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Lesa maestà
GALAPAGOS
A Torino, Terni, Roma anche ieri i lavoratori (operai, tecnici, programmatori e analisti) della Fiat, della Thissen-Krupp e della Finsiel hanno fatto sentire la loro voce per cercare di richiamare l’attenzione su situazioni di crisi che coinvolgono il futuro del paese. Strillavano forte, eppure il Palazzo seguita a non sentirli: come ci ha spiegato Eurispes, la politica è un soggetto autistico, chiuso in se stesso, incapace di dialogare e parlare. Eurispes dice anche, in un abbozzo di analisi strutturale, che la perdita di credibilità delle istituzioni è il prodotto del perdurare della crisi economica. E aggiunge che la gente è sfiduciata, vive male la crescente precarietà creata dalle dosi massicce di flessibilità. Ha paura del futuro perché vive un presente difficile da un punto di vista economico con un rischio crescente di povertà e di redditi che negli ultimi anni sono stati erosi da un’inflazione che non è mai democratica. Si può dare torto a Eurispes? Apparentemente no, eppure la destra l’ha presa «storta». Accusa Eurispes di lesa maestà. Certo, non può accusare Eurispes di essere un covo di comunisti, visto che tra i consiglieri dell’Istituto ci sono fior di fascisti, come il ministro Alemanno. Però Berlusconi che ha fatto dei sondaggi la sua arma vincente, questa volta manda a dire dalla sua portavoce che quelli di Eurispes, alla base dell’analisi, sono «dati demagogici di quart’ordine» che evidenziano contraddizioni evidenti. La contraddizione tra cittadini alla fame, ma con vendite di massa di televisori al plasma; oppure tra il fatto che consumiamo meno cibo, ma produciamo più rifiuti. Affermazioni che sono la negazione dell’intelligenza: Eurispes descrive una società dicotomica nella quale non diventano tutti più poveri, ma nella quale cresce il numero dei poveri e al tempo stesso cresce il numero dei molto ricchi.
Eurispes insiste sul concetto di inflazione percepita. Forse esagera nella stima della perdita del potere d’acquisto, ma non c’è dubbio che negli ultimi anni c’è stato un impressionante travaso di redditi a favore di chi poteva «fare i prezzi» e a danno di chi quei prezzi doveva subirli perché i salari non potevano aumentare per l’accordo del `93 e per questioni di competitività.
La globalizzazione fa vittime. Non è una novità: tutte le fasi del capitalismo (caratterizzate da importanti innovazioni) hanno fatto vittime. In Italia, purtroppo, c’è un’aggravante: il sistema produttivo, la manifattura che aveva creato il miracolo italiano, sta scomparendo sotto le spallate di un inarrestabile declino industriale e le proteste di ieri sono solo la punta di un iceberg di situazioni critiche. Nella sua analisi Eurispes è in buona compagnia: da anni il governatore della Banca d’Italia e la Cgil hanno lanciato l’allarme. E i dati della produzione industriale (in declino da tre anni), degli ordinativi, dei consumi (quasi fermi) e delle esportazioni forniti dall’Istat (secondo il governo è l’unica fonte attendibile dell’informazione statistica) lo confermano.
Tutto questo porta Eurispes a esprimere un giudizio di sintesi sul quale difficilmente è possibile esprimere dissenso. L’Italia - ci dicono - ha fatto un passo indietro lungo il percorso dell’uguaglianza sociale, culturale ed economica. E poi, con un po’ di retorica, o se preferite con un eccesso di analisi sociologica, si parla di un «paese confuso e abulico, schiacciato sul presente, incapace di lanciare il cuore oltre l’ostacolo». Ma il governo è sdegnato per l’analisi. O forse Berlusconi si è offeso perché Eurispes afferma che alla paura e alla sfiducia dei cittadini fa da contraltare l’atteggiamento del governo che «rifiuta la realtà e continua a navigare a vista».
E accusa la politica di usare un «fiume» di parole, di argomenti, di temi sui quali battere e ribattere, magari in un salotto televisivo sotto la regia di Bruno Vespa. E quando i «fiumi» non bastano più, quando gli elettori si distraggono o perdono concentrazione ecco servito un lifting presidenziale, un look marinaro con bandana berlusconiana, un nuovo tema su cui concentrare l’attenzione anche, e soprattutto dell’opposizione. Alla quale vengono date mazzate non meno pesanti di quelle date alla destra, visto che al «berlusconismo dell’apparire» non ha saputo opporre un «attivismo del fare». O, se preferite «l’incapacità di contrapporre all’iperattività estetizzante di Belusconi, un dinamismo autenticamente politico e capace di dedizione all’essenza delle cose».
Da sinistra, ovviamente solo applausi all’Eurispes e nessuna autocritica: flessibilità e declino industriale sono cosa anche loro. Come loro è l’apertura a scellerate privatizzazioni anche della stato sociale.
Prima di applaudire dovrebbero pensarci.




