libero.it/lavoroesalute