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La commistione degli interessi, Telecom, Berlusconi ed il governo ....
Publie le martedì 17 aprile 2007 par Open-Publishing4 commenti
Dopo il ritiro di At&t dalla partita per l’acquisto di Telecom il quadro è cambiato. Ma il mutamento di proprietà rimane all’ordine del giorno. E diventa ancora più interessante, in questa nuova situazione, il modo in cui l’Unità di ieri, con un articolo di Rinaldo Gianola, ha riferito e commentato la possibilità che Silvio Berlusconi e Roberto Colaninno si mettano d’accordo, con la benedizione di Mediobanca, per conservare l’azienda all’Italia. Il tono è quello leggero di un giornalista che ha raccolto notizie interessanti e le comunica ai lettori con un pizzico di distaccata ironia. Vi sono alcuni passaggi sul conflitto di interessi di Berlusconi e sulle possibili ricadute politiche di una tale operazione, ma trattati con la levità e il garbo di chi preferisce concentrare la sua attenzione su una delle tante vicende che rendono la vita sorprendente.
Suppongo che qualche vecchio lettore dell’Unità abbia sbarrato gli occhi leggendo questo articolo nel suo quotidiano preferito mentre Berlusconi approvava il pugno di ferro con cui Vladimir Putin ha disperso i manifestanti di Mosca e San Pietroburgo. Quando il leader di Forza Italia approfittò di una conferenza stampa a Roma per difendere la politica cecena del presidente russo, tutta la sinistra commentò le sue parole con indignazione. Come ricorda l’autore dell’articolo, Colaninno è l’imprenditore che acquistò Telecom con l’approvazione di Palazzo Chigi quando il presidente del Consiglio era Massimo D’Alema. Mentre Berlusconi è il leader politico a cui la sinistra ha attribuito quasi tutte le sventure della politica italiana dell’ultimo decennio. Ma nell’articolo non vi sono né riprovazione né indignazione. Qualcuno si sarà chiesto se non stia apparendo all’orizzonte un compromesso storico tra finanza rossa e finanza azzurra, non meno importante di quello che Enrico Berlinguer annunciò dalle colonne di
Rinascita dopo il colpo di Stato cileno del settembre 1973.
Non sono in grado di prevedere l’esito di questa iniziativa, soprattutto in un momento in cui il ritiro dalla partita di At&t crea la possibilità di scenari diversi. Realistica o meno, l’ipotesi riferita dall’Unità e il modo in cui è stata presentata dal giornale di Antonio Gramsci suggeriscono tuttavia almeno due riflessioni.
In primo luogo, Telecom deve restare italiana e questo obiettivo è più importante di qualsiasi altra considerazione. Nazionalismo economico? Desiderio di conservare al Paese uno dei pochi «campioni» che gli sono rimasti? Forse, ma soltanto in parte. Al fondo del problema esiste un’altra ragione. Il mondo della politica (governo, partiti, sindacati) vuole interlocutori nazionali perché teme, con ragione, che i proprietari stranieri rifiuterebbero di giocare la partita con le regole a cui siamo abituati. Si ridurrebbe drasticamente lo spazio per i salvataggi, la cassa integrazione, i pensionamenti anticipati, i tavoli sindacali con la partecipazione del governo. Le grandi aziende devono restare italiane perché con gli italiani si tratta e, prima o dopo, ci si mette d’accordo. Con gli altri è più difficile.
In secondo luogo non bisogna mai prestare troppa attenzione ai sanguinosi insulti e alle terribili accuse che gli opposti schieramenti italiani si scambiano al di sopra del fossato che li divide. Quel fossato, in realtà, è un rigagnolo che può essere attraversato in un senso o nell’altro senza rossore e imbarazzi non appena le circostanze e gli interessi suggeriscono un cambiamento di fronte. Non vorrei che qualcuno definisse questo stile «realista». Il realismo è una virtù seria che occorre praticare con un forte rigore morale. Questo è soltanto una forma di opportunismo o, peggio, di scetticismo disincantato e amorale.
17 aprile 2007
Messaggi
1. La commistione degli interessi, Telecom, Berlusconi ed il governo ...., 17 aprile 2007, 15:15
ROMA — Questa storia che racconta l’Unità, questa notizia che Berlusconi e Colaninno sarebbero pronti a entrare nella partita Telecom, non desta solo la curiosità del mercato: c’è anche amarezza, indignazione, ci sono persone che contro il conflitto d’interessi del Cavaliere si sono esposte, hanno scritto, parlato, ci hanno insomma messo la faccia e perciò adesso non trattengono delusione, preoccupazione, incredulità. C’è Rosetta Loy, per dire, la scrittrice che pure nei suoi libri trova sempre le parole per spiegare un tradimento, la fine di un amore, l’arrivo del male: «No... non l’ho ancora letta l’Unità, stamani. Sostengono questo? Davvero? Berlusconi starebbe per... Uhm... Senta, vorrei prima leggere per capire ed essere sicura che...».
