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La Corte di Giustizia europea

Publie le giovedì 10 luglio 2008 par Open-Publishing

Qualcuno ha affermato che della Bolkestein non si sente più parlare. E infatti ora la applicano

Viviana Vivarelli

Il 19giugno 2008 la Corte di Giustizia europea ha emesso una sentenza su un diverbio tra il Lussemburgo e la Commissione europea.

Il Lussemburgo aveva intrapreso le procedure per difendere i propri lavoratori dal "social dumping". Cioé, la situazione che si crea quando in un certo Paese vengono assunti lavoratori stranieri retribuiti secondo il livello salariale del loro Paese di origine, che é sempre inferiore o molto inferiore a quello del Paese dove si svolge la attivitá in questione.

Per cui i lavoratori del posto retribuiti secondo le norme sindacali nazionali e coperti dalle norme del Diritto del lavoro vengono ad essere espulsi dal processo produttivo.

La Corte europea nella causa C-319/06 ha sentenziato che le norme del Diritto del lavoro del Lussemburgo sono in conflitto con gli indirizzi europei in materia di subappalto dei lavori. Le norme contenute nei vari trattati europei sono prevalenti dunque rispetto a quelle nazionali. La Corte constata quindi che il Lussemburgo "ostacola"la libertá di movimento degli imprenditori allorquando questi vogliono offrire i loro servizi in un altro Paese. La differenza di trattamento salariale é perció ininfluente secondo i giudici della Corte.

In Lussemburgo le autoritá governative avevano preteso dalle imprese coinvolte la documentazione necessaria per poter svolgere le normali attivitá di ispezione e controllo sul rispetto delle norme sul lavoro. Avevano anche chiesto alle imprese straniere di nominare un loro rappresentante locale che fosse in grade di interloquire con le autoritá per fornire loro tutte le informazioni ritenute necessarie per il controllo del rispetto delle norme sui salari e le condizioni di lavoro dei dipendenti. Inoltre si esigeva che i salari dei lavoratori stranieri venissero indicizzati e messi a livello dei lavoratori nazionali.

Altre tre simili situazioni si erano verificate precedentemente con la Svezia, la Finlandia e la Germania. Questi avevano preteso dalle imprese Laval, Viking e Ruppert di attenersi alle norme vigenti nei Paesi dove operavano e di rispettare i diritti dei lavoratori. In tutti e tre i casi la Corte aveva sentenziato che prima di tutto conta la libertá dell’impresa. La difesa dei livelli salariali costituisce perció " un ostacolo".

É importante rilevare che é stata la Commissione europea a citare in giudizio questi Paesi per non avere adeguato le proprie norme agli "indirizzi"che la Commissione stessa aveva emesso.

La Corte europea, ha sempre disciplinatamente condannato le istituzioni di questi Paesi richiamandoli al rispetto delle norme e degli "indirizzi", in modo da non "ostacolare la libertá delle imprese".

Queste cose succedono dietro le quinte, peró sono tasselli che si vanno accumulando nel procedimento di espropriazione dei diritti democratici e del lavoro che la oligarchia europea sta portando avanti in modo sempre piú accelerato. Approfittando dello sbandamento e la passivitá dei grandi sindacati e delle organizzazioni politiche di massa.

Tuttavia bisogna anche notare che, sia pure indirettamente, la pressione delle masse contro l’imbarbarimento dell’Europa si sta facendo sentire. Dopo il No degli Irlandesi, é in Austria dove sta montando un movimento di opposizione al Trattato di Lisbona. Quasi una settimana fa sul principale quotidiano austriaco, il Kronen Zeitung, il cancelliere austriaco Gusenbauer e il suo ministro delle infrastrutture Feynmann hanno pubblicato una lettera dove affermano tra l’altro la necessitá di indire un referendum ogni qualvolta si debba firmare un trattato che ponga in questione l’indipendenza dell’Austria. Da notare che l’Austria da dopo la fine delle Seconda guerra ha una politica neutrale e pacifista. Stavo per dire "aborre la guerra", ma questo sta nella Costituzione italiana.

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da Masada 747

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Nicolai Caiazza