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Su un punto, almeno, sono tutti d’accordo: il 1977, inteso come anno solare, era regolarmente cominciato il primo gennaio. Se, invece, parliamo del Settantasette, inteso come sommovimento, le opinioni sono davvero discordi, ritagliate su una memoria lacerata e piena di cicatrici.
Quel Settantasette inizia il 17 febbraio: capodanno simbolico di un calendario vorticoso che, nello spazio di un paio di stagioni, brucerà tutto il bruciabile. Il 17 è un giovedì ventoso. E Luciano Lama, leader della Cgil, sale su un palco, all’università di Roma, con l’autorità di un maestro venuto a tenere una lezione di storia del movimento operaio. Gli studenti non gradiscono. Il comizio finisce a lazzi - "Lama o non Lama, non l’ama nessuno" - e a bastonate. Lama abbandona precipitosamente l’ateneo. Uno strappo. E la scintilla che innesca un’escalation di occupazioni, scontri, leggi speciali, attentati. Un frenetico susseguirsi di episodi; impressionante anche per il salto di qualità che, già il 12 marzo, trasforma le manifestazioni di piazza in veri e propri scontri a fuoco con la polizia. E’ il battesimo della compagna P 38. E di un elenco di caduti che si aggiorna di settimana in settimana, confondendo nella memoria tanti destini incrociati: Pier Francesco Lorusso, Giorgiana Masi, Walter Rossi... Giuseppe Ciotta, Settimio Passamonti, Antonino Custrà... Carlo Casalegno, Roberto Crescenzio...
Tentare di fissare l’identità di un movimento è sempre stato un esercizio ostinatamente inutile dal momento che i movimenti - se sono tali - si manifestano proprio attraverso un improvviso, arcano coagularsi di forze, anche sostanzialmente diverse tra loro. Nel caso del Settantasette, per di più, l’alchimia fu davvero confusa: indiani metropolitani, autonomi, femministe, fautori della lotta armata... Ognuno partecipa, per la sua parte, a dare un’anima al movimento; ma nessuno, senza gli altri, può rappresentare da solo il caotico sobbollire di un magma che, tra Marx e Nietsche, impasta mao dadaismo, nouveaux philosophes, situazionismo.
Un canovaccio più che un programma, che ogni città, da Bologna a Roma, da Padova a Milano, interpreta e mette in scena a suo modo. Tante diversità non potevano però coesistere a lungo. L’astro Settantasette è sorto a febbraio; a settembre, quando il movimento si riunisce nel convegno nazionale di Bologna, già volge al tramonto. E ognuno si avvia verso strade diverse. C’è chi si cala nell’"illegalità diffusa di massa"; e chi entra nella clandestinità arruolandosi nelle file di un terrorismo che, proprio nel ’77, vede un salto di qualità nell’offensiva delle Brigate rosse. C’è chi trasforma il personale in politico; e chi sceglie il personale punto e basta. C’è chi inventa nuovi linguaggi; e chi si getta nelle fauci dell’eroina.
Il Settantasette è stato evidentemente molte cose assieme. Di certo le ha vissute molto velocemente. Perché una delle caratteristiche di quella deflagrazione fu, a quanto sembra, un’improvvisa accelerazione del tempo. Tutto corre più spedito di quanto non fosse mai avvenuto prima. E l’inevitabile paragone con il Sessantotto parte forse proprio dall’inedita rapidità di un salto generazionale. Fino ad allora per osservare certi mutamenti si aspettava almeno un ventennio. Stavolta basta meno di un decennio.
I sessantottini, per quanto ribelli, erano ancora i figli di una società arcaica. Avevano scoperto i Beatles; ma nell’altro orecchio c’era Edoardo Vianello. Avevano studiato, cravattina e giacchetta corta, in una scuola d’altri tempi. Paradossalmente erano più vicini agli anni Cinquanta che non ai Settanta.
I settantasettini sono di un’altra razza. E, tra molte rotture, consumano anche quella con i fratelli maggiori, cancellando definitivamente quel che restava del ’68, o, almeno, delle rappresentanze del ’68. La storia del Settantasette, da questo punto di vista, è fatta non solo dalle esplosioni, ma anche da una catena di implosioni che svuotano il sistema dei partitini extraparlamentari, con tutto il loro apparato di dirigenze, servizi d’ordine, militanze organizzate, certezze alternative.
