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La condanna pubblica di Hugo Chavez ed altri svaghi dei ricchi, dei calunniatori e dei semplicemente idioti

Publie le lunedì 20 novembre 2006 par Open-Publishing

di Daniel Patrick Welch

Sembrerebbe che Nancy Pelosi disponga di un tale eccesso di tempo
libero, a fronte di ben poche altre questioni in cui impiegarlo, da
ritenere opportuno riversarlo su Hugo Chavez a seguito
dell’intervento di quest’ultimo alla sede dell’ONU di New York. La
maggioranza dei lettori sarà senz’altro a conoscenza delle sferzanti
provocazioni di Chavez all’indirizzo del "Diavolo" Bush e del suo
commento relativo all’odore di zolfo che avrebbe aleggiato sul
palco dopo l’ultimo discorso all’assemblea del titolare della
superpotenza americana.

E’ stata dunque questa trita figura retorica a suscitare le ire dei
leader del Partito Democratico? Difficilmente potrebbero essere state
le ben più sostanziali denunce contenute nel breve intervento di
Chavez: come l’osservazione che il meccanismo antidemocratico del
veto permanente in mano a pochi superpoteri corrompa
irrimediabilmente la missione delle Nazioni Unite (Davvero! Ma che
sfacciataggine!). Oppure che il rifiuto del visto a numerosi membri
dello staff di Chavez abbia il sapore di una rappresaglia politica
decisamente inopportuna per un paese che ospita la sede di
un’organizzazione internazionale (che imprudenza!).

No, si condanna pubblicamente solo per fare politica spicciola,
per distogliere l’attenzione da fatti, problemi o questioni
che altrimenti si sarebbe costretti a prendere in considerazione.
Posare da oltraggiati fa gola; mentre il mondo brucia intorno a loro
i leader del sistema e la macchina da guerra alimentata da entrambe
le parti non trovano altro da dire e niente da offrire, né al loro
popolo né ai cittadini del mondo.

Da tempo la condanna pubblica, il ripudio ed altre dichiarazioni
inutili costituiscono un surrogato e una coltrina di fumo utili a
riposizionare i bersagli giusti delle reazioni di oltraggio. A Nelson
Mandela, in visita negli Stati Uniti mentre il regime dell’apartheid
cominciava a sgretolarsi dopo una vita dedicata a combatterlo,
venne chiesto di "ripudiare" Mohamar Khadafi e Fidel Castro.
Erano circolate foto di abbracci ritenuti imbarazzanti che
rendevano necessario tale "ripudio".

Mandela naturalmente rifiutò, vedendo l’assurdità palese
nell’assogettarsi alle pressioni esercitate dai finanziatori di un
tempo dei propri avversari per condannare chi aveva invece dato
supporto alla propria lotta per decenni. I neri che dimostravano
contro la guerra del Vietnam, chiamati ad assolvere il dovere
patriottico di ammazzare comunisti e bambini dall’altra parte del
pianeta, obiettavano pungenti: "Nessun vietcong mi ha mai
chiamato ’negro’."

Eppure c’è una morale disturbante rappresentata in tutto ciò che ai
nostri politici piace odiare e specialmente nella complicità della
nostra cosidetta "opposizione" con le forze reali che colludono a una
involuzione del progresso umano senza precedenti. C’è
qualcosa che non ci convince in questo atteggiamento di oltraggio,
nei confronti di crimini di guerra sia dell’attuale amministrazione
che nel mondo, assunto da un partito che decise lo sganciamento
dell’atomica su Hiroshima e Nagasaki.

Ed ancora più vuoto risuona il blaterare ipocrita sulle labbra degli
eredi di uno dei genocidi più riusciti della storia della civiltà
umana. Tre secoli di schiavitù, apartheid e terrorismo razzista hanno
avuto fine (quasi) sotto la loro vigilanza.Ai democratici piace far
proprie queste "lotte" e "vittorie", dimenticando molto
opportunamente non soltanto che quel razzismo è stato il principio
fondatore di vaste correnti del proprio partito ma anche che il
desiderio di rivendicare tali meriti è del tutto immeritato. Finché
non fu dichiarata la fine ufficiale della segregazione razzista
americana, anche i sostenitori più caldi al potere esitarono,
indugiarono, mitigarono e consigliarono prudenza e
pazienza agli oppressi, fino all’ultimo. Dei veri eroi.

Ed ora, malgrado sia storicamente dimostrato che sperare in un
cambiamento che parta dai vertici sia un mero esercizio di futilità,
i militanti del partito democratico sono quasi euforici alla
prospettiva di ciò che ricaveranno dai prossimi due anni di farsa.
Proviamo a guardare nella sfera di cristallo: I leader del Partito
Democratico hanno più cose da dire su Hugo Chavez che sulle
problematiche che cerca di sollevare.

Neanche l’opposizione ha quasi nulla da controbattere sull’aspetto
principale della questione: l’incapacità pressoché totale della
nostra società di trattare un qualsiasi problema reale causato da una
macchina da guerra tanto colossale quanto controproducente. Una
macchina talmente satura dei nostri soldi che le emorragie di
miliardi di dollari che ne fuoriescono passano quasi inosservate,
così costosa da far diventare lillipuziano, al confronto, qualsiasi
altro budget di difesa sulla faccia della Terra. Il governo è
interamente paralizzato a tutti i livelli da questo ricatto indotto
dalla paura, proprio nel momento in cui la quantità di denaro a sua
disposizione non ha eguale al mondo. Una crisi, ovviamente,
affrontata con il silenzio dagli "amici dell’altra parte dell’aula"
di Bush. E con un pari supporto al massacro e alla colonizzazione in
atto in Palestina, un’ingiustizia così palesemente vergognosa da
destare persino nel letargico pubblico americano lo sdegno per tali
atrocità.

Un milione di bombe a grappolo sono rimaste sul territorio libanese,
un milione di piccoli ambasciatori portatori della verità che si cela
nell’agenda statunitense in quella regione. Non esistono soluzioni
marginali o proposte esitanti per problemi che reclamano a piena voce
un cambiamento radicale. E tuttavia i Democratici, con rare
eccezioni, al pari dei loro compagni di merende Repubblicani sono
così avidi di capitali per le proprie lobby, così legati ad interessi
diametralmente opposti ai nostri, così convinti della loro collusione
con queste forze, così pieni di...insomma, di merda, ecco...da
aspettarsi che noi crediamo che qualcosa di sostanzaziale cambierà
quando andranno loro al potere. Ma se non non hanno nulla da dire
adesso, avranno per qualche inatteso miracolo qualcosa da dire una
volta che i codici a barre su tutte quelle bombe Made in USA
ricondurranno direttamente ai cordoni delle loro borse? Non state col
fiato sospeso.

© 2006 Daniel Patrick Welch. Ristampa consentita con citazione della
fonte e del link http://danielpwelch.com. Scrittore, cantautore,
linguista e attivista, Daniel Patrick Welch vive e scrive a Salem,
Massachusetts, con sua moglie, Julia Nambalirwa-Lugudde. Gestiscono
insieme la Greenhouse School http://www.greenhouseschool.org.
Gli articoli sono disponibili in 20 lingue. Scambio di link
gradito.

Tr. di Susanna Como