Due ore dopo ha letto, è sicura, e perciò ha preso persino un appunto, ha messo giù due frasi, lei che con il suo italiano pulito, elegante, è maestra. «Il fatto è che vorrei proprio essere precisa su una vicenda tanto delicata».
Poi prosegue: «Guardi, sono esterrefatta. Il centrosinistra, già nel suo precedente mandato governativo, mancò di intervenire sul conflitto di interessi di Berlusconi, consentendo così di generare quella mostruosità che è poi stato un premier che non solo controllava le tre reti televisive nazionali, ma possedeva anche le altre tre...».
La voce, limpida e inconfondibile: «E ora? Ora dopo l’immane fatica di rivincere le elezioni, invece di accelerare la risoluzione del conflitto d’interessi, stiamo per assistere a una nuova escalation di Berlusconi... Sono proprio delusa, lo scriva. Avevo grandi speranze, in questo governo».
Chi ne aveva tante, di speranze, e chi meno. «Beh, io non è che poi mi illudessi troppo...». Eppure questo non basta a Sabina Guzzanti, attrice e militante in una sinistra che ha combattuto, con tenacia, il governo guidato da Berlusconi, per trattenere la sorpresa.
«Anche Telecom?». Anche Telecom, sembra. «Lui?». Lui, il Cavaliere. «Beh,ma è fantastico!». Fantastico? «Ma sì, ma dai... a questo punto ci lascia solo qualche pizzeria, e poi s’è comprato tutto...». Dietro questa sua ironia, cosa c’è? «C’è la consapevolezza che se mai l’operazione andasse davvero in porto, il governo di Romano Prodi sarebbe gravemente responsabile. E, con lui, anche certi mezzi di informazione che accettano passivamente questa tragica agenda politica». Può essere più precisa? «Hanno fatto diventare centrale la questione delle coppie di fatto... dimenticandosi del conflitto d’interessi».
Ecco, la Guzzanti usa un verbo: dimenticare. Giornali e governo avrebbero dimenticato, dice. Ma è proprio sulle parole, a teatro come nella vita politica, che occorre ragionare. Un critico teatrale come Franco Cordelli può aiutarci.
E, appunto, Cordelli: si sono dimenticati che Silvio Berlusconi già controlla molte aziende? Oppure c’è dell’altro? «Allora, guardiamo la scena». Cosa scorge? «Al Senato, si lotta per un voto in più o in meno. Più in là, vogliono fondare il Partito democratico, e io, sia chiaro, sono anche d’accordo, nella sostanza dell’operazione. Ma come lo stanno facendo nascere? ». Come? «Come una misera operazione di potere, sulla testa di chi ha votato per i Ds e Margherita ». E quindi? «Quindi dico che questo Paese è prigioniero di una politica oligarchica e perciò faccio un cattivo pensiero». Sarebbe? «Berlusconi vogliono continuare a tenerselo buono».
Cordelli va insomma oltre la delusione di Rosetta Loy e l’amarezza, il disincanto della Sabina Guzzanti: pensa al peggio. Parla di manovre finanziarie partorite da una politica oligarchica. E su questo, ecco, trova l’intesa con Marco Bellocchio, uno dei maestri del cinema italiano — «notoriamente di sinistra» — che sospende una riunione di lavoro e si mette a ragionare, anche lui a dire che «su Telecom è il palazzo della politica a decidere, con sprezzo della coerenza e senza provare neppure un briciolo di vergogna per non essere riuscito a varare una microlegge com’è quella sui Dico».
Marco Bellocchio parla di coerenza e allora Lidia Ravera, un’altra celebre scrittrice — «anch’io di sinistra, anch’io militante» — parla di promesse. «Io me le ricordo, quelle che fecero ame e a tutti gli elettori. Ci dissero che avrebbero messo mano al conflitto d’interessi. Ora, invece, fanno mettere le mani di Berlusconi su Telecom. Cosa devo pensare?».
www.corriere.it
1. La commistione degli interessi, Telecom, Berlusconi ed il governo ...., 17 aprile 2007, 15:27
La legge Gasparri vieta al Gruppo Mediaset l’acquisto di società telefoniche o similare. Vuoi vedere che il governino Prodi fa una legge a personam per Silvio Berlusconi?