La rottura con i fratelli maggiori implicava, peraltro, quella con i padri del vecchio movimento operaio. Fino ad allora tra i gruppi extra parlamentari e la sinistra storica, nonostante le accuse, le liti, le polemiche, era sempre rimasto come un sottile filo, il richiamo di una radice comune. Il ’77, a sberleffi, a bastonate e, infine, a pistolettate trancia definitivamente quel sentimento di comunanza.
Nell’aria di quei mesi, non solo a sinistra, si respira del resto un odore di crisi, di emergenza, di incertezza. Tempi da unità nazionale. Al governo c’è un monocolore democristiano guidato da Giulio Andreotti. Tutti i partiti dell’arco costituzionale sono coinvolti dalle blandizie di un’opposizione che oscilla tra l’astensione e una "non sfiducia" che prelude al compromesso storico. Ministro dell’Interno, schierato sulla prima linea di un botta e risposta che lascia poco spazio al garantismo, è Francesco Cossiga (quello con il K). I dati Istat pubblicati all’inizio del 1977 dicono che nell’ultimo anno l’aumento del costo della vita ha toccato il 21,8 per cento.
Inizio e fine. Flusso e riflusso. Dalle armi della critica alla critica delle armi. Capovolgimenti di prospettiva. Stravolgimenti... Sia come sia, il Settantasette è uno spartiacque, un taglio tra un prima e un dopo. Si pensi, per dirne una (sarà solo una coincidenza; ma molto simbolica) che proprio nel febbraio del ’77 la Tv italiana inaugura l’era delle trasmissioni a colori. A chiudere l’elenco dei vari, possibili paragoni tra il Sessantotto, con le sue sparute foto sgranate, in bianco e nero, e un Settantasette che i colori se li spalma pure sul viso, non si può non considerare la rapidissima evoluzione (il mezzo è il messaggio?) degli strumenti di comunicazione. Il salto è drastico. La macchina fotografica, ormai, è uno strumento militante. Fanno la loro comparsa i video. E al megafono e al ciclostile succede l’era delle radio libere: Popolare, Alice, Sherwood, Onda rossa, Futura...
L’assemblea via etere diventa permanente, 24 ore su 24. E crea una comunità, consapevole di agire all’interno di un villaggio globale e pronta a intravedere un orizzonte di frontiere inesplorate. Un moto emozionale, non solo intellettuale, bevuto tutto d’un fiato. Un flash. Tramandato da tante memorie ferite, ustionate, controverse, eppure accomunate dal ricordo di un lungo istante, fissato dallo scatto di una foto. Senza didascalie: ecco, era il Settantasette... chissà che fine avranno fatto quelle facce?
(19 gennaio 2007) www.repubbica.it

Messaggi
1. LUCA VILLORESI, 24 gennaio 2007, 13:06
E’ difficile oggi spiegare quel clima, quella esplosione improvvisa ed inaspettata pure per chi, come il sottoscritto, faceva politica antagonista negli anni e nei mesi precedenti .....
A cercare di far comprendere, almeno in parte, quel clima vorrei citare una frase del testo di una canzone intitolata "Nel ghetto" che un cantautore fino ad allora ed anche successivamente tutt’altro che impegnato, quell’ Alberto Radius della Formula 3 famoso fino a quel momento soltanto come "spalla" di Lucio Battisti, scrisse proprio nei primi mesi del 1977 :
" ..... perchè bruciare tutto non è in fondo così brutto come leggi il giorno dopo sul giornale ......."
Keoma
2. LUCA VILLORESI, 26 gennaio 2007, 19:56
Rispondo anch’io con una canzonetta: è del 1975 di A. Venditti
"avanti! tutti al bar".
Dove Nietsche e Marx si davano la mano
e parlavano insieme dell’ultima festa
e del vestito nuovo, fatto apposta
e sempre di quella ragazza che filava tutti (meno che te)
e le assemblee e i cineforum i dibattiti
mai concessi allora
e le fughe vigliacche davanti al cancello
e le botte nel cortile e nel corridoio,
primi vagiti di un ’68
ancora lungo da venire e troppo breve, da dimenticare!
E il tuo impegno che cresceva sempre più forte in te...
"Compagno di scuola, compagno di niente
ti sei salvato dal fumo delle barricate?
Compagno di scuola, compagno per niente
ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu?
Ebbene no, tu caro Luca, compagno più anziano di me, ma dello stesso liceo Dante sei entrato a Repubblica, da subito, ti sei salvato.
Un’altra mia compagna di scuola,liceo Mameli, entrò dopo alcune peregrinazioni di redazioni giornalistiche nello stesso quotidiano nazionale: Laura Laurenzi.
