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La grande paura

Publie le lunedì 6 ottobre 2008 par Open-Publishing

Zygmunt Bauman e la grande paura
(pensiero liberamente riassunto)

La produzione di scarti umani e’ una delle industrie del capitalismo che non conosce crisi. E sono proprio quegli esclusi dalla societa’ ad essere indicati come l’origine dell’insicurezza.

Paura, esclusione sociale, produzione del male, questi per Bauman gli effetti collaterali di quella globalizzazione che gli ideologi del libero mercato presentarono come il migliore dei mondi possibili.

La globalizzazione ha aumentato l’esclusione sociale mentre riduceva il welfare. Lo stato-nazione sempre piu’ si caratterizza per le misure contro i «portatori» di insicurezza. E’ diventato uno «stato della paura».

Il mondo contemporaneo, con la sua compulsiva e ossessiva bramosia di modernizzare, ha sviluppato due gruppi di «scarti umani».

 gli «inadatti», esclusi dalla societa’ perche’ incapaci di partecipare alle forme di vita dominanti

 gli «avanzi umani», per cui non c’e’ piu’ posto nell’economia e che non hanno nessun ruolo utile da svolgere, non avendo denaro sufficiente a una vita civile.

Lo stato sociale voleva aiutarli, in un progetto politico che mirava all’inclusione universale, frenando le pratiche di esclusione. Ma il welfare e’ stato scalzato via, facendo aumentare gli esclusi.

I primi sono gli «alieni», i sans papiers, immigrati clandestini, richiedenti asilo politico e ogni sorta di «indesiderabili». I secondi sono i «consumatori difettosi». Entrambi fanno crescere una sottoclasse di uomini e donne che non trovano posto nella societa’, i paria sociali, cacciati dal sistema di classe della societa’ dominante.

Gli stati nazionali non intendono piu’ garantire ai sudditi una sicurezza sostanziale: la “liberta’ dalla paura”, come la chiamo’ Roosevelt. Eppure lo Stato nacque proprio come limitazione alla liberta’ e ai beni di ognuno per garantire in cambio proprio la sicurezza. Oggi essa e’ abbandonata alle capacita’ e risorse del singolo, che dovrebbe farsi carico di enormi rischi e sofferenze. Dunque lo Stato abdica alle sue funzioni.

Lo stato sociale che prometteva di sradicare la paura viene demonizzato. Si dice che non ci sono piu’ i soldi per mantenerlo, pero’ gli stessi soldi ci sono per le guerre o gli aiuti alle grandi compagnie in crisi.

Cosi’ il cittadino oggi e’ terrorizzato e ha paura di finire nelle zone di esclusione sociale.
In luogo di avere uno Stato che lo tutela dalla paura, ci sono partiti che agitano la paura come strumento elettorale, partiti populisti, che, proprio in un momento in cui in Europa come in America la criminalita’ comune e’ in diminuzione, negano i fatti cosi’ che piu’ diminuisce la criminalita’, piu’ agitano lo spettro dell’insicurezza.

La diffusa e impalpabile paura che satura il presente e’ usata da molti leader politici come una merce da capitalizzare al mercato politico. Si comportano come dei commercianti che pubblicizzano le merci e i servizi che vendono come formidabili rimedi all’abominevole senso di incertezza e per prevenire innominabili e indefinibili minacce (insomma sono come i mafiosi che taglieggiano i commercianti promettendo protezione.. da loro stessi).

E gli elettori li premiano. I politici populisti raccolgono proprio i frutti avvelenati nati dalla scomparsa dello stato sociale. Sono quindi interessati a far aumentare la paura. Ma solo quella che possono manipolare per mettersi in mostra tv come gli unici protettori della nazione. Un’epidemia di paura voluta colpisce le moderne societa’ capitalistiche.

Se la vita nelle periferie di Roma, Milano e Napoli e’ davvero terribile e pericolosa, come dicono, non e’ perché gli abitanti sono obbligati a vivere in condizioni terribili e perche’ esposti ai pericoli derivanti dall’avere la pelle di una differente pigmentazione o perche’ vanno in chiesa o al tempio in giorni differenti della settimana. Nei quartieri periferici italiani, così come nelle banlieue di Parigi o Marsiglia o nei ghetti urbani di Chicago e Washington, la vita e’ terribile e pericolosa perche’ questi luoghi sono stati progettati come pattumiere per i reietti.

Uomini e donne che condividono la stessa sorte e che sono spinti a battersi uno contro l’altro, anziche’ unirsi.

Qualunque siano i sentimenti che provano e le umiliazioni subite, sono uomini e donne che non nutrono molto rispetto per i propri vicini, altri scarti umani ai quali, come a loro, e’ stata negata qualsiasi dignita’ e diritto a un trattamento umano.

