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La folla che ha colmato Piazza Maggiore a Bologna ha generato il suo primo effetto collaterale di rilievo. I forgiatori professionali di opinione pubblica, i commentatori che ricamano l’aria, gli intervistati “full time” e “a progetto”, hanno scoperto due parole magiche per il nuovo gergo da massificare.
Nel prêt-a-porter dell’autunno-inverno impazzeranno la “anti-politica” e il “populismo” che – dopo la sua gran auge nella cronaca internazionale - viene ora lanciato sulle bancarelle italiane. Due fragili barriere semantiche dei nuovi pompieri, inadatte a narcotizzare logica e significati.
Antipolitica? Assomiglia come un gemello siamese all’anti-americanismo. Sei contro il lancio di una bomba di 500 chili su di un quartiere periferico, allora sei filoterrorista e – ovviamente - anti-americano. Idem se - magari per reminiscenze culturali umaniste o paleocristiane - non ti garbano le torture o l’esportazione a mano armata dei diritti umani.
Insomma, chi tocca i politici muore, ma questo non significa affatto che uno è anche contrario all’elettricità! Semmai è preoccupante l’automatismo con cui tentano di avallare l’equazione politicanti di professione=”la politica” (sic).
Tutto quel che accade al di fuori degli evanescenti apparati e del raggio d’inazione dei nanopolitici, si è convenuto definire all’unisono come antipolitica populista.
La spocchia e l’arroganza di questo ceto vizioso è sempre stata eccessiva, però ora rasentano la schizofrenia, e si rifugiano in un mondo immaginario, dove il loro gergo sterile convince solo Bruno Vespa e i suoi colleghi della carta stampata. La vita quotidiana, però, non è un programma di intrattenimento, così come la società non è sinonimo di mercato. La cittadinanza non può esere ridotta a elettorato o a votazioni. Cittadino non è l’equivalente di consumatore. Questo è il punto.
E’ vero che è passato molto tempo da quando ai cittadini di Atene si chiedeva se bisognava fare la guerra a Sparta o no. Ciononostante, la democrazia è pur sempre qualcosina di diverso da questa sgangherata democrazia rappresentativa, che periodicamente scaturisce dal ritualismo delle urne. Questa routine notarile sta in pugno ai moderni rackets cha trasformano il consenso in privilegi corporativi minoritari.
I nanopolitici - escrescenze ossificate che credono di essere “la politica” - non si arrendono a una evidenza solare: è in crisi la rappresentanza, cioè non rappresentano più gli orientamenti degli strati maggioritari della società. Sono portavoce della ragion pura dell’economia, intesa come dogma e valore supremo, e degli interessi delle nuove élites eiaculate dal modello globalista.
“La politica” è ormai un prodotto transgenico della monocoltivazione intensiva neoliberista, con la sua relativa sponda destra e sinistra, che convogliano nella medesima direzione le acque radioattive lasciate alle spalle dalle Borse e dall’unipolarismo.
La rappresentanza è in crisi perché non c’è diversificazione dell’offerta. Non è un problema di linguaggi, di maniera di porsi, come sembrano credere gli stilisti dell’apparenza che scrivono il copione scenico a Monsignor Veltroni e Padre Rutelli.
Il problema è che c’è un monoprodotto e troppi addetti alle vendite, e questa è una patologia tipica del sottosviluppo. Alla fine, non interessa più come si pubblicizza la confezione, e ai rappresentanti di commercio vengono chiuse le porte in faccia.
“La politica” sta perdendo il treno della rapresentanza perchè sta vivendo al di fuori del tempo e dello spazio, non conosce più la società esterna ai Palazzi e agli studi televisivi. E’ troppo diversa da come appare dai finestrini delle autoblu, o dalle descrizioni degli editorialisti, ed è sempre più restia a farsi “interpretare”. In Italia e altrove.
