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In alcune ambasciate nemmeno i soldi per pagare luce e gas. Per i tagli della Farnesina
di ATTILIO SCARPELLINI *
Non bastava l’affaire dei contributi volontari alla cooperazione a turbare i sonni pre-elettorali dei titolari della Farnesina. Da ieri c’è anche il pesantissimo cahier de doléance stilato dal Coordinamento Esteri Cgil-Funzione pubblica ad offuscare la visione di una politica estera italiana che, più il tempo passa, più appare come un grottesco miscuglio di pretenziosità (mediatiche) e di miserie (strutturali). Dove si aggirano fantasmi di ambasciatori e ministri plenipotenziari che, nelle sedi del Nord ricevono con il cappotto addosso perché i fondi disponibili non bastano a pagare il gas e la luce. Quando invece bastano per ristrutturare la piscina e costruire un nuovo campo da golf nelle residenza del nostro ambasciatore a Washington.
Dove i consolati a «vocazione commerciale», ad esempio in Cina o in Romania, sono congestionati dal rilascio dei visti e da una cronica mancanza di personale. Dove a «mission» roboanti quali «l’internazionalizzazione del sistema produttivo italiano» (i famosi sportelli unici) corrispondono stanziamenti da 2, 3 massimo 5000 euro. Dove 9 istituti di cultura sui 90 presenti in tutto il mondo chiuderanno per mancanza di fondi, mentre gli altri navigano a vista con appena l’8% del budget. Dove alla carenza di organici risponde la solita moltiplicazione di consulenti e di incarichi «discrezionali», per non dire delle operazioni di facciata e degli spot promozionali chiamati ad abbellire il vuoto. Una situazione schizofrenica che qualcuno non esista a paragonare a quella del Rex, il transatlantico felliniano che se ne va alla deriva senza una guida. Ma che altri, paventano possa diventare quella del Titanic non appena la magre risorse del ministero degli Affari esteri, che la finanziaria di Tremonti ha tagliato complessivamente del 50%, arriveranno agli sgoccioli. Quando? Presto, dice un sindacalista, «il 30 aprile prossimo, se continuiamo di questo passo».
Giusto in tempo per consegnare a un nuovo governo una politica estera inesistente sostenuta da una struttura economicamente allo sbando. Un’eredità pesante che però, secondo la Cgil, è ben più di un mero effetto collaterale del «mal riposto rigore finanziario del governo». E’ la logica conseguenza di una volontà politica che tra i suoi primi moventi annovera «l’avocazione e la spettacolarizzazione da parte della presidenza del consiglio dei più importanti dossier di politica estera». Quella che il responsabile esteri dei Ds Luciano Vecchi, intervenendo al convegno, ha chiamato «la politica delle pacche sulle spalle» di cui Berlusconi ha fornito qualche rapido exploit anche in questo crepuscolo di legislatura. Una politica che, aggiunge il Dl Gianni Vernetti, a forza di affossare il multilateralismo e di schiacciarsi acriticamente sull’amministrazione Bush, «ci ha reso più deboli in Europa e più deboli nel mondo».
Se l’unica vera politica di un paese è, come sosteneva il vecchio Nenni, la sua politica estera, insomma, lo stato in cui versa la «macchina» della Farnesina è un’altra immagine ideale del declino italiano. Anche perché, scorrendo il dossier del Coordinamento Esteri Cgil, poco o nulla si salva nell’«eutanasia» del ministero degli Affari esteri, né il vecchio, né il nuovo. La creazione dello sportello unico, per esempio, ha finito con il depotenziare il ruolo di promozione economico-commerciale delle ambasciate. Ma il mix di soggetti pubblici e privati che lo doveva sostituire non ha per il momento portato un soldo al sempre più fragile export italiano. Il regolamento che doveva seguire la legge, infatti, è stato a lungo bloccato dal ministero dell’Economia: i suoi costi, di molti superiori a quelli preventivati, continuavano a gravare per lo più sul già languido bilancio della Farnesina.
La diplomazia commerciale e performativa, in altre parole, non si è ancora dimostrata più efficiente della vecchia diplomazia «umanistica» (a cui, ovviamente, nessuno sostiene di voler tornare). Gli affari, in compenso, presentano sempre qualche rischio per la trasparenza. La legge non dice nulla sui requisiti professionali dei responsabili degli sportelli unici. Mentre la parabola non precisamente edificante di alcune nomine «discrezionali» ha già fatto epoca alla Farnesina. Come quella di un certa Angelica Carpifava ai vertici dell’Istituto di cultura italiana a Mosca. Un’illustre slavista? No, un’intraprendente signora di cui nessuno riesce a definire con precisione l’identità politico-culturale: si sa solo che nata sotto Frattini è uscita di scena con Fini, lasciandosi alle spalle uno strascico di scorrettezze e di malversazioni di cui attualmente si occupa la magistratura. I nuovi diplomatici sono ben consapevoli di essere, come dice l’ex ambasciatrice a Damasco Laura Mirakyan, «ormai dei manager». Ma i faccendieri sono un’altra cosa.
Lettera 22*
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/10-Marzo-2006/art72.html