Home > LO STATO ITALIANO CHIEDE LA CONDANNA DI BERLUSCONI
LO STATO ITALIANO CHIEDE LA CONDANNA DI BERLUSCONI
Publie le sabato 20 novembre 2004 par Open-PublishingPalazzo Chigi: condannate Berlusconi
di Susanna Ripamonti
Il processo Sme è arrivato alla resa dei conti, in senso letterale. Ieri la scena è stata interamente occupata dagli avvocati di parte civile, Domenico Salvemini, per la presidenza del consiglio e Giuliano Pisapia, per la Cir di Carlo De Benedetti che hanno chiesto la condanna dell’imputato Silvio Berlusconi quantificando il danno: 4 miliardi e 500 milioni di euro è il risarcimento chiesto da De Benedetti, 1 milione e 100 mila euro dalla presidenza del consiglio per il danno, non economico ma morale, subito dall’istituzione che rappresenta. Con una provvisionale da pagare immediatamente, in caso di condanna, di 100 mila euro per Cir e di 300.000 euro per la presidenza del consiglio. «Una briciola nelle finanze dello Stato - dice Salvemini rivolgendosi ai giudici - ma la corruzione di un giudice viene a far cadere il presidio sui cui si fonda uno stato democratico: il fatto che la legge è uguale per tutti, quella scritta che leggo alle vostre spalle e che si trova in ogni aula di giustizia. Viene leso non solo il fondamentale interesse dello Stato ma una delle basi su cui uno Stato si fonda. Senza questa garanzia, se cioè c’è un giudice corrotto, allora si rompe il patto sociale, si sprofonda nelle tenebre. Questo non si può consentire. Nella vicenda Sme, la prima grande privatizzazione, vi è stata corruzione di giudici (Squillante e Verde) e questo è un fatto di inaudita gravità».
Iniziando la sua arringa Salvemini aveva spiegato il singolare paradosso per cui, in questo processo, la presidenza del consiglio è parte civile contro il presidente del consiglio. «Berlusconi contro Berlusconi, si potrebbe dire». La situazione non ha precedenti ed è una delle tante variabili in cui si declina il conflitto di interessi del premier. «Ma dal punto di vista giuridico - spiega il legale che venne nominato all’inizio del processo quando premier era Massimo D’Alema - è inquadrabile in maniera chiara. Io rappresento il Presidente del Consiglio come soggetto giuridico diverso dalla persona fisica del Presidente del Consiglio, qui rappresentato come imputato». L’avvocato non nasconde il suo imbarazzo: «Io, dipendente della presidenza del consiglio, chiederò che venga condannata la persona che sta al vertice della piramide gerarchica da cui dipendo». Ma le valutazioni di opportunità, politica o personale, non hanno diritto di cittadinanza in un’aula di giustizia, dove già si è assistito al sistematico uso della politica e delle istituzioni per impedire il processo. La posizione di Berlusconi - ha ricordato- è stata stralciata e il dibattimento è stato a lungo bloccato per il cosidetto Lodo Schifani poi dichiarato incostituzionale. E ricorda l’ostruzionismo processuale, la sequenza di leggi approvate per impedire il processo.
Salvemini parte dalla prova regina dell’accusa, quei 434 mila dollari che nel marzo del ’91 passarono dai conti esteri della Fininvest a quelli di Previti e da lì rimbalzarono sul conto svizzero Rowena dell’ex giudice Renato Squillante. «Siccome non è stata trovata una causale lecita perchè i soldi dovessero andare da Fininvest a Squillante, anzi da Silvio Berlusconi al giudice Squillante, la deduzione logica è che questi fossero il pagamento di una corruzione». Contesta anche le spiegazioni secondo cui una parte cospicua del denaro possa essere riconducibile ad onorari versati a Cesare Previti in qualità di legale del Gruppo: «Di parcelle non c’è traccia e anche la spiegazione che fossero soldi in nero (complessivamente circa 16 i miliardi finiti a Previti) non regge. «Non c’è alcuna documentazione del lavoro che Previti avrebbe svolto all’estero per meritare quei soldi e lo stesso Silvio Berlusconi non ci ha affatto parlato di un ruolo straordinario di Previti: era uno dei quasi 100 legali di Fininvest». Allo stesso modo non reggono le spiegazioni fornite dai protagonisti della vicenda: compensazioni, acquisti di appartamenti fantasma che svaniscono nel nulla.
Parla a lungo Salvemini, ricostruisce puntualmente i fatti, ricorda che si fece persino una legge sulle rogatorie per impedire l’utilizzo processuale di questa documentazione bancaria. «Se era irrilevante come dicono le difese perchè ci si è dati tanto da fare per impedirne l’utilizzo? Se quei soldi erano normalissime trasparenti parcelle come dice Cesare Previti, allora perchè ci si è tanto preoccupati di impedirne che entrassero nel processo?». Parla dell’indiscutibile attendibilità di Stefania Ariosto: ci sono agende con annotazioni fatte in tempi non sospetti, testimonianze, carteggi che provano che non ha mentito. Ma soprattutto ci sono le contabili bancarie. Passa alla vicenda Sme: Berlusconi per sua stessa ammissione scese in campo per contrastare la vendita del colosso alimentare a De Benedetti. Disse di averlo fatto per fare un favore all’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi. Ma anche per ottenere precise contropartite, aggiunge Salvemini: «il movente» della corruzione è da ricercarsi nelle battaglie legali che fin dall’85 impegnarono Berlusconi per il lancio su scala nazionale delle sue Tv commerciali «Ha capito che senza un Governo amico non si andava da nessuna parte». E Craxi ringrazia aggiustando le faccende per decreto.
Ma è soprattutto Pisapia che affronta questo argomento. Anche qui, le contabili bancarie parlano chiaro. All’indomani della conferma definitiva della sentenza, emessa in primo grado dal giudice Filippo Verde, che annullava il preliminare di vendita della Sme, firmato tra Iri e De Benedetti, c’è uno strano pagamento. Piero Barilla che con Berlusconi faceva parte della cordata Iar (che aveva fatto sfumare l’affare) versa in due tranche un miliardo e 750 milioni che prendono il consueto circuito: Previti, Pacifico, Squillante. E in contemporanea sui conti italiani di Filippo Verde si impennano le entrate. Barilla non aveva nessun rapporto professionale con Previti e Pacifico, nessuno degli imputati ha dato spiegazioni di quei pagamenti, neppure ricorrendo a fantasiose ricostruzioni. E dunque? Conclude Pisapia: «Non chiediamo una condanna sulla base di teoremi, illazioni o sospetti ma sulla base di precisi fatti documentali e deposizioni testimoniali. Sono emersi elementi probatori che dimostrano rapporti illeciti tra una lobby giudiziaria ed esponenti della corruzione (Silvio Berlusconi e Cesare Previti) ci sono indizi certi e univoci a loro carico».
http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=39226