Se i rappresentanti non sanno più “chi e che cosa” rappresentare, non è solo per la loro boriosa mediocrità galoppante: è la crisi generale della democrazia rappresentativa. Sono sempre più attivi quegli stessi "ottusi" che opposero un diniego alla Costituzione europea scritta a uso e consumo dei banchieri.
Una decina d’anni fa, in un villaggio alle porte di Città del Messico, le élites economiche e politiche decisero di costruire un Club di Golf, senza consultare nessuno. Si sa che per portare il progresso non è indispensabile il consenso, lo si porta e basta. Gli abitanti di Tepoztlan non la pensavano allo stesso modo, e si opposero con tenacia. Ostruirono l’accesso al paese con barricate, occuparono il palazzo comunale, espulsero la polizia, chiusero l’esattoria e organizzarono l’autodifesa. Dissolsero il consiglio comunale, colpevole di aver concesso la licenza ai costruttori del Club di Golf, e indissero nuove elezioni. Tassativamente esclusi i partiti.
L’assemblea di ogni quartiere del villaggio designò un candidato. Tra questi vennero elette le nuove autorità.
Mentre politici, canali televisivi, redazioni, filosofi e cantastorie si accapigliavano per esecrare, dopo un anno di lotte comunitarie il Club non si costruì, e gli abitanti salvarono la scarsa acqua potabile. La democrazia – anche rappresentativa - non è un monopolio dei partiti.
In Venezuela, paese cui nell’ultimo triennio è stato sempre assegnato il Leon d’oro al “populismo”, ha una Costituzione che prevede il referendum revocatorio, che consente ai cittadini di poter mandare a casa – alla metà del loro mandato - sindaci, governatori, deputati e Presidente, quando il loro operato viene giudicato insufficiente. Non solo per corruzione o ladrocinio: anche se non stanno rispettando gli impegni assunti, o quando lavorano male.
E’ uno strumento che permette di limitare i danni e dimezzare il tempo a disposizione dei pigri, degli incapaci e dei disonesti. Chávez è stato sottoposto a questo tipo di referendum e lo vinse con ampio margine. I nanopolitici accetterebbero che i cittadini italiani dispongano di questo potere? Per ora, no. Ma il tempo stringe.
Il sistema dei partiti morì col finir del secolo, ora sta agonizzando lo spurio surrogato del “bipartitismo”, vale a dire quei due contenitori in cui si riciclano i frammenti e i calcinacci di quell’implosione.
I due cartelli di sigle mutanti e interscambiabili che costituiscono “la politica”, ora si affannano a drammatizzare la scena e – scarmigliati - minacciano che “dopo di noi il diluvio!”. Tranquilli, non affannatevi, tanto nessuno si spaventa.
Semplicemente sta tornando il tempo dei movimenti, delle iniziative dal basso, orizzontali, delle coalizioni sociali che si sedimentano attorno a obiettivi specifici e concreti. Che si dissolvono quando li hanno ottenuti, e che continuano a battersi sino a ottenerli.
Pubblicato Settembre 15, 2007
Messaggi
1. La Piazza è Maggiore, 15 settembre 2007, 16:38
Che un anarchico come Pulsinelli, tra l’altro vittima pure lui molti anni fa dell’incredibile montatura su Piazza Fontana e gli anarchici, arrivi pure lui a sostenere acriticamente la logica tutta "legge ed ordine" dei grillini, mi sembra chiaramente un segno dei tempi.
Faccio soltanto notare che la campagna del 1972 "Valpreda in Parlamento", tesa comunque a smontare quella montatura e di cui, se ben ricordo, Pulsinelli fu uno dei più convinti sostenitori - avendo Valpreda sul groppone condanne definitive per iniziative di movimento - con le leggi proposte da Grillo sarebbe stata impossibile.
K.
1. La Piazza è Maggiore, 15 settembre 2007, 17:59
Pulsinelli ha chiaramente buon gioco nel mettere in rilievo quanto di scontato e ipocrita vi è nelle critiche a Grillo da parte di chi è sotto la sua sferza. Ha anche ragione nel dire che il giusto contesto dell’accusa in malafede di populismo a Grillo è la crisi della rappresentanza nella democrazia occidentale.
