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La Grande Faida dei petrolieri texani

Publie le martedì 2 gennaio 2007 par Open-Publishing

"Io ritengo che la giustizia altro non sia che l’interesse del più forte"

di Alberto Giovanni Biuso

La morte di Saddam Hussein al-Majid al-Takriti è per George W. Bush «un esempio di quella giustizia che negò alle vittime del suo brutale regime».

Morte scaturita da ciò che il giurista Antonio Cassese ha definito «un processo farsa», perché il modo in cui si è svolto –sotto il totale controllo della potenza occupante- rivela «quanto è fallace l’affermazione della Casa Bianca secondo cui l’impiccagione dell’ex dittatore dimostrerebbe che oggi la “rule of law", e cioè lo stato di diritto, è subentrato alla tirannide ("rule of a tyrant"). In realtà le gravi irregolarità del processo, la violazione dei diritti della difesa e l’irrogazione della pena capitale (vietata da tutti i tribunali penali internazionali) provano che ciò non è vero».

Morte che Vittorio Zucconi ha ben situato nel suo contesto e significato come l’ultima di una serie di «pantomime organizzate per dare una parvenza di legittimità giudiziaria alla vendetta finale del vincitore contro il vinto, soprattutto contro l’uomo che aveva “tentato di uccidere il mio papà”. Nella guerra insieme globale e privata che da quasi sedici anni, dalla Tempesta nel Deserto, vede in campo Stati Uniti e Iraq ma senza che mai l’Iraq abbia aggredito gli Stati Uniti, alla fine il clan texano dei Bush ha saldato il conto con il clan sunnita dei Takriti. (…) George W. Bush ha avuto la “pietra miliare” che ha comperato con la vita di 2.992 soldati uccisi, 42 mila feriti e 600 miliardi di dollari, ma anche questa somiglia tristemente soltanto a un’altra pietra tombale».

Ma il commento più consono e attuale è quello che Platone fa pronunciare al sofista Trasimaco: «Ogni governo pone delle leggi in vista del proprio vantaggio: la democrazia porrà leggi democratiche, la tirannia tiranniche, e così via. E una volta istituite, essi dispongono che il proprio utile diventi per i sudditi ciò che è giusto, sicché il trasgressore viene perseguito come nemico della legge e della giustizia. Ecco qui, ottimo amico, quello che in ogni forma di governo io sostengo esser il giusto; in fondo è sempre la stessa cosa: ciò che serve al potere costituito. Questo, infatti, ha dalla sua la forza, e, quindi, chi sa ben ragionare non può non convenire che, in ogni caso, la giustizia si identifica con il vantaggio del più forte» (Repubblica, 338 E – 339 A).

Quanto sta accadendo in Irak e nel Vicino Oriente è l’ennesima conseguenza della guerra totale, inventata dalla potenza marittima e calvinista inglese, imposta al mondo prima dall’Impero britannico e poi da quello statunitense, sempre comunque alleati. Come le analisi di Carl Schmitt hanno argomentato, la potenza dell’elemento marino –il Leviatano- ha contribuito allo sviluppo dell’aviazione e del fuoco che distrugge dall’alto. I due nuovi elementi –l’aria e il fuoco- delineano un’ulteriore trasformazione tesa alla sconfitta e al controllo dell’antico elemento terrestre. Nella prima metà del Novecento è nato così, attraverso scontri e distruzioni immani, un nuovo Nomos della Terra, quello che dal 1945 al tempo presente ha controllato il pianeta, sottomettendo l’Europa continentale, lanciando un fuoco immane e distruttore sul Giappone, imponendo ovunque la globalizzazione dei suoi modelli di vita e della sua economia. L’intera umanità è carne da macello asservita agli interessi finanziari e petroliferi degli USA e del suo cane da guardia israeliano nel Vicino Oriente. Nulla a che vedere con democrazia, pace, libertà, parole buone per le masse e per i loro imbonitori, alleati dell’Impero.

Il finto processo contro il dittatore iracheno è la clamorosa conferma del fatto che anche “i diritti dell’uomo” rappresentano una delle forme mediante le quali nei conflitti contemporanei il nemico viene criminalizzato e privato della sua dignità di uomo. Chi non rispetta i diritti umani, o viene accusato di non rispettarli, diventa per ciò stesso un mostro, contro il quale nessun’arma è illegittima. Il nemico, in realtà, andrebbe ucciso sul campo –questo impone l’onore- e non strangolato in catene quando non può più difendersi. Da Norimberga a Baghdad corre il filo rosso dell’infamia anglosassone, della sua profonda viltà, tipica di gente per la quale il danaro –solo il danaro- è tutto.

L’uccisione di Saddam Hussein è un omicidio politico perpetrato in nome della democrazia, una pena di morte comminata in nome dei diritti umani –clamoroso ma significativo ossimoro!- e soprattutto è un avvertimento a tutti i tiranni del mondo non perché rinuncino alla loro tirannide ma perché la impongano sempre con il controllo, l’alleanza, il beneplacito degli Stati Uniti d’America, come ben sapeva Saddam Hussein fino a quando i suoi massacri furono compiuti col sostegno attivo e amichevole dei Bush e dei loro amici. E come sanno ancora i suoi colleghi, feroci quanto lui ma di lui più fortunati, che hanno dominato o dominano tuttora i loro popoli col sostegno della potenza statunitense: da Pinochet e Videla in America Latina ai dittatori dell’Arabia Saudita e del Pakistan in Asia e agli spietati tirannelli africani ai quali gli USA continuano a fornire armi, sostegno, giustificazione. Ma per i petrolieri texani padroni del mondo «giustizia è fatta». Ancora una volta Trasimaco ha ragione.

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