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La biografia di Ho Chi Minh in un libro di Pino Tagliazzucchi

Publie le mercoledì 21 luglio 2004 par Open-Publishing

Quel poeta rivoluzionario

di Bianca Bracci Torsi

Per almeno due generazioni del "popolo della sinistra" Ho Chi Minh, esile ed eretta figura, viso blandamente sorridente, sottile barba bianca, ha costituito un mito e il riproporsi della speranza più antica, quella che un fanciullo armato di fionda possa abbattere il gigante. «Dieci, cento, mille Vietnam» diceva Che Guevara e a tutti sembrava un obbiettivo possibile.

Ma chi era Ho Chi Minh, ultimo e più noto nome assunto dal secondo figlio di un mandarino di umili origini e scarsa fortuna? Insieme ai suoi scritti politico-militari nei quali a una rigorosa analisi marxista si intrecciava la realtà sconosciuta del sud est asiatico, circolavano le sue poesie scritte in carcere con la metrica raffinata appresa nel prestigioso istituto Quon Hoc e i contenuti semplici che qualunque analfabeta poteva assimilare. Si conosceva la lunga, disperata e vittoriosa guerra dei vietimin contro il colonialismo francese e l’imperialismo statunitense ma la vita privata, i pensieri intimi, la figura stessa del principale artefice di quella utopia fatta realtà restavano avvolti in un alone di silenzio.

Pino Tagliazzucchi, forse il maggior conoscitore italiano della storia contemporanea del Vietnam alla quale ha dedicato anni di studio anche sul campo, rispetta quel silenzio coerente «alla tradizione di grandi letterati, famosi anche nella storia militare e politica della nazione vietnamita che... erano considerati grandi se dirigevano senza comparire» ma anche alla rigida separazione fra privato e politico che fu dei comunisti della III Internazionale, e intitola il suo libro "Ho Chi Minh - biografia politica 1890-1945" (Ed. L’Harmattan Italia, pp. 349 euro 21,80).

Non si tratta di una delle letture accattivanti e leggere alle quali ci hanno abituati molti biografi alla moda - non la consigliamo a chi si appassiona alla cucina e alla camera da letto degli uomini illustri - ma di un’opera di ricerca ed elaborazione su Ho Chi Minh e il Vietnam e di come la vita dell’uomo e quella del suo paese si siano condizionate a vicenda fino a confondersi.

Nato nel 1890, mentre una feroce repressione sconfiggeva l’ultima grande resistenza armata antifrancese, Ho Chi Minh vive l’adolescenza nel passaggio della cultura vietnamita dalla tradizione confuciana al "modernismo", che fa riferimento alla Francia della Rivoluzione e dei diritti dell’uomo e attrae i più giovani fra gli studenti e i funzionari minori. La sua formazione scolastica si svolge in un continuo oscillare fra il legame col suo paese e l’attrazione verso le idee di libertà e uguaglianza che arrivano dall’Europa; è la prima difficile contraddizione che deve affrontare. La risolve in Francia, dove è emigrato, avvicinandosi agli ambienti socialisti che stanno dividendosi fra seguaci della II e della III Internazionale, grazie alle tesi che Lenin presenta al secondo congresso della Internazionale comunista affrontando per la prima volta in un’assise internazionale la questione delle colonie con una nettezza che supera le ambiguità dei socialisti d’Occidente. Le tesi stabiliscono «il più stretto vincolo tra il proletariato comunista dell’Europa occidentale e il movimento rivoluzionario dei contadini dell’Oriente, nelle colonie e nei paesi arretrati e impegnano i partiti comunisti a l’appoggio al movimento contadino contro le residue forme di feudalismo» e anche all’alleanza «con i movimenti democratico-borghesi di liberazione presenti nelle colone» nel quadro della lotta contro l’imperialismo. Così, nel 1920, Ho Chi Minh diventa il primo e allora unico comunista vietnamita.

Un rivoluzione che liberi il Vietnam e l’intero Sud est asiatico dalla dominazione straniera e dallo sfruttamento dei funzionari corrotti e dei grandi proprietari terrieri è possibile solo se ne saranno protagonisti gli uomini e le donne dei villaggi, quel popolo oppresso dalla miseria e dall’ignoranza al quale non hanno saputo rivolgersi i vecchi movimenti nazionalisti, espressione delle classi colte. E’ il compito che deve porsi un partito marxista-leninista ed è quello che si propone Ho Chi Minh, studente a Mosca e inviato dell’Internazionale comunista in Vietnam dove, dieci anni dopo, fonderà il Partito comunista e costruirà, contemporaneamente, una rete di alleanze politiche e una moltitudine di associazioni locali impegnate nella rivendicazione di migliori condizioni di vita di operai e contadini. La ricerca di alleanze e il riferimento costante all’internazionalismo nei rapporti con la Francia - il tentativo, fallito, di un accordo col governo del Fronte popolare - e con la Cina, dove il fronte antigiapponese mostra già le prime crepe del dissidio fra comunisti e Kuomintang è una costante della politica dei comunisti vietnamiti insieme alla costruzione di un partito di massa radicato in ogni villaggio e alla creazione di una struttura diffusa di giovani quadri politici e militari. Una politica che non subisce interruzioni negli anni della Seconda guerra mondiale - che videro un accordo fra il governo di Vichy e il Giappone - né durante la lunga prigionia di Ho Chi Minh e riuscirà a dar vita, nel 1941, alla Lega per l’indipendenza del Vietnam, più nota come Viet Minh, che guiderà l’insurrezione vittoriosa del 1945.

«Ogni distretto aveva i suoi granai di riso», scriverà nei suoi ricordi il comandante Giap, «gli acquisti di armi avevano assunto le proporzioni di un movimento di massa. Ogni famiglia cercava di comprare armi dai soldati di Chiang Kai-Shek a costo di vendere un bufalo o del riso per pagarle».

Sarà questo popolo a sconfiggere il colonialismo francese e a proclamare la repubblica vietnamita, il cui presidente è ormai noto col familiare e rispettoso nome di zio Ho.

Tagliazzucchi chiude qui il suo racconto, limitandosi a brevi accenni al più noto "dopo": l’attacco della Francia decisa a mantenere la sua colonia, poi l’invasione americana contro un piccolo paese comunista. Vent’anni di guerra contro due giganti, sconfitti e cacciati entrambi da quei contadini che caricavano su malandate biciclette le armi comprate di contrabbando, rinunciando al bufalo e al riso. E dal loro zio Ho.

http://www.liberazione.it/giornale/040717/LB12D680.asp