Potrei continuare con la lista, ad esempio il liceo Mamiani.
Se qualcuno dovesse chiedersi come mai così tanti licei cambiati, posso rispondere che in quegli anni, io come Keoma abitavamo in un quartiere che non aveva licei, la sottoscritta seguiva il padre, con auto, al liceo dove mi iscriveva vicino al suo posto di lavoro.
Quando nella sua ditta iniziò la breve pausa per il pranzo, rimasi al Dante.
Ebbene si, entrai in banca come Keoma, io nel 73.
Nel ’77, feci un’ultima corsa per non prendere una pistolettata nella chiesa di San Marcello con un altro mio ex compagno di scuola, lo sposai il 30 dicembre di quello stesso anno, al Campidoglio s’intende.
Ma il ritornello di quella canzone mi fu buttato a lungo in faccia dai compagni di cammino.
Non pari opportunità, caro Luca.
Comunque serena e senza rimpianti alcuni, almeno in *pensione*.
Doriana Goracci
1. LUCA VILLORESI, 26 gennaio 2007, 23:40
In banca, come sai cara Doriana, alla fine nel 1979 ci sono entrato anch’io.
Ma il 1968 e il 1977 sono due cose diversissime ......
Pasolini, al di là degli elogi alla polizia, sul ’68 non aveva tutti i torti ...... era sicuramente un movimento piccolo-borghese, storicamente positivissimo soprattutto in Italia dove già un anno dopo seppe innestarsi col movimento degli operai-massa, gli immigrati meridionali che fecero esplodere la Fiat, l’Alfa, la Montefibre e tutto il resto ..... ma comunque oggettivamente piccolo-borghese ......
Ma il MIO movimento è stato il 1977 e non solo per motivi generazionali .....
Era il movimento dei "desperados di borgata", quello che mio fratello Mario Salvi non potè vedere, morto ammazzato un anno prima, ma del quale i "coatti" acculturati come lui , gli "operai sociali", erano la figura portante ........quelli del "no future" dei Sex Pistols, quelli del "vado, giro, incontro" di Nanni Moretti.
E che ha lasciato, anche più del 68 e del 69, segni indelebili nella società ......
Ed è una storia che, a 30 anni di distanza, deve fare ancora una paura enorme ai vari poteri ....
Altrimenti non si spiegherebbe perchè tutti i media, di destra e di "sinistra", continuino a spargervi sopra luoghi comuni di bassa lega e bugie colossali .......
Keoma
2. compagno di banca..., 27 gennaio 2007, 00:57
E’ vero almeno per me, indosso in piena libertà la minigonna del ’68 o la gonna lunga a fiori. I pantaloni mi sono piaciuti sempre poco, li metto più oggi per comodità e per il freddo.
Siete stati in pochi a vivere quella stagione, da protagonisti. Le tue riflessioni una volta ancora mi spiegano tutta la diffidenza di quegli anni, anche tra contigui e vicini di periferia o di lavoro o di età. Ho subito la stagione degli anni di piombo, non l’ho vissuta affatto.
Mi rendo anche conto oggi, solo oggi quanto poco è stato prodotto su quegli anni che non sia luogo comune e bugia colossale, per usare le tue parole. Cerco ancora di capire e non credo sia un demerito, quello che NON vogliono sia capito, almeno avvicinato.
E sfruttano le frustrazioni.
Doriana
3. compagno di banca..., 27 gennaio 2007, 15:23
Il luogo comune principale, quando si approccia a quegli anni, è proprio la confusione tra il movimento del ’77 e i cosiddetti "anni di piombo" ......
Il movimento del ’77 fu senz’altro "violento", anche perchè gli si scaricò addosso una reazione violentissima del potere, ma era comunque un movimento di massa .... i numeri delle manifestazioni, delle assemblee, delle feste collettive, dei concerti che si misero in piedi in quei mesi erano largamente superiori ai numeri, pur significativi, del 1968/69 .....
Ma col "terrorismo" non c’entrava nulla.
Come spega benissimo l’ ex Br Valerio Morucci nel suo libro "La peggio gioventù" - uscito non più di 2 anni fa - le Brigate Rosse quel movimento lo schifavano, non lo capivano, nè più o nè meno quanto lo schifava e non lo capiva il Pci di Berlinguer, del resto l’ideologia, la cultura storica che animavano sia il Pci che le Br erano precisamente le stesse ...quella del movimento tutta un’ altra ......
