Home > La destra che avanza
La destra che avanza
ROSSANA ROSSANDA
Ségolène Royal non ce l’ha fatta, sei punti la separano da Nicolas Sarkozy, eletto presidente della repubblica in Francia con i voti della destra, di metà del centro e quasi tutta l’estrema destra lepenista. La partecipazione al voto è stata massiccia, il suo segno inequivocabile. Nicolas Sarkozy, duro ministro degli interni del governo uscente, era arrivato primo fin dal primo turno, e tale è sempre rimasto. La candidata socialista era giunta al ballottaggio in difficoltà, con François Bayrou che le sbarrava la strada, un elettorato centrista perplesso e con le sinistre alla sua sinistra in briciole - cosa di cui i commentatori si sono gloriati. La campagna di Ségolène era stata assai moderata, all’insegna dell’incontro diretto con la gente, e appena ha alzato il tono nell’unico faccia a faccia con Sarkozy (intendiamoci, niente a che vedere con le pesantezze nostrane) è scesa di colpo di tre punti. Per amor del cielo, s’è allarmata la Francia, basta con gli estremismi - la stampa scritta, Le Monde in testa, l’ha rimproverata e perfino il Nouvel Observateur, che invitava a votare per lei, aggiungeva che in ogni caso Sarkozy non sarebbe stato il peggiore dei presidenti. Morale, l’ex ministro degli interni ha vinto alla grande. Adesso ci sono le legislative per il parlamento, si voterà il 12 giugno, ma è da dubitare che gli elettori, confusi e pentiti, diano a Sarkozy una buona lezione dopo averlo promosso.
Che cosa ha indotto su questa strada i nostri vicini, che molto ci avevano sbertucciato per via di Berlusconi? Primo, la «rottura» promessa da Sarkozy: basta con l’uguaglianza, basta con le 35ore, detassazione degli straordinari per le imprese, proibizione degli scioperi senza previo referendum fra tutti i lavoratori, fine dell’assistenza ai disoccupati che non accettino la seconda proposta di lavoro, riduzione a metà del turnover nella funzione pubblica, soldi all’impresa come sola e sufficiente garanzia di crescita e quindi dell’occupazione, immigrazione «scelta», difesa dell’identità nazionale, un’Europa senza costituzione e senza bisogno di referendum, ripristino di tutte le autorità e si finisca una buona volta con la nefasta eredità del maggio ’68. Queste ripetute dichiarazioni non hanno incontrato nessun movimento di protesta. Quanto sia profonda la «rottura», anche culturale, dimostra lo spiattellamento delle sinistre, la cui litigiosità è stata nuovamente suicida. Insomma, l’onda di destra è mobilitante: chi parla di crisi della politica? La politica funziona ancora a contrastare un riemergere della sinistra, per morbida che si presenti.
Secondo, mai una donna presidente della Repubblica! Bisogna essere stati qui per crederlo, ma in un paese così moderno, prospero e avanzato è diffuso il dubbio che una donna possa dirigere lo stato. Una stampa attenta al minimo errore o presunto tale, le crudeli vignette (la satira sarà sacra, ma lavora sulle pulsioni sicure), la scarsa propensione delle donne a votare per una di loro, il defilarsi delle femministe: è stata esplicita l’intenzione di sbarrare la strada a una donna, ancorché moderata e sostenitrice dell’ascolto, perdipiù avvenente e così sicura di sé da non farsi cooptare da nessuno, piacesse o no ai leader del suo partito. I quali sono già partiti per farle la festa. Il sacerdozio, ecclesiatico o civile, non è cosa da femmine. Su questo la laicissima Francia raggiunge piuttosto il Vaticano che la Germania o il Regno Unito.
In breve, nell’Europa del terzo millennio la parola «rinnovamento» suona: a destra tutta. Viene in mente Breznev che, a chi osservava che quello dell’Urss non era socialismo, ha ribattuto: questo è il solo che ci sia, il socialismo reale. E questa, ci dicono nel 2007 le urne transalpine, è la democrazia reale.
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/08-Maggio-2007/art18.html