Gli antichi rimedi dei reietti erano la rivolta o la rivoluzione. Oggi nessuno pensa davvero che la resistenza alle attuali ingiustizie sociali possa venire dalle periferie. Solo i mendicanti, gli spacciatori, i rapinatori, le bande giovanili pensano che cio’ possa accadere. La maggioranza degli elettori e’ molto attenta al comportamento dei leader politici e li giudica in base alla severita’ che manifestano nella loro dichiarazioni pubbliche attorno alla «sicurezza». E quelli fanno a gara nel promettere tolleranza zero contro gli «scarti umani».

Partiti come FI e Lega hanno vinto le elezioni promettendo di difendere i sani e robusti lavoratori del nord da chi puo’ rubare loro il lavoro o minaccia il patrimonio in quanto vagabondo, accattone o rapinatore (nda gli stessi pero’ non presentano come minaccia privata i grandi capitali in crisi che ridurranno molto di piu’ i beni comuni).

Eppure l’Europa e’ condannata ad essere cosmopolita.

E non dimentichiamo che questo modello di globalizzazione secca ogni sovranita’ nazionale e ogni possibilità di sviluppo sostenibile. Stabilisce solo una rete ferrea di legami tra governi, a protezione di un mercato capitalista, in cui, mentre la circolazione dei capitali non conosce limiti o regole, si cancellano gradualmente tutte le forme economiche non capitalistiche e tutti gli strumenti democratici. Un passaggio da un mondo di stati-nazione al mondo della diaspora. E’ finita l’alleanza tra Stato, Nazione e territorio. Alcuni paesi tentano di resistere alla riduzione della loro autonomia economica, politica, militare e culturale.
Ma e’ sempre più difficile che ci riescano. Eppure il neoliberismo e’ in crisi, lo vediamo nel fallimento delle banche americane.

Perche’ oggi si dice che lo Stato deve porre regole al mercato? E’ solo un estremo tentativo di salvare il liberismo.

Si noti che il governo americano e’ entrato in azione solo quando la suicida tendenza alla deregolamentazione e’ entrata in totale crisi, non prima (nda. Bush levo’ anche le poche regole imposte da Clinton), contro tutti i precedenti atti di fede delle autorita’ federali, e lo scopo non era certo quello di salvare i risparmiatori o i cittadini ma salvare dalla catastrofe forti e i potenti, le elites economiche, i pescecani, cosi’ che potessero tornare liberi nel gran mare della globalizzazione neoliberista a divorare i pesci piccoli.

Il Financial Times scrive che «i mercati globali approvano» le azioni statunitensi per fronteggiare la crisi finanziaria. Non una parola sui motivi che hanno provocato le perdite economiche, o sul perche’ gli infallibili meccanismi di mercato hanno fatto cilecca. Si dovrebbe mettere a rischio centinaia di miliardi di dollari dei contribuenti americani solo per salvare gli istituti di credito. Ma chi sono questi contribuenti? Gli americani sono coperti di debiti fino alle orecchie, sono terrorizzati perche’ il valore delle imprese in cui lavorano crolla sempre piu’, con la possibilita’ di una loro bancarotta e conseguente perdita del lavoro. Non e’ quindi detto, vista la situazione, che il governo statunitense possa accedere a quelle centinaia di milioni di dollari. E quel medesimo governo ha destinato altrettante centinaia di milioni di dollari in spese militari per sostenere la guerra in Afghanistan e in Iraq, tagliando al tempo stesso le tasse per i ricchi e arricchendoli sempre di piu’.

Oggi gli Stati uniti sono troppo indebitati, cosi’ come lo sono milioni di cittadini americani e la via proposta e’ fare altri debiti, aumentando il deficit pubblico. Ha senso?

Gli Usa non possono piu’ andare avanti cosi’ e allora chiedono aiuto all’Europa, o alla Cina o ai paesi arabi ricchi di petrolio. Sono uno stato insolvente che sta facendo nuovi debiti per pagare quelli gia’ accumulati.
Il ministro inglese Darling ha dichiarato che «proprio come un governo non puo’ combattere da solo il terrorismo globale o i cambiamenti climatici, cosi’ non puo’ fronteggiare le conseguenze negative della globalizzazione». Ma diciamolo, che «e’ la globalizzazione stessa che vanifica l’operato di un governo, perche’ rende impossibile a un singolo governo di risolvere la crisi del paese». La globalizzazione ha conseguenze globali che possono essere affrontate solo globalmente. Ma bastera’?

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da Masada n.799. Lo Stato della paura

http://www.masadaweb.org