In quel magma in ebollizione c’era un pò di tutto, c’era il situazionismo alla Guy Debord - tipico degli "Indiani metropolitani" romani e della Radio Alice bolognese - c’era il nichilismo punk, c’era l’anarcosindacalismo tipico dell’ autonomia operaia romana, c’erano gli orfani di Lotta Continua ( scioltasi qualche mese prima a Rimini) in cerca di padri e di autori nuovi, c’era il vecchio ceto politico di Potere Operaio ( scioltosi addirittura nel 1973) che credeva di aver trovato finalmente le proprie figure teoriche in carne ed ossa, c’era il nascente e poderoso mondo del femminismo, c’erano i marxisti-leninisti filocinesi che vedevano l’ Urss come nemico principale e quindi pensavano che una lotta contro un governo con dentro il Pci filosovietico fosse un’occasione unica da sfruttare, c’era - a differenza del ’68 - molto Pasolini .....
C’erano i piccoli malavitosi di borgata ( in primis ladri e spacciatori di fumo) che già frequentavano i cortei e i luoghi di raduno della compagneria da un paio di anni ma che nel 1977 divennero protagonisti assoluti degli scontri di piazza, con le vecchie strutture dell’ "autonomia operaia organizzata" che gli correvano dietro, facendo anche loro un sacco di cazzate, ma senza minimamente riuscire a mettergli la briglia al collo ...
C’erano poi una creatività anche imprenditoriale ed una capacità di comunicazione che negli anni successivi faranno scuola, le prime "radio libere", le riviste satiriche, le fanzines, le primissime cooperative "sociali" o agricole , i primi cibernetici, la produzione di video-tapes, molti musicisti emergenti ( tra gli altri Bertoli, Finardi, gli Area, Manfredi, Zucchero, Gianna Nannini, Vasco Rossi), un mare di giovani fotografi che ancora oggi largamente sono i migliori in attività .......
Nè il Pci nè le Br potevano comprendere un’accozzaglia simile, un movimento "insurrezionale" che rifiutava organizzazioni e partiti, che non aveva la mitica - e già profondamente in crisi - "classe operaia" come punto di riferimento, che se ne fregava altamente, gruppetti m-l a parte, degli insegnamenti di Marx, Lenin, Stalin, Mao, Gramsci e Togliatti ....
Morucci racconta come Moretti, il capo supremo delle Br a Roma, si domandasse stupefatto il perchè gente così diversa e lontana da loro nei cortei spesso inneggiasse alle Brigate Rosse .....
Ma era soltanto un modo per sfogarsi, per sembrare o credere di essere il più possibile "brutti, sporchi e cattivi" ........
La chiusura totale da parte del potere, la "sinistra tradizionale" ( con l’eccezione dei radicali e di alcuni socialisti lombardiani, tra cui l’indimenticabile Sandro Pertini)) che addirittura si atteggiò a principale avversario del movimento, la repressione feroce, i morti nelle piazze, fecero sì che - finita la "festa" - fossero proprio quelle Br, lontane mille miglia da quel movimento, a poter capitalizzare un minimo quegli avvenimenti potendo ricavarne quadri combattenti, anche se in misura infinitesimale rispetto alle proporzioni di massa che quel movimento aveva assunto ......
Keoma
P.s. Luca Villoresi al Dante lo ricordo anche io, tra il 1968 ed il 1971 era uno dei numerosi anarchici di quella scuola, ma già nel 1977 non era proriamente considerato un giornalista "amico" del movimento, da qualche assemblea dovette allontanarsi di corsa ......
4. compagno di banca..., 27 gennaio 2007, 17:16
Settembre 1977 - Gli indiani metropolitani scrivono a Kossiga
Karo ministro.....
con grande soddisfazione abbiamo potuto vedere, dalla scatola magica, il tuo viso pallido di stampo teutonico, udire la tua lingua biforcuta sibilare e la tua voce metallica sputare veleno contro il popolo degli uomini.
"Sappiano, questi signori, che non permetteremo che l’Universitá diventi un covo di indiani metropolitani, freaks, hippies. Siamo decisi ad usare quelle che loro chiamano le forme di repressione e che io chiamo le forme dell’ordine e della legalitá democratica".
Con queste parole ci hai dichiarato guerra.
Siamo rimasti con gli occhi fissi sulla scatola magica; non ti abbiamo consigliato di farti una pera né ti abbiamo ricordato la tua condizione psicopolitica ("sceeemo!!").