2. La commistione degli interessi, Telecom, Berlusconi ed il governo ...., 17 aprile 2007, 15:33
Che poi le corbellerie sul controllo ldell’ informazione, sono dal morire dal ridere. Avette mai provato a fare l’elenco delle trasmissioni, testate giornalistiche, programmi di approfondimento politico, programmi radiofonici, programmi satirici, reti televisive e radio, che si dichiarano di sinistra? Prima fatelo e poi parllate|||
2. La commistione degli interessi, Telecom, Berlusconi ed il governo ...., 18 aprile 2007, 14:27
Telecom, quale "compromesso" ?
di Pietro Folena
Quello andato in scena all’assemblea degli azionisti di Telecom è la rappresentazione migliore del penoso stato in cui versa il capitalismo italiano e, al tempo stesso, di come sia sentita dai cittadini l’esigenza di riformarlo. Un comico (Beppe Grillo) e un consulente del sindacato (Sergio Cusani) sono riusciti a dire cose di assoluto buonsenso e ad essere ignorati dal management. Un gentiluomo come Guido Rossi è stato costretto a disertare l’assemblea, perché cacciato senza tanti complimenti dalla presidenza del gruppo. Centinaia di piccoli azionisti, anch’essi inascoltati, hanno partecipato per la prima volta ad un consiglio di amministrazione dell’azienda di cui in parte sono padroni.
Ma il padrone vero - anche se ha solo una piccola quota dell’azienda - ha detto il suo "niet". A lui, invece, è arrivato il "no" dell’AT&T. Il nostro capitalismo dev’essere davvero scalcinato se persino gli americani, abituati a investire anche nei paesi più impervi, hanno pensato di rinunciare. Per una singolare ironia della sorte, i più "antiamericani" di tutti sono diventati proprio i capitani d’industria.
Siamo davvero di fronte ad un evento senza precedenti. Siamo al punto in cui vengono al pettine i nodi di una vicenda intricata, sulla quale non è stata fatta chiarezza sufficiente. Una vicenda che affonda le sue radici nella peggiore delle privatizzazioni mai viste nel mondo occidentale che ha regalato un patrimonio pubblico (la rete telefonica) ai privati. L’unica soluzione vera sarebbe quella di ristatalizzare la rete, come proponeva il piano Rovati. Ogni giorno che passa questa realtà è sempre più evidente. Se la rete fosse pubblica, nessuno si preoccuperebbe più di tanto se Telecom andasse ad un gruppo straniero. Sarebbe solo uno degli operatori. Invece siamo nella situazione in cui la politica e i cittadini si devono chiedere se l’Italia avrà ancora una rete telefonica italiana (e se avrà una compagnia aerea). Si devono chiedere se perderemo il principale "asset" nell’economia della comunicazione e della conoscenza.
Le imprese concorrenti, a partire dagli Internet provider, poi, si domandano perché non si è pensato per tempo a mettere mano alla situazione. Perché anche nel centrosinistra si continui a ripetere che "il mercato è sacro" senza capire che proprio per questo la rete dev’essere pubblica. Perché solo il pubblico dà garanzia di un minimo di imparzialità. Certo, anche il solo scorporo della rete è già un passo, ma rischia di non bastare. Non siamo in Inghilterra, ammesso che lì le cose funzionino davvero perfettamente. E comunque qualcuno deve pure spiegare come impedire ad una azienda di sfruttare un patrimonio che comunque sarebbe suo. La proprietà pubblica è una soluzione più radicale, ma certo duratura e paradossalmente più semplice.
Ma ora c’è un’urgenza più impellente: impedire che Fininvest prenda il controllo di Telecom. Secondo la denuncia dell’Antitrust del novembre 2004, Fininvest in realtà già controllerebbe indirettamente Telecom. La7 è stata ridimensionata per non disturbare Mediaset e da possibile terzo polo è divenuta una tv di nicchia (bella, ma pur sempre di nicchia).
Ma Fininvest, in teoria, non può entrare nel settore telefonico. Così dice la legge. Intanto però si muove per farlo e lo fa insieme ad un ex protagonista della vicenda Telecom molto vicino ai Ds, almeno in passato, Roberto Colaninno. Un bravo manager e imprenditore, che ha risollevato la Piaggio. E forse non sarebbe male se continuasse ad occuparsi di motorini e piccoli aerei, poiché il suo passato in Telecom è parte del problema che ci sta di fronte oggi. Quell’operazione fu disastrosa dal punto di vista strategico: Infostrada fu venduta ad un gruppo straniero e così abbiamo perso il primo operatore; il secondo l’abbiamo perso con l’acquisto di Wind sempre da parte di un gruppo straniero; il terzo e più grande rischiamo di perderlo ora.
Ci si accapiglia molto sulla "nazionalità" e qualcuno già dice che non sarebbe sbagliato lasciare che Fininvest acquisti Telecom. Purché sia italiana.
Ma, su questo, occorre rispondere ad una domanda: il "compromesso storico finanziario", come lo ha chiamato Sergio Romano, allude forse ad un compromesso anche su altri fronti? E’ in ballo la legge sul conflitto di interessi, il dl Gentiloni, la legge elettorale o altro ancora? Questo onestamente vorrei saperlo, anche perché del Gentiloni sono il relatore. Vorrei sapere se non solo il ministro, ma anche il resto del governo e della maggioranza sono intenzionati a portare avanti queste riforme.
Non credo nella cultura del sospetto, ma credo in quella della chiarezza. Il Partito Democratico è per fermare questo potenziale e gigantesco conflitto di interessi oppure no? Attendo risposta.
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