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La Bentacourt è libera ... e ora?
Condivido le preoccupazioni di Fabio Amato, responsabile esteri di Rifondazione, sulla questione colombiana, per questo ve le propongo anche se parzialmente ritoccate ...
di Fabio de Nardis
Ingrid Betancourt è libera. Liberata attraverso un’operazione fortunatamente incruenta che ha evidenziato l’appoggio politico militare di Washington al governo Uribe e la progressiva difficoltà della guerriglia, debilitata dalla perdita di Tirofijo, dall’assassinio del suo braccio diplomatico, dalla resa di importanti comandanti, dalle infiltrazioni ai massimi livelli.
Una volta espressa la soddisfazione per la fine di un sequestro, la domanda che va posta è se ora sarà più o meno semplice raggiungere una pace in Colombia.
Un rilascio unilaterale da parte delle Farc, o uno scambio umanitario, avrebbero indubbiamente contribuito a far avanzare un processo di pace. Il rischio è che ora questo processo venga sepolto dalla volontà di risolvere militarmente il conflitto politico armato, dal momento che ora il governo di Bogotà può avvalersi del prestigio che questa operazione consegna a Uribe. Ma senza un riconoscimento della natura politica del conflitto colombiano difficilmente si potrà arrivare a una pace, né è sufficiente una brillante operazione di intelligence a cambiare la natura nefasta del governo Uribe, ostile a qualsiasi trattativa. Continuiamo a credere che l’unica via per porre fine al conflitto non sia quella militare, ma quella politico-negoziale.
Una volta liberato l’ostaggio più famoso i riflettori rimarranno accesi o si spegneranno su ciò che realmente accade in quel paese? Oppure i paramilitari e l’apparato poliziesco militare potranno continuare a uccidere e a terrorizzare impunemente sindacalisti, giornalisti, contadini, attivisti dei diritti umani? Pochi sanno per esempio che proprio poche settimane fa sono stati incriminati anche diversi senatori di tutte le fazioni dell’opposizione che si erano spesi a favore dello scambio umanitario, con l’accusa inventata di essere fiancheggiatori delle Farc.
La violenza endemica della società colombiana non è frutto della guerriglia, ma del suo modello sociale, del latifondismo criminale, del narcotraffico dominante, di secoli di arbitrii e soprusi di una delle oligarchie più feroci del continente. Liberata la Betancourt, i media internazionali parleranno della violenza quotidiana del regime, del terrorismo di Stato, dei tanti anonimi contadini, dirigenti sindacali, studenti che scompaiono o vengono uccisi per le loro idee o per difendere i loro diritti? Leggeremo pagine intere del Corriere o di Repubblica sulla realtà di uno Stato oligarchico dove il 4% della popolazione è padrone del 67% delle terre coltivabili?
José Steinsleger, scrittore e giornalista argentino, in articoli apparsi su La Jornada del Messico nel Giugno 2006, ci racconta qual è la Colombia di Uribe, cioè di un governo complice di paramilitari e narcotrafficanti. Vale la pena riprendere alcuni dei dati che ricorda:
"Dati recenti delle Nazioni Unite stimano che su un totale di 43 milioni di abitanti, il 31 per cento sussiste nell’indigenza, il 64.2 vive sotto la soglia di povertà, il 17% è disoccupato (2.5 milioni), il 40 per cento vive del sottoimpiego (6.8 milioni) e 4.1 milioni si muovono nel settore cosiddetto ‘informale’.Più della metà dei colombiani economicamente attivi (22 milioni) vive di essenziale, mentre, secondo la Banca Mondiale, il rapporto ricchi-poveri è di 1-80, quando nel decennio 1990 era di 1-52. E su un totale di 8 milioni di lavoratori, solo la metà guadagna il salario minimo o ha un contratto di lavoro. In un paese celebre per i suoi stregoni e fattucchieri, sembra che i governanti abbiamo trovato l’alchimia perfetta dell’ingiustizia strutturale: delega del mandato attraverso congiure "democratiche", criminalizzazione della protesta sociale, sterminio sistematico di dirigenti e militanti delle cause democratiche e popolari, massacri nelle campagne ed in città in pieno giorno e con l’assoluta e totale impunità degli assassini sono alcune delle forme, misteriose, dello sterminio sociale.
