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LE SEI MISSIONI DI FORMIGONI SULLA ROTTA MILANO BAGDAD

Publie le domenica 13 febbraio 2005 par Open-Publishing

Tra petrolio e aiuti umanitari, tra scambi culturali
e carciofi alla giudìa, le peripezie del governatore

Le sei missioni di Formigoni
sulla rotta Milano-Bagdad

Da una parte gli ospedali a cui portare medicine
dall’altra miliardi di barili. In mezzo l’embargo
di FILIPPO CECCARELLI

Cosa non ha fatto per l’Iraq Roberto Formigoni. Ha aderito a digiuni e ridisegnato confini, ha lanciato piani Marshall e calpestato mosaici con il volto di George Bush. Ha accolto con lo stesso trasporto bimbi malati e tagliagole della nomenklatura, ha presentato libri e mozioni, ricevuto premi e insulti. Ha pure litigato con don Gianni Baget Bozzo, anni orsono. "Uomo per tutte le stagioni, anche quelle di Saddam Hussein" l’ha definito il sacerdote genovese. E Formigoni gli ha risposto: "Bisteccone cattolico".

Erano i primi anni novanta. Ma anche in seguito come emissario segreto di Andreotti, vicepresidente del Parlamento Europeo, esponente del Cdu e poi di Forza Italia, governatore lombardo, epigono del terzomondismo cattolico, amico della Compagnia delle Opere, "Formiga" ha insediato progetti umanitari, sostenuto ponti ospedalieri, ma ha anche individuato opportunità commerciali. Ha fatto assaggiare i carciofi alla giudia a Tarek Aziz e scambiato sigari con lui. Ha perfino spedito laggiù un video con le ballerine della Scala e valutato la partecipazione della Lombardia a una mezza dozzina di esposizioni fieristiche, pure auspicando che il settore dell’arredamento contribuisca alla ricostruzione post-bellica.

E il petrolio? Un momento, il petrolio viene dopo. Rivisto il tutto con il senno di poi, si direbbe che forse Formigoni ha fatto il passo più lungo della gamba. Comunque negli anni ha molto viaggiato fra Milano, Roma e Bagdad, allungandosi anche verso il Kurdistan. Con l’ausilio della benemerita banca dati dell’Ansa, risultano censiti sei viaggi. Almeno. Ma più che viaggi si direbbero missioni, anzi vere e proprie avventure, a loro modo umanamente fantastiche e diplomaticamente disagevoli: contatti azzardati, incontri semiclandestini, aeroplani bloccati all’ultimo, fermi sulle piste, egualmente carichi di indispensabili medicinali e astuti imprenditori, preti caldei, democristiani pugliesi, ex pontefici del marxismo-leninismo convertitisi al cattolicesimo ciellino.

Nel dicembre 1990, al culmine della prima crisi del Golfo, Formigoni partì per l’Iraq contro il parere del ministro degli Esteri De Michelis, ma con il tacito incoraggiamento del presidente del Consiglio Andreotti. Riportò a casa 166 ostaggi che nei colloqui Saddam Hussein si ostinava a chiamare "ospiti".
I grandi poteri rimasero perplessi dinanzi a questa bizzarra diplomazia un po’ italiana, molto andreottiana e ancora di più vaticana. Formigoni tornò subito dopo la guerra, nel maggio del 1991, visitò i profughi curdi, ma anche i soliti truci dignitari del regime Baath. Del resto, quelli allora comandavano a Bagdad e bisognava accontentarsi, nella migliore tradizione democristiana.

Altro viaggio nel settembre del 1992, con parlamentari molto di sinistra (Fava, Ronchi, Russo Spena, La Valle); e lui nel ruolo ormai scontato di tour-operator.
Doveva partire anche nel marzo del 1995, con una dozzina di imprese (tra cui Agip, Alenia, Zanussi, Ctip, Techno-Synthesis), ma all’ultimo minuto si trattenne in Italia. Gli eventi bellici avevano trascinato gli iracheni in una condizione pazzesca, pieni com’erano di greggio e di miseria. Da una parte gli ospedali pieni di bambini malati senza medicine e dall’altra miliardi di barili di riserve petrolifere. Per qualsiasi uomo d’affari era il classico piatto ricco mi ci ficco, ma l’embargo, le sanzioni non lo consentivano.

Formigoni si concentrò su questo ostacolo con l’energia che gli è propria. Nell’ottobre del 1995 fu invitato in Iraq a seguire le operazioni di voto al referendum truffaldino pro-Saddam. Vide le donne e i bimbi vestiti a festa che inneggiavano al raìs. Tornò a Bagdad nel maggio del 1999 per una generica Conferenza Internazionale di Politica Mondiale, insomma un raduno di possibili amici di un regime sempre più screditato. E ancora volò dal suo amico Tarek Aziz nel novembre del 2000.

Quella volta, per la verità, non lo volevano proprio far partire. La Turchia non concedeva lo spazio aereo, ma neanche a farlo apposta proprio lì a Linate incontrò Romano Prodi. Gli spiegò che aveva sulla pista 10 mila fiale di medicinali e due apparecchiature per la dialisi. Gli fece anche presente lo scarso entusiasmo con cui il governo italiano cercava di sbloccare lo stallo: "La mia posizione - disse il presidente dell’Ue - è molto semplice: dove muoiono i bambini si va".
Chissà se Prodi lo ripeterebbe dopo le rivelazioni del Sole 24ore e del Financial Times.

In ogni caso alla fine riuscì a partire. Nei saloni del grande albergo che ospitava la Conferenza contro l’embargo fece ai giornalisti questo discorso: "Ho parlato con il ministro del petrolio iracheno con cui ci conosciamo da tempo. Abbiamo parlato di un loro gesto importante, quello di farsi pagare in euro, che nessun governo europeo ha mostrato di apprezzare, ma che nei fatti è un aiuto straordinario alla nostra moneta e alla nostra economia. E’ bene che si apra un dialogo - continuò secondo il resoconto dell’Ansa - perché l’attuale politica del petrolio penalizza i consumatori europei e specialmente quelli italiani. Credo che non sia vietato pensare a un diverso mercato. E quindi: perché non pensare a una progettazione nuova tra alcuni paesi produttori e alcuni paesi europei come l’Italia per pagar meno questa fonte importantissima di energia?".

Erano parole impegnative per un presidente di Regione. Nella storia della Repubblica c’è tutta una filiera di potenti cattolici - da Enrico Mattei fino ad Andreotti, passando per Fanfani e per Moro - che a un certo punto della loro vicenda di potere si sono posti il dannatissimo problema dell’autonomia energetica italiana. E puntualmente ne trovavano la soluzione al di là del Mediterraneo.

Di tutti, il più simpatico era senz’altro Giorgio La Pira. Non governatore, ma sindaco di Firenze. Ma soprattutto un uomo ardente e un po’ folle, uno spirito allegro e pieno di fede che diceva sempre tutto quanto gli passava per la testa. Con il sovrano del Marocco, Maometto V, se ne uscì con la seguente astuta e poetica formula: "Noi portiamo sempre un soffio di preghiera e un soffio di petrolio". Ma La Pira era certo un profeta e forse un santo. Formigoni bisogna proprio vedere.

(13 febbraio 2005)

http://www.repubblica.it/2005/b/sezioni/esteri/oilforfood/seimissioni/seimissioni.html