Ma nel suo intervento omette di rilevare che l’unico merito del Vaffa-day, da questo punto di vista, è stato quello di agire come un potente reagente delle tendenze decadenti e regressive del sistema, di cui l’attacco stizzito e bilioso di Eugenio Scalfari è forse il sintomo più evidente.
Nel vaffa-day Pulsinelli sembra vedere l’annuncio di un momento aurorale di rinnovato vigore dei movimenti. Quanto alla fondatezza di questa previsione non mi pronuncio, limitandomi ad esprimere la speranza che abbia ragione lui, ma ci sono molte ragioni per dire che il vaffa-day, in sé, è più un’espressione della crisi della democrazia che denuncia, che non il segno di una reazione.
Gianluca
2. La Piazza è Maggiore, 15 settembre 2007, 18:58
Non so chi sia Pulsinelli né quali sono stati i suoi percorsi. Prendo atto che questo articolo è un buon articolo e lo ripropongo
viviana
2. La Piazza è Maggiore, 15 settembre 2007, 20:04
Cara Viviana, anche per concludere - almeno per quanto mi riguarda - questa discussione, dico che alla fin fine Grillo c’entra pure poco.
Il problema, almeno con te, è un altro ed ormai da anni...
Tu sei portata a sostenere, ieri con i Girotondi ed anche al tempo delle polemiche sull’indulto ed oggi con Grillo ( cosa comunque assai diversa), tutte quelle ricorrenti pulsioni della cosiddetta "società civile" o peggio della ancora più generica "opinione pubblica".
Che pur nascendo sempre ( in fondo vale anche per la Lega Nord degli anni ottanta ) da problemi ed esigenze reali finiscono fatalmente per muoversi su un terreno di "perbenismo" e soprattutto di "legge ed ordine".
E spesso se non sempre ( questo per il particolare periodo nel quale hanno agito non vale per i Girotondi) hanno finito per ritrovarsi a destra o comunque ad esprimere nei fatti posizioni di destra nella sostanza.
Io non credo che esista invece una "legalità giusta" che vale per tutti e, partendo da una logica "di classe" - pur estranea alla cosiddetta "tradizione comunista" - non accetto di mettere sullo stesso piano l’illegalità delle lotte sociali e politiche ( manifestazioni non autorizzate, picchetti, blocchi stradali e ferroviari, occupazione di case o di spazi, pratica militante antifascista, disobbedienze sociali in genere) e nemmeno l’illegalità più "comune" del lumpenproletariat ( migrante o autoctono che sia) con le malefatte dei Berluska, dei Ricucci, dei Tanzi, con l’evasione fiscale e retributiva ed ovviamente nemmeno con la gravissima illegalità "borghese" delle mafie e della criminalità organizzata più in generale.
Pur in forme diversissime tra loro, invece, i movimenti della cosiddetta "società civile" ( dalle varie organizzazioni antimafia ad esperienze tipo la Rete di Orlando, i Girotondi, il partitello di Di Pietro e buoni ultimi Grillo e i grillini) tra questi diversi tipi di "illegalità" non fanno nessuna differenza.
Quando Grillo sabato a Bologna ha letto con la medesima enfasi dalla stessa lista dei "cattivi" i Disobbedienti Farina e Caruso e gente del calibro di Dell’Utri, Cuffaro o Previti, questa cosa è uscita fuori con un’ evidenza nettissima.
Per questo, pur agendo nello stesso periodo storico/politico e più o meno contro lo stesso avversario, tra i cosiddetti no global ( peraltro sostanzialmente estranei anche loro alla "tradizione comunista" e a posizioni "di classe" ma tutt’altro che estranei invece a disobbedienze di massa anche di tipo "illegale") e i Girotondi non si è mai minimamente messa in piedi nessuna contaminazione reciproca.