Senza guerre di invasione che giustifichino ciò, le oligarchie colombiane hanno causato nella scorsa metà del secolo la morte violenta di 200 mila persone, approssimativamente. Nel 1996, mille e 900 candidati rinunciarono a presentarsi ai comizi elettorali locali, 49 sindaci e consiglieri morirono assassinati e più di 80 vennero sequestrati La Colombia è leader mondiale negli assassini mirati di dirigenti popolari e sindacali: 1500 dal 1987 al 1992, 3 000 da allora ad oggi. Una commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha precisato che "... nel 2005 si è concretizzata la più grave operazione di impunità, specialmente per quanto riguarda le migliaia di violazioni commesse dai gruppi paramilitari". Un rapporto della Croce Rossa Internazionale stima che nello stesso anno sono stati registrati 55.327 profughi interni e 317 sparizioni forzate (aumento del 13.6 per cento in relazione al 2004). Secondo la testimonianza di Rafael Garcia, ex direttore informatico del DAS (sicurezza di Stato), esistono delle liste nere di professori, sindacalisti ed attivisti per i diritti umani elaborate da tale istituzione, e quindi assassinati. Alfredo Correa de Andreis, ingegnere agronomo, sociologo ed ex rettore dell’Università di Magdalena, venne fatto sparire e quindi ucciso il 17 settembre del 2004 mentre lavorava ad un’indagine sui rifugiati negli stati Bolivar ed Atlantico.
Delle cinque nazionalità che rappresentano la metà dei rifugiati rilevati nel 2005 dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite (UNHCR, 8.4 milioni), l’Afghanistan occupa il primo posto (2.9 milioni), seguito da Colombia (2.5 milioni), Iraq (1.8 milioni), Sudan (1.6 milioni) e Somalia (839 mila). Per quanto riguarda i ’profughi interni’ (20.8 milioni), la Colombia occupa il primo posto (2 milioni), seguita da Iraq (1.6 milioni), Pakistan (1.1 milioni), Sudan (1 milione) e Afghanistan (912.000)." Tutti i processi di pace, non ultimo quello recente finalizzato allo scambio umanitario, sono stati sistematicamente boicottati da parte dei governi e dell’oligarchia colombiana, con assassini e azioni militari. "Nel 1957 il capo guerrigliero liberale Gustavo Salcedo consegnò le armi, negoziò la pace con il governo e venne assassinato.
E mentre si recava ad un’altra riunione di pace, cadde l’aereo del capo guerrigliero Jaime Bateman (M-19, Movimento del 19 Aprile). E nel 1983, il guerrigliero Oscar Calvo (Esercito Popolare di Liberazione), rappresentante in una commissione per i negoziati di pace, morì assassinato. I candidati presidenziali Jaime Pardo Leal (1987), Luis Carlos Gal’n (1989) e Bernardo Jaramillo (1990) sono stati assassinati. Carlos Pizarro, altro capo dell’M-19 propizio al dialogo, è stato assassinato (1990). In pieno negoziato con il governo, il presidente César Gaviria ordinò il bombardamento dell’accampamento centrale delle FARC.
Nel 2001 l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN) liberò 45 soldati come gesto di buona volontà, ed il presidente Andrés Pastrana mandò a bombardare i suoi effettivi. E nel 2002, al tramonto del suo mandato, Pastrana decise la fine dei negoziati e bombardò gli accampamenti delle FARC."
Pochi mesi fa, Uribe, violando l’integrità territoriale dell’Equador, ha fatto assassinare Raul Reyes, il numero due delle Farc, uomo chiave nelle trattative per la liberazione della Betancourt. La Colombia rappresenta un paese chiave in America latina. E’ l’alleato più fedele, nonché uno degli ultimi, dell’amministrazione nord americana nel conosur. Per questo riceve miliardi di dollari di aiuti militari, attraverso il plan Colombia. Per questo viene protetto nonostante l’impresentabilità dei suoi governanti. E’ una costante spina del fianco del tentativo di procedere ad un’integrazione latinoamericana indipendente da Washington. Insieme alla sinistra latino americana, nel recente Foro di San Paolo, abbiamo deciso di impegnarci insieme per la Pace in Colombia. E’ un impegno che vale ancora, a maggior ragione oggi, perché si conosca ciò che accade in questo paese. Perché possa liberarsi dalle sue ingiustizie e dalla guerra, da un governo corrotto e violento. Perché tutto il popolo Colombiano possa, attraverso un processo di pace reale e giusto, dismettere la sua militarizzazione e riacquistare la speranza e la libertà, come oggi accade per Ingrid Betancourt.