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Non lo aspetti che Ivan Basso - ormai entrato nell’élite del pedale che conta - lanci il proprio “je m’accuse” per l’emotrasfusione, poco importa se fatta o non fatta, col medico truffandino Fuentes. Lo lancia dopo un travaglio di mesi, a fronte di prove più che schiaccianti, con le strutture del governo dello sport che già gli promettono sconti di pena per il pentitismo. Però lo fa. Dice quella verità che tutti sanno e che i protagonisti vittime della propria sciaguratezza negano perché il Circo Barnum li scaccerebbe e loro non monetizzerebbero più.
Per questo il gesto di Basso ha comunque un valore enorme, perché dice quel che Pantani negava di lui e dei ragazzi del gruppo. Negava contro l’evidenza, come un Andreotti dello sport, e questo dal campione e dall’uomo non l’accetti. Come ha negato stizzito Lance Armstrong e come fanno centinaia di professionisti – nemmeno fuoriclasse qual è stato lo yankee – con medie da “cinquanta all’ora”.
In quel gioco a nascondino dove alberga sospetta e mai scoperta anche la metamorfosi della potenza aerobica in salita di Miguelon Indurain, lievitata a un certo punto della carriera. Non scoperto ma evidente il rendimento alterno del pur iridato Bugno nell’iniziale agonismo dei colpi “coppiani” all’Alpe d’Huez e nei disonorevoli distacchi degli ultimi Giri. Disonorevoli per un campione reso ex più dalla ricerca d’una nuova dimensione legale che dall’età, e per dimensione legale s’intende non fare quello che tutti, assolutamente tutti, fanno per tenere il dannato ritmo da “cinquanta all’ora”. E gli ultimi tempi di Bugno testimoniano che medie poteva dare il sangue puro e senza correzioni.
Allora ci vorrebbe il coraggio di Ivan o di quei pochi che cercano di spezzare il cerchio illegale d’un sistema imposto allo sport dagli sponsor che pagano e che tutto comprano, anima e corpo compresi di chi vuole dannarsi fino a crepare. L’eroe o il semplice buon cittadino resta il ciclista varesino che ha (avrebbe) ancora una carriera di lauti ingaggi davanti a sé e sceglie e rischia di vederseli bruciati se nello sprint non sarà seguito dal plotone. Lo sprint dell’autodenuncia e della verità rivelata certo, visto che la forza del sistema doping da “cinquanta all’ora” è basata proprio su omertà, ipocrisia e autolesionismo di nuove cavie disposte a farsi iniettare ogni diavoleria per un podio.
C’è da auspicare che l’attuale linea del governo dello sport, approntata ad aiutare l’emancipazione dei Basso dalla truffa, sia vera e integerrima in ogni dove poiché così non fu nella sperimentazione conconiana proprio dell’emotrasfusione finanziata dal Coni dei Carraro e Pescante; e nella gestione compiacente di certe Federazioni i cui dirigenti (Nebiolo per tutti) ammiccavano al doping creatore di record, mirabilie e tanti dollari.
Per un Ivan che fa il ribelle e parla ci sono gli azzurri mondiali del calcio che tacciono sulle pratiche di club. C’è la Juve anaboeritropoietinizzata del dottor Agricola e salvata dalla magistratura; c’è la Cupola di Calciopoli che ha distrutto l’ultimo sogno dei ragazzini e ai cui uomini simbolo il Guardasigilli Mastella tende la mano.
Questo è il pericolo serio che l’esemplare gesto di Basso può correre: restare un moto isolato. Etico, dignitoso per l’uomo e lo sportivo non per il sistema. Che come la peggiore politica si perpetua.
Enrico Campofreda, 7 maggio 2007
Messaggi
1. LO SPRINT CHE NON T’ASPETTI, 8 maggio 2007, 21:13
Il gesto del ciclista è comunque una rottura dell’omertà
ma ciò che ha detto è davvero poco.
E così diviene non penalmente perseguibile
Il "coraggio spuntato" di Ivan Basso,
una denuncia pensando a se stesso
di EUGENIO CAPODACQUA
Anche adesso che Ivan Basso ha ammesso le sue responsabilità nella vicenda doping che lo ha coinvolto, resta difficile capire se e come il suo gesto, che comunque ha rappresentato un momento di rottura del muro del silenzio, può davvero costituire un punto fermo di partenza, un autentico voltar pagina nelle sabbie mobili della lotta alla farmacia proibita.
Il fatto è che Ivan nell’affollata e caotica conferenza milanese (18 microfoni davanti a lui) più di tanto non si è esposto sul fronte di chi combatte. Niente nomi di altri personaggi coinvolti, niente particolari sulle sue frequentazioni dello studio madrileno del famigerato dottor Fuentes ("Ma ho detto tutto al Coni"), nessun atteggiamento di rottura netta fatta eccezione per il riconoscimento delle proprie responsabilità personali. Cioè il doping tentato e mai messo in atto. Non solo, Ivan ha detto di non aver mai fatto uso di sostanze dopanti né di pratiche vietate. La sua con Fuentes è stata solo una "debolezza", comprese le sette sacche di sangue sequestrate dalla Guardia civile che gli appartengono sotto il nome di Birillo.
E’ stata solo una debolezza, "per sentirsi più tranquillo". Ha ammesso di averci provato ma di non aver mai concluso il gesto. Il che non cambia molto sul piano delle regole sportive. Il tentativo di doping equivale al doping. Ha detto, Ivan, di essere disposto a pagare e scontare la pena che spera sia commisurata alla sua colpa. Ma queste sue affermazioni cambiano molto sul piano penale (legge 376/2000). Un Basso che non confessa il doping non è penalmente perseguibile.
Il varesino ha dunque pensato prima di tutto a se stesso. Ai quattro, cinque anni di attività (redditizia) che lo aspettano. Solo dopo e molto di rimbalzo ha pensato al problema dei problemi cioè alla lotta al doping nel ciclismo e alla necessità di voltare pagina perché il mondo delle due ruote non affoghi del tutto nella melma dei grandi scandali.
Testimonial del ciclismo che vuole cambiare? Nient’affatto. Solo disposto a subire controlli a sorpresa: "Anche venti al giorno". Come già in passato. Poco, davvero molto poco.
Non sappiamo se Basso non abbia voluto o potuto andare oltre. Sappiamo però che l’ambiente del ciclismo è un muro omertoso e mafioso che punisce e intimidisce, e isola come "infame" chi parla. E ci sta che Basso abbia della ovvia e comprensibilissima paura ma in ogni caso qualche parola in più sul fronte della necessità di cambiare per il ciclismo asfissiato dalla farmacia, poteva essere spesa. Anche senza fare nomi.
Infine l’Uci, la Federazione internazionale. Ha già tuonato contro i probabili sconti di pena nei confronti di Basso. Ancorché non eccezionale (almeno a quanto emerso finora), la confessione di Basso rappresenta comunque un piccolo passo avanti, non è poco in un mondo governato dall’omertà. Scoraggiare con azioni forti le confessioni significa essere dalla parte di chi si dopa e dopa gli atleti. Il silenzio è il loro brodo di coltura e l’Uci è l’unica Federazione che punisce chi confessa. Per cambiare davvero occorre cominciare da qui.
(8 maggio 2007) www.repubblica.it