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La destra europea teme Prodi a sinistra e preme per la Grande Coalizione
Publie le mercoledì 19 aprile 2006 par Open-Publishing1 commento
I giornali inglesi in allarme per gli spostamenti politici ed elettorali in Francia e in Italia.
Qual è il rischio? Che serie politiche di riforme facciano saltare il modello unico liberista. E perciò paventano disastri economici e fanno balenare ricatti
di Alfonso Gianni
Vi ricordate quando, poche settimane fa, Berlusconi gratificava l’autorevole Economist con la qualifica di comunista, perché metteva sotto accusa il bilancio disastroso del suo governo? E la gran parte del centrosinistra a giurare che no, certamente il famoso settimanale economico inglese non poteva essere annoverato tra i bolscevichi, ma che comunque le sue critiche erano sacrosante? Allora eravamo gli unici a dire che non trovavamo nulla di strano se l’Economist interveniva a piedi giunti nelle vicende italiane, ma che lo faceva, e quello era ed è il punto, da destra, cioè da una posizione di rigorosa coerenza nel sostegno alle politiche neoliberiste in Europa.
Avevamo proprio ragione. A conferma giunge puntualmente la copertina dell’Economist di questa settimana che titola “Paralisi in Italia, capitolazione in Francia”, nel primo caso riferendosi all’esito delle elezioni di aprile, nel secondo al ritiro del provvedimento sul licenziamento libero nei primi due anni d’impiego. Per il settimanale londinese il modello virtuoso sarebbe quello della Germania, dove la crescita starebbe ripartendo e la disoccupazione scendendo, e soprattutto la Grande Coalizione darebbe l’agognata stabilità politica a quel paese. Chi vuol intendere, intenda.
Ma le polemiche più feroci le ha scatenate l’editoriale del condirettore del Financial Times, per il quale l’Italia rischierebbe addirittura l’insolvenza sul modello argentino e la fuoriuscita dall’Euro prima del 2015. Sia il settimanale che il quotidiano inglesi insistono inoltre nell’attribuire la causa della debolezza del futuro governo Prodi, oltre che ai ristretti margini parlamentari, soprattutto alla presenza dei comunisti nell’esecutivo.
Questo argomento è così privo di originalità da venire immediatamente ripreso nei commenti italiani, anche in ambienti interni all’Unione. Sul Riformista di oggi - che molto autorevole non è, ma comunque contribuisce a fare opinione negli ambienti moderati del centrosinistra - si legge, dopo le rituali rimostranze contro le invadenze dei “soloni inglesi”, che Rifondazione, la sinistra radicale, il segretario generale della Cgil (come a dire, con scarsa eleganza, che il resto del sindacato la penserebbe diversamente!) avrebbero ipotecato negativamente il futuro del governo Prodi con il loro estremismo sul versante delle questioni economiche e del lavoro.
Gli argomenti del quotidiano economico inglese non sono in verità granchè. Si tratta di una rivisitazione della propaganda terroristica sulla possibilità di default del nostro paese, di crollo della sua credibilità nel mercato finanziario internazionale, di polverizzazione del valore dei titoli del debito pubblico, sulla eventualità che l’Italia diventi oggetto e preda di ogni tipo di speculazione finanziaria.
Che la situazione economica, e soprattutto sociale, del nostro paese non goda di grande salute, e perciò di buona considerazione, è cosa risaputa e lo abbiamo spiegato in tutte le salse nel corso di questa terribile campagna elettorale; che i conti dello stato stiano male, a partire dalla sparizione dell’avanzo primario è cosa forse non ancora sufficientemente nota e sottolineata, per cui va bene farlo in ogni caso; che il nostro paese stia assai peggio della Francia e della Germania per le sue condizioni strutturali è una verità che affonda le sue radici assai lontano, prima di Berlusconi per intenderci. Dunque il compito che attende il futuro governo Prodi è durissimo e certamente lo striminzito esito elettorale non ci aiuterà. Ma che siamo in una condizione preargentina o che i titoli del debito pubblico stiano per collassare sui mercati internazionali, o che si possa prevedere un’uscita dalla zona dell’euro, cioè dall’Europa, questo è falso, non solo per l’interdipendenza delle economie e delle finanze europee, ma anche per le esplicite volontà politiche che uniscono tutto lo schieramento dell’Unione.
Allora perché tanto tempestivo allarmismo? Forse i motivi possono essere indicati in almeno tre ragioni.
La prima. Nell’Unione europea, voglio dire anche in quella a 15, non tutti i paesi sono uguali, non tutti hanno lo stesso peso, o almeno non ritengono di averlo coloro che se ne attribuiscono di più. Vi è chi ritiene di essere il nume tutelare di una concezione dell’Europa fermamente fondata sulla dottrina neoliberista e considera altri paesi come la periferia dell’Unione. Come sosteneva su questo giornale qualche giorno fa Emiliano Brancaccio, questi ultimi sono sospinti verso politiche che oscillano tra la diminuzione del debito e quella del costo del lavoro (non a caso il Financial Times considera l’incremento di quest’ultimo una delle cause principali del dissesto economico italiano). Insomma tertium non datur. Quindi quando comincia ad apparire una politica riformatrice che rifiuta di rimanere stretta in questa tenaglia, come nel caso del programma dell’Unione, su di essa si abbatte la scure della censura neoliberista. Un motivo di più per perseguire un’altra strada, quella di non porre al primo posto la questione della riduzione del debito e puntare invece sul rilancio dell’economia reale, piegando la politica finanziaria dello stato a questo scopo decisivo.