Questo al di là della possibilità che molte persone, in nome dell’antiberlusconismo e tra le quali il sottoscritto, possano talvolta aver partecipato sia alle iniziative degli uni che degli altri.
E per questo, circa un anno fa, litigavo con te trovando inaccettabile che pur di mantenere Previti ai domiciliari ( in galera c’era stato solo un week-end) si potesse tranquillamente teorizzare, come facevi tu ed altri, di mantenere in galera qualche migliaio di immigrati, colpevoli spesso soltanto di aver giustamente "disobbedito" ad una legge infame ed ingiusta come la Bossi/Fini.
Questa mi sembra la contraddizione reale ....oggettivamente insanabile .......
K.
1. La Piazza è Maggiore, 16 settembre 2007, 07:30
Ma di che parli?
La lista di Grillo comprende:
Enzo Carra, Massimo Maria Berruti, Marcello dell’Utri, Giorgio La Malfa, Umbero Bossi, Giorgio Galvagno, Augusto Rollandin, Antonio del Pennino, Vito Bonsignore, Alfredo Vito, Antonio Tommasini, Egidio Sterpa, Walter de Rigo, Roberto Maroni, Gianni de Michelis, Giampiero Cantoni, Vittorio Sgarbi, Vincenzo Visco, Alfredo Biondi, Gianfranco Frigerio, Paolo Cirino Pomicino, Lino Jannuzzi.
Con tutto rispetto, non credo potrebbe esserci Stato che accetti in Parlamento Farina con 9 reati: 1)Oltraggio - resistenza - violenza e fabbricazione o detenzione di materie esplodenti; 2) Oltraggio, resistenza e violenza, accompagnati da reati contro l’ordine pubblico; 3) Reati contro lo Stato; 4) Porto abusivo e detenzione armi; 4) Danneggiamento e reati contro la pubblica amministrazione; 5) lesioni personali e blocco stradale; 6) Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità; 7) agevolazione dell’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, Produzione e traffico di stupefacenti; 8)Rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale.
Alcune cose sono di scarsa considerazione ma non mi pare esattamente un Mandela. Comunque, se a uno piace la lotta armata.... Io come pacifista sono perplessa e preferirei non avere bombaroli in Parlamento altrimenti tanto vale mandarci Mambro e Fioravanti.
Francamente prefrisco l’articolo del Leoncavallo:
"Oltre alle polemiche e agli strascichi, il V-day lascia sul piatto una Legge di iniziativa popolare. Benvenuto strumento democratico, che riporta all’ordine del giorno la già lunga battaglia politica sul
sistema proporzionale,
la reintroduzione delle preferenze elettorali,
il limite dei mandati elettivi.
Contenuti, questi, di buon senso, ed una rinnovata volontà di partecipazione, che ci conferma che la strada, e le piazze, intraprese in questi anni, portano lontano. Ma la proposta che più emerge, purtroppo, è la formula semplificata del "Chi è stato condannato in via definitiva non deve più sedere in Parlamento". Che cosa significa? Che i cittadini condannati solo in primo o secondo grado non possono candidarsi o essere eletti in Parlamento e, temiamo per estensione, anche nelle amministrazioni locali? E di che reati stiamo parlando? Sembrerebbe sempre e tutti.
Ce lo chiediamo perché la nostra storia è fatta anche di 4000 denunce, e di centinaia di compagni e compagne condannati. Stiamo parlando della storia di una città, Milano, e delle sue lotte universitarie, operaie, per il diritto alla casa, in difesa dei centri sociali, degli spazi pubblici dei territori, lotte antifasciste o contro la precarietà. Di protesta e di proposta, di impegno quotidiano. Storia antica ma anche assai recente, che accomuna realtà diverse, in movimento, che hanno attraversato in questi anni il Paese. Un elenco lungo che qualifica il conflitto sociale, e lo fa dentro piazze piene e a volto scoperto. E’ storia di democrazia, di partecipazione di massa, e quindi anche di rappresentanza. Da Mandela, poi presidente del Sud Africa, ai nostri stessi padri della democrazia, in guerra l’8 settembre, fino ai sindaci no-tav. Una bella differenza tra questi e coloro che fanno quotidiano banchetto della cosa pubblica o si intrattengono con mafie di ogni sorta e colore; che fanno della politica merchandising e della Costituzione, carta in parte disattesa e tradita.
