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di Alda Radaelli
Volontariato: più organizzazioni che attivisti
(fonte: “Redattore sociale” 5/12/2006 - Renato Frisanco, responsabile studi e ricerche FIVOL - Osservatorio
nazionale per il volontariato - Rapporto biennale)
Aumentano i servizi alla persona e quindi il numero delle organizzazioni che se ne fanno carico
(74,5% nel 2003), insieme al numero degli utenti, che secondo l’ISTAT sono passati complessivamente
dai 2,5 milioni del 1997 ai 6,8 milioni del 2003.
Il volontariato cambia volto. La nascita delle organizzazioni è sempre più connotata dalla iniziativa
di gruppi di cittadini rispetto alla tradizionale capacità di affiliazione delle centrali nazionali del volontariato
e della promozione ecclesiale. Si passa infatti dal 42,5% delle organizzazioni a matrice
cristiana o confessionale del 1993 al 28,7% del 2001.
Aumentano le organizzazioni “espressione della volontà dei cittadini e di partecipare e di tutelarsi”,
tanto da poter parlare di una “secolarizzazione” del fenomeno: “L’identità dei gruppi di volontariato
si esplicita nel servizio e nella tensione comune verso obiettivi di risultato più che nella condivisa
matrice culturale o visione del mondo, laica o confessionale che sia”.
Di contro, ci sono più associati e più professionisti nei gruppi mentre diminuiscono
consistentemente le organizzazioni composte dai soli volontari.
Le associazioni sono sempre più formalizzate (96 su 100 hanno uno statuto), registrate con atto
pubblico (6 su 100 sono gruppi informali), dispongono di almeno due organi di governo (9 su 100
ne hanno più di uno).
La crescita più cospicua ha riguardato l’organo di controllo che dà conto della tendenza ad adeguarsi
alle norme di trasparenza e buona gestione richieste dall’iscrizione al registro del volontariato
e dell’assunzione di convenzioni e progetti.
Si accentua anche la polarizzazione all’interno del composito mondo del volontariato tra le organizzazioni
più grandi con base associativa o aderenti alle sigle nazionali del volontariato e i piccoli
nuclei di volontari. Le prime risultano più “lautamente finanziate dalle amministrazioni pubbliche e
in grado di condizionare, se non proprio di monopolizzare, l’offerta dei Centri di Servizio per il Volontariato”,
più orientati verso un mercato sociale di servizi standardizzati.
I piccoli gruppi di base del volontariato “informale”, “puro” (solo aderenti non rimunerati) sono scarsamente
rappresentati e partecipi di coordinamenti e consulte locali e si trovano alle prese con il
difficile turn-over dei volontari.
Scrive Frisanco: “Serve una politica di collaborazione tra le une e gli altri e un reciproco riconoscimento
di valore nei coordinamenti e nelle consulte di appartenenza così come uno stimolo al lavoro
di/in rete, sia attraverso i criteri di assegnazione dei bandi pubblici che attraverso il finanziamento
di progetti da parte dei Centri di Servizi”.