La seconda. I commentatori inglesi dimostrano di non gradire né la presenza di forze alternative e comuniste nei governi di importanti paesi europei, come il nostro, né le scelte di scontro sociale diretto, soprattutto quando si rivelano perdenti per i governi che le praticano, come in Francia. Per questo raccomandano con invadente insistenza la soluzione delle grandi coalizioni che darebbero più garanzia di stabilità e di assorbimento dei conflitti sociali e quindi più tranquillità ai mercati finanziari.
La terza, più che una ragione, è una supposizione. Poiché mi è parso di vedere delle crepe sempre più evidenti aprirsi nel pensiero e nelle politiche economiche che hanno caratterizzato l’era blairiana e l’avanzare dell’ipotesi della sostituzione dello stesso Blair con il rampante Gordon Brown, ma soprattutto l’emergere, anche se faticoso, di un pensiero critico che cerca di riproporre con una nuova qualità il modello economico e sociale europeo in controtendenza con quanto fin qui fatto dalla Gran Bretagna, si può ragionevolmente supporre che gli autorevoli giornali inglesi vogliano anche “parlare a suocera perché nuora intenda”, ammonendo in patria e all’estero chi voglia mettere in dubbio che l’unica strada della ripresa economica europea sia quella di un liberismo integrale. Il tempo ci dirà se abbiamo visto giusto.
Messaggi
1. > La destra europea teme Prodi a sinistra e preme per la Grande Coalizione, 20 aprile 2006, 11:06
Che vogliono imporre con ogni mezzo il "governissimo" lo dice persino Pallaro che non è certo un "estremista" ...........
Pallaro oggi arriva in Italia dall’Argentina. Telefonate
di "corteggiamento" fino a un minuto prima di partire
L’emigrato smentisce dall’aereo
"L’Unione ha vinto, tratto con loro"
dal nostro inviato ALESSANDRA LONGO
IN VOLO DA BUENOS AIRES A MILANO - "È falso". Luigi Pallaro, l’"ago" che al Senato avrebbe deciso di far pendere la bilancia dalla parte della Casa delle libertà, smentisce dall’aereo che lo riconduce in Italia. "Quel che dice Tremaglia è falso. Non mi sono arruolato nel centrodestra. Sarebbe bene non cadere in quella che è chiaramente una strategia della provocazione. State attenti anche voi giornalisti".
Senatore Pallaro, quale sarebbe l’obiettivo della provocazione che lei denuncia?
"È evidente che si vuole creare una situazione in cui si impone il cosiddetto "governo delle larghe intese". Dichiarazioni come quelle di Tremaglia rivelano proprio la volontà di strumentalizzare una situazione delicata. E sfiorano anche il ridicolo".
Strumentalizzazioni a parte, è verosimile che lei - unico senatore eletto all’estero a dichiararsi indipendente - sia stato sottoposto in questi giorni a un "corteggiamento" eccezionale. Le ha telefonato anche Berlusconi?
"In questi ultimi giorni no. Mi ha chiamato cinque giorni fa. È stata l’unica telefonata tra me e lui".
La sua posizione di "indipendente" si troverà di fronte a un bivio quando arriverà il momento di votare la fiducia. La darà o la negherà a Prodi?
"Guardi, io sto venendo a Roma per analizzare la situazione. Voglio soprattutto vedere che cosa porto via... ".
In che senso?
"Nel senso che voglio verificare cosa mi danno per migliorare le condizioni degli italiani all’estero. Questa che sto cominciando non è una missione per me, ma per le persone che vado a rappresentare".
Il neo senatore italo-argentino riprende posto sulla sua poltrona. Accanto a lui c’è la moglie Nelida Papini, figlia di emigrati della Romagna, già molto presa dal pensiero di come vestirsi quando il 28 aprile accompagnerà il marito al portone di Palazzo Madama.
Ottant’anni da compiere tra un paio di mesi, nativo di San Giorgio in Bosco in provincia di Padova, eletto con 50 mila preferenze nella circoscrizione America del Sud, Pallaro è da una settimana il terminale di manovre "transoceaniche" per conquistare il suo preziosissimo voto. Ne siamo stati testimoni anche noi, poco prima dell’imbarco da Buenos Aires. Nella saletta vip è arrivata una telefonata "pesante". "Ministro, buongiorno... " ha esclamato il neo senatore. Alcune battute di conversazione, poi ancora Pallaro rivolto all’interlocutore dall’Italia: "Ma perché mi dici questo solo adesso? Oramai è fatta". Chi era il ministro? Forse lo stesso Tremaglia? "No, non era lui. Però non mi faccia dire altro".
Poco dopo, un’altra chiamata dall’Italia lo ha informato che la Cassazione aveva scritto la parola fine sul conteggio dei voti, riconoscendo la vittoria di Prodi. "E allora bisogna fare i conti con questa realtà" ha commentato Pallaro. Impegno che si incastra alla perfezione con la parola d’ordine scelta un secondo dopo l’elezione: "Non alzerò mai la mano per far cadere il governo, ma solo per difendere gli italo-argentini".
(20 aprile 2006) www.repubblica.it