Non siamo V-Generation, ma abbiamo contrastato le guerre, fossero umanitarie o globali e permanenti. Non siamo V-Generation, ma la generazione di Genova2001, aggrediti da un ordine pubblico uscito dai cardini. Siamo fra quelli che si battono oggi contro la propria e l’altrui precarietà, per la tutela dei beni comuni, per un’idea e con un’idea assai diverse della sicurezza dei cittadini, non proibizionista ma invece solidale con chi più ne ha bisogno. Diritti che nessuno ha mai regalato. Questioni che non risolveremo, temiamo, se non alzando ancora una volta i gomiti. Nella pratica quotidiana del "fare società", più che nel comunicare, e nuovamente in piazza il 20 ottobre 2007. Perché quando ci vuole ci vuole. Sei sempre invitato, anche se non a un pranzo di gala…
viviana
2. La Piazza è Maggiore, 16 settembre 2007, 08:45
Ha ragione Viviana. E’ normale che lo stato attivi anticorpi assai più numerosi verso un disobbediente che ha una lunga fedina penale e non rispecchia la nozione comune che si ha del gandhismo (e chi l’ha diffusa questa nozione comune, poi?), assai più che verso una persona che ha accumulato una fortuna producendo e vendendo armi, o facendosi pagare un’occhio la distribuzione di acqua potabile in qualche paese del terzo mondo in cui metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà (appalto che ha ottenuto attraverso la corruzione di pubblici funzionari in aree geografiche troppo lontane per scuotere la nostra sensibilità legalitaria). Nel primo caso si oppongono principi di legalità, nel secondo si rimanda tutto al buon gusto dell’elettore, il quale sembra in questi casi assai di bocca buona.
Questi sono i paradossi in cui ci si caccia quando si accetta di parlare sulla base di una nozione di legalità o rispettabilità civile i cui assunti etici non sono stati previamente discussi. Se si trova normale che la stragrande maggioranza delle leggi degli stati moderni riguardino la proprietà e la circolazione di capitali, e che queste leggi siano quelle che vengono fatte rispettare più rigorosamente, cercando di far valere con coerenza e determinazione principi etici in contrasto con questa occhiuta tutela della proprietà — distribuita in modo tanto ineguale — si rischia ben presto di trovarcisi contro la "legalità".
Gianluca
3. La Piazza è Maggiore, 16 settembre 2007, 11:25
Comunque gran parte dei "reati" di cui viene accusato Daniele Farina gli derivano dal fatto di essere stato proprio "portavoce" del Leoncavallo, per cui gli hanno per 20 anni e forse più attribuito tutte le cose che appunto venivano attribuite a quel Centro Sociale.
Più o meno quello che è capitato nello stesso periodo a Roma a Nunzio D’Erme, che pure ha mancato per un soffio nel 2004 una elezione plebiscitaria al Parlamento Europeo e che è pure stato l’unico esponente del movimento no-global che ha cercato, senza grande successo, di mettere in piedi un minimo di rapporto dialettico coi Girotondi.
Tornando al Leoncavallo, è stato per decenni l’unico argine milanese alle guardie padane, alle squadracce neonaziste ma prima ancora ( e gran parte delle condanne di Farina sono di quel periodo) agli strapoteri della "Milano da bere" di craxiana memoria ....
K.
4. La Piazza è Maggiore, 16 settembre 2007, 11:56
se poi ci si chiede cosa ci faccia uno come Farina in quegli ambienti.... Io trovo più scandaloso queste nuove frequentazioni che quei reati... comunque... - marione
5. La Piazza è Maggiore, 16 settembre 2007, 12:12
E poi il linguaggio "giuridico" e da questura porta spesso ad abbagli allucinanti.