Nel nostro sielnzio c’era invece tutto l’odio che il popolo degli uomini puó esprimere per la tua sporka razza, tutto l’odio che centinaia di migliaia di giovani dai ghetti della metropoli disumana hanno urlato e urleranno contro una societá mostruosa che oggi vorrebbe costringerci con la violenza alla rassegnazione.
Ma la parola rassegnazione esiste solo nella vostra lingua, nei vostri putridi rapporti sociali, nei vostri sguardi spenti e privi di umanitá.
No, ministro Kossiga, NOI NON CI RASSEGNEREMO MAI !!!
PERCHÉ LA NOSTRA VOGLIA DI VIVERE É PIÚ FORTE DELLA TUA SETE DI MORTE, PERCHÉ NEI NOSTRI COLORI DI GUERRA E DI FESTA C’É IL ROSSO DEL SANGUE DI CENTINAIA DI GIOVANI, DI COMPAGNI ASSASSINATI NELLE PIAZZE DAL TUO ORDINE DEMOCRATICO, ASSASSINATI NELLA DISPERAZIONE DEI GHETTI DALL’EROINA, ASSASSINATI NEI POSTI BLOCCO SOLO PERCHÉ GUIDAVANO UNA MOTO SENZA PATENTE !
Vorresti ricacciarci nelle riserve che ci avete costruito, nei ghetti della nostra condizione di emarginazione e disperazione.....
Ma ormai non é piú possibile perché é proprio da questi che é esplosa la nostra ribellione. Non é piú possibile perché mai come in questi giorni il popolo degli uomini ha ritrovato sé stesso, la sua forza; la sua gioia di vivere collettivamente, la sua rabbia e la sua sete di comunismo.
Le tue giacche blu vestite da marziani ci hanno cacciato dall’unversitá, credendo cosí di poter spezzare il nostro sogno, il nostro desiderio di trasformazione di noi stessi e del mondo.....
Ma con i vostri cervelli di latta capaci solo di ordire fame, repressione, violenza, leggi speciali e morte, non avete capito che non potrete mai piú ditruggerci, perché la nostra rabbia, la nostra fantasia urlano piú forte della vostra sete di vendetta.
Torneremo nell’universitá perché vogliamo prenderci tutta la cittá, perché vogliamo trasformare le nostre riserve, i quartieri ghetto, nei COVI EVERSIVI che nessuno potrá mai chiudere perché un popolo non puó essere messo fuorilegge. L’emarginazione cui ci avete costretti é diventata la nostra forza rivoluzionaria, é la chiave della nostra rivolta !!!
Ministro Kossiga, accettiamo la tua dichiarazione di guerra, ricordandoti che la nostra ascia l’abbiamo dissoterrata giá da molte lune.
Sappi che impegneremo tutte le nostre forze, tutta la nostra fantasia affinché la battaglia contro te e il tuo governo che ti ha incaricato di reprimerci, si trasformi nella guerra per la disfatta totale della tua sporka razza.
Finché l’erba crescerá sulla terra, finché il sole scalderá i nostri corpi, finché l’acqua ci bagnerá e il vento ci soffierá nei capelli NON SOTTERREREMO MAI PIÚ L’ASCIA DI GUERRA !!!
gli indiani metropolitani di Roma-nord
settembre 1977
5. compagno di banca..., 27 gennaio 2007, 17:29
Noi della Fgci prima della giornata di Lama avevamo fatto una riunione in cui si era discusso su come intendevamo quella scadenza. Noi vivevamo l’occupazione dell’universitá, e piú in generale l’esistenza stessa del movimento come una grande provocazione a cui dovevamo dare una risposta. Noi all’universitá non avevamo mai avuto vita facile perché aggregavamo pochissima gente e perché c’era sempre stata una grande conflittualitá, con i militanti dei gruppi in una prima fase e con la gente del movimento poi. Indubbiamente consideravamo il movimento come il nemico. All’interno del Pci questa storia del movimento la vivevamo, il partito ce la faceva vivere come una cosa che metteva in discussione la democrazia, la responsabilitá delle masse ecc.
Il movimento noi lo intendevamo come un aggregato confuso di giovani fatto un po’ sull’onda delle mode estremiste, impregnato di cultura estremista e anticomunista. Un movimento di giovani in cui quello che spiccava era l’irrazionalitá. All’interno del Pci si credeva alla distinzione tra autonomia operaia come componente specifica di gruppi piú o meno organizzati e il resto del movimento. Questa é una cosa che abbiamo capito dopo, ed é stato un grave errore perché questa incomprensione ha permesso di regalare quasi tutto il movimento alle frange dell’autonomia.