Ad esempio, parlando proprio di Grillo, se uno citasse la sua condanna per "triplice omicidio colposo" senza specificare che si è trattato di un gravissimo incidente stradale, indubbiamente la cosa farebbe un altro effetto. O no ?
I materiali esplodenti detenuti da Farina ( ma in realtà dal Leoncavallo di cui era "portavoce") erano, ad esempio, botti di Capodanno preparati per una notte di S.Silvestro degli anni ottanta e rinvenuti dalla polizia in una "provvidenziale" perquisizione fatta tra Natale e Capodanno.
E i reati attribuitigli rispetto a questioni di droga erano in realtà la coltivazione nel giardino dello stesso Leoncavallo di piantine di marjuana, cosa tranquillamente e preventivamente rivendicata e pubblicizzata dallo stesso Leoncavallo come "disobbedienza civile" rispetto alla legge proibizionista Craxi-Jervolino.
E, andando avanti nell’ elenco dei "cattivi" di Grillo, credo anche che il mini-abuso edilizio di Visco ( l’allargamento di un balcone in una sua casa di vacanze) o i reati, tutti "politici", di diffamazione a mezzo stampa di Jannuzzi ( tra le condanne una, insieme a Scalfari, per diffamazione al Generale golpista De Lorenzo per un articolo dell’ Espresso del 1970 !) non possano nemmeno questi essere messi insieme come se niente fosse alle "associazioni mafiose" et similia dei Dell’Utri e company.
E lo stesso discorso vale per il "vilipendio alla bandiera" di Bossi o la "resistenza a pubblico ufficiale" di Maroni.
Volendo invece parlare di Mambro e Fioravanti, a parte la condanna per la strage di Bologna ( sulla quale credo siano legittimi molti dubbi), hanno sul groppone una decina di omicidi lei e sei-sette lui, tutti regolarmente confessati ; non mi sembra quindi il caso di fare paragoni allucinanti.
E comunque un membro della banda Fioravanti, condannato per banda armata ed altri reati gravi anche se non per omicidio, Marcello De Angelis, è oggi un tranquillo senatore di Alleanza Nazionale e non mi sembra rientri nell’elenco dei "cattivi" di Grillo.
Può darsi che il nome di De Angelis sia sfuggito o che la sua situazione sia rientrata, trattandosi di storie di oltre un quarto di secolo fa ed essendo all’epoca il De Angelis minorenne, in qualche forma di amnistia o indulto o più probabilmente di semplice "non menzione" nel certificato penale.
Ma questo fatto dimostra ancora di più l’assurda inconguenza di affidarsi ai "certificati penali", senza alcuna distinzione di merito, per dare giudizi politici ...
Per concludere, il certificato penale di Enrico Berlinguer, prima di essere eletto per la prima volta al Parlamento, non era tanto migliore di quello di Farina. Negli anni immediatamente successivi alla guerra, infatti, era stato più volte denunciato ( ed anche per alcuni mesi condannato e detenuto) in quel di Sassari per reati altisonanti tipo sommossa, associazione a delinquere, insurrezione contro i poteri dello stato, violenza, lesioni ecc. ecc.. Naturalmente si trattava di allucinanti imputazioni attribuitegli per la partecipazione a lotte politiche e sociali .....
K.
6. La Piazza è Maggiore, 16 settembre 2007, 17:25
Vedo che avete tutti ragione. Credo che tutte queste considerazioni siano giuste, se poi si guarda ai prescritti vien fuori anche di peggio e c’è chi è stato mandante di assassini e non ha ricevuto nemmeno una indagine. Certe denunce e il modo stesso con cui sono formulate sono assurde e totalitarie. Certe condanne non avrebbero nemmeno ragione di essere. Certe leggi stesse infine sono produttrici di morte o di grave sofferenza civile, per cui appellarsi al dirito dello stato che le applica è esso stesso iniquo.
Il problema è che doveva arrivare un messaggio di pulizia del parlamento, come insofferenza generale, se poi si scende nel particolare emergono varie discrasie e non sta in piedi più nulla. E’ piuttosto difficile fare proclami semplici alla gente. Un Mandela immaginiano che avrà avuto ben di peggio dietro di sé in quanto a denunce o condanne penali. Capire troppo vuol dire assolvere tutto. Esprimere denunce collettive semplicistiche vuol dire ridurre una molteplicità di cause ai minimi termini fino all’assurdo. Ma tra questi due estremi sarà pur possibile esprimere una denuncia che sia capita da tanti anche non politicizzati? magari una denuncia sia pur così’ grezza è un primo passo, che ha il vantaggio della generalità, se non quello della analisi.
Tutto quello che ho letto è ragionevole ed è anche parte di quel che pensavo. Ogni problema può essere visto in molti modi e il semplicismo non affronta nulla, riducendo la realtà in briciole. Ma riflettere su tutto non risolve il problema di questo ceto partitico. Si potrà pur fare qualcosa per denunciarlo?
viviana
7. La Piazza è Maggiore, 16 settembre 2007, 17:57
Certo che "bisogna fare qualcosa" per denunciare certe cose ....
Ma credo che l’ultima cosa utile in questo senso sia "eccitare" l’intestino più che il cuore e la testa della gente che quotidianamente certe cose le subisce ....
E senza fare demagogie indistinte ...
Già l’idea di "liste civiche" per le amministrative lanciata oggi da Grillo, liste chiuse nel modo più assoluto a partiti preesistenti ( con buona pace di Di Pietro), è qualcosa di più serio e praticabile di due delle tre leggi su cui sono state raccolte sabato le firme (quella sulla preferenza, a differenza delle altre, io la condivido pienamente).
Scompaginare questo maledetto bipolarismo, a partire proprio dagli enti locali, credo sia veramente cosa buona e giusta.
Però continuo a credere che la contraddizione principale rimanga quella capitale/lavoro e che i temi su cui insistere non siano la "casta" ( a meno che non si voglia allargare questa categoria a tutta la "classe dirigente", imprenditori in primis, e così ci togliamo dalle scatole l’ipotesi Montezemolo) ma quelli "sociali" cioè precariato, pensioni, prezzi, casa ecc. ecc.
K.
8. La Piazza è Maggiore, 16 settembre 2007, 19:30
Anche sulle liste elettorali alle amministrative io qualche obiezione da fare ce l’avrei.
Intanto io ormai considero il voto come un atto dettato da motivazioni contingenti, destinate a favorire questa lista o quel candidato in circostanze del tutto occasionali e da decidere volta per volta. Ma rifiuto nettamente l’idea che l’eletto con i miei voti mi "rappresenti", perché so che questo non è e non può essere vero. Dunque per me non è neanche scontato che si debba andare a votare.
In ogni caso, essendomi rassegnato alle ultime politiche a votare addirittura per il partito di Diliberto (sempre in omaggio a motivazioni contingenti) suppongo che posso votare qualsiasi cosa, e dunque perché non le liste di Beppe Grillo?
Il problema è che Grillo esprime oggi una valenza duplice e confusa, e non vedo nessuna tendenza a fare chiarezza. Io posso premiare con il mio voto il suo impegno degli ultimi anni su temi scomodi come quelli della trasparenza economica, l’ambiente (felicemente sottratto all’opportunismo dei Verdi), e così via, ma ai contenuti del v-day io non mi avvicino neanche con una pertica, e purtroppo non c’è al momento nessuna possibilità di tracciare una linea, e separare queste due valenze.
Il massimo che posso promettere è di seguire senza prevenzioni il suo movimento, e sperare che l’ubriacatura populistico-giustizialista finisca presto.
Gianluca