Ricordo la grossissima manifestazione del 12 marzo, che noi del partito abbiamo visto dai marciapiedi: era una cosa impressionante, era un corteo enorme, erano davvero tanti. Le manifestazioni del movimento, indipendentemente da quello che si diceva in sezione, mi suggestionavano molto perché vedevo tutti quei giovani come me, soltanto ideologicamente diversi, che sfilavano a migliaia e migliaia gridando slogan bellissimi, riusciti, pieni di carica. Tutto questo ti faceva un grosso effetto.
Nella sezione del partito che frequentavo si discuteva del movimento, ma non é che lí i giovani fossero molti, la maggior parte erano funzionari o insegnanti, qualche operaio, peró non erano giovani, erano gente con i figli, gente sposata, con un lavoro regolare, con una vita regolare. Nelle discussioni noi dovevamo farci carico della difesa di un patrimonio storico che il movimento in quel momento stava attaccando, per cui non poteva che vivere quel rapporto in termini di conflitto, loro erano il nostro nemico e c’era l’odio, ma questo ovviamente da tutte due le parti.
C’era all’interno del partito un continuo ribadire l’irresponsabilitá del movimento. La nostra posizione era che la politica la fa chi ha il senso della storia, chi ha il senso critico, chi ha il patrimonio delle masse. Il movimento per noi non faceva parte della sinistra, e non abbiamo minimamente capito quello che sarebbe successo dopo. Non abbiamo capito che quel movimento poneva delle questioni di fondo mentre noi lo consideravamo come un fenomeno giovanilistico tipico di chi approccia la politica in modo irrazionale e passionale. Comunque noi avevamo la certezza che le masse erano con noi, le masse organizzate che parlavano del contratto, che facevano il discorso del lavoro, che avevano vissuto dei momenti difficili rispetto ai quali avevano difeso il terreno della democrazia.
Noi della Fgci facevamo dei corsi in sezione per la formazione dei quadri politici, una grossa parte dello studio era concentrata sui testi classici contro 1′estremismo. Questo perché i dirigenti del partito si rendevano conto della suggestione, del fascino che 1′estremismo, diffuso un po’ ovunque e soprattutto nelle scuole, esercitava sui giovani. Tra noi e il movimento é nato un rapporto di odio, di odio profondo causato dall’accrescersi e dall’accumularsi di incomprensioni dovute a culture diverse, ma anche a comportamenti e a forme di vita diverse.
La mattina di Lama all’universitá mi ricordo che quelli del movimento ci tiravano le cinque lire, questa cosa mi ha fatto malissimo, me la ricordo come una cosa molto brutta. Ci tiravano le cinque lire addosso, era una cosa micidiale per chi la subiva, é stata una cosa pesantissima. Siamo arrivati e ci siamo messi sotto il camion attrezzato come palco. C’era il muro del nostro servizio d’ordine e quelli del movimento che premevano. A un certo punto sono cominciate a volare le cose, le botte, le bastonate, ma io la cosa che ricordo di piú é che mi deridevano, mi sputavano addosso e mi tiravano le cinque lire. Sono rimasta annichilita e mi sono resa conto del livello di odio che il movimento aveva contro di noi.
Non sono scappata mentre c’erano gli scontri e ho anche preso delle botte, una sassata qui nella schiena. Mi sono incazzata con i miei compagni che scappavano perché pensavo che se avevamo deciso di andare all’universitá era per restarci. Se era un momento di lotta allora bisognava lottare fino in fondo, non scappare. Invece a un certo punto c’é stato il fuggi fuggi generale.
Poi nei giorni successivi, dentro il partito, ce la siamo presa con i compagni della cellula universitaria che ci avevano riferito la situazione interna all’universitá in modo sbagliato. Erano venuti in federazione a dire che all’universitá non c’era un movimento ma dei gruppi provocatori, una situazione che andava assolutamente normalizzata, che la cosa era possibilissima. Ufficialmente noi del Pci siamo andati all’universitá per evitare l’irreparabile, questo abbiamo detto e ci siamo detti, cioé per evitare l’intervento della polizia per lo sgombero, e gli inevitabili scontri che ne sarebbero seguiti. Non avevamo capito che su quella situazione non avevamo non dico l’egemonia ma nemmeno un briciolo di prestigio, che non avevamo in sostanza la minima legittimitá.”
Lina ( dal blog di Ernesto Assante su repubblica.it ), 26 Gennaio 2007