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La guerra mondiale delle risorse naturali
Publie le lunedì 3 settembre 2007 par Open-Publishing4 commenti
DA CARTA.ORG
[27.06.2006]
La guerra mondiale delle risorse naturali
Vandana Shiva
Fonte: Il Manifesto
Guerre per il petrolio, guerre per l’acqua, guerre per la terra, guerre per l’atmosfera: è questo il vero volto della globalizzazione economica, la cui sete di risorse sta oltrepassando i limiti della sostenibilità e della giustizia. Dove c’è petrolio, c’è conflitto.
Per quanto si voglia stendere sull’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq (e sulla minaccia di un’invasione dell’Iran) la patina di una guerra culturale, la vera questione era ed è il controllo del petrolio. Il servizio in copertina del 22 maggio 2006 di Time Magazine, "The Deadly Delta", era dedicato ai conflitti che il petrolio ha scatenato nel delta del Niger. Newsweek del 15 maggio 2006 conteneva articoli sulla politica del petrolio come "Arte nera".
Il petrolio è diventato la base della strategia di Hugo Chavez in Venezuela e di Evo Morales in Bolivia per tracciare una mappa post-globalizzazione e post-imperialista del mondo.
Come il petrolio, l’acqua sta diventando fonte di guerre perché viene mercificata e privatizzata, incanalata e trasferita per lunghe distanze. Le grandi dighe deviano l’acqua dai sistemi naturali di drenaggio dei fiumi. Alterando il corso di un fiume si modifica anche la distribuzione dell’acqua, specialmente se questa viene trasferita da un bacino all’altro.
La modifica dei corsi d’acqua molto spesso genera dispute tra stati, dispute che si trasformano rapidamente in conflitti tra governi centrali e stati.
In India, tutti i fiumi sono diventati oggetto di conflitti irrisolvibili sulla proprietà e la distribuzione dell’acqua. Anche il rapimento del popolare attore del cinema indiano Rajkumar da parte del bandito della foresta Veerappan, nel 2000, era collegato a un conflitto tra gli stati Karnataka e Tamil Nadu per l’acqua del fiume Kaveri. Nelle Americhe, il conflitto tra Stati uniti e Messico per il fiume Colorado si è intensificato negli ultimi anni. Le acque del Tigri e dell’Eufrate, che hanno alimentato l’agricoltura per migliaia di anni in Turchia, Siria e Iraq, sono state la causa di grossi scontri fra i tre paesi. Entrambi i fiumi nascono in Turchia, la cui posizione ufficiale è: "L’acqua è nostra tanto quanto il petrolio iracheno è iracheno".
In una certa misura, la guerra tra israeliani e palestinesi è una guerra per l’acqua. Il fiume conteso è il Giordano, usato da Israele, Giordania, Siria, Libano e Cisgiordania. Le grandi coltivazioni agricole di Israele necessitano dell’acqua del fiume, oltre che di quella freatica della Cisgiordania. Sebbene solo il 3% del letto del fiume Giordano si trovi in Israele, esso garantisce il 60% del suo fabbisogno d’acqua.
La guerra del 1967 è stata in effetti una guerra per l’occupazione delle risorse idriche provenienti dalle alture del Golan, dal mare di Galilea, dal fiume Giordano e dalla Cisgiordania. Come osserva lo studioso mediorientale Ewan Anderson, "la Cisgiordania è diventata una fonte cruciale di acqua per Israele, e possiamo affermare che questa considerazione sopravanza altri fattori politici e strategici".
I finanziamenti della Banca mondiale e della Banca per lo sviluppo asiatico (Adb) stanno scatenando anch’essi guerre per l’acqua tra stati e cittadini. Ad esempio, quando è stata costruita una diga sul fiume Banas in Rajasthan per deviarne il corso verso le città di Jaipur e Ajmer, cinque abitanti di un villaggio che chiedevano di poter accedere all’acqua per l’uso locale sono stati uccisi dalla polizia, il 26 agosto 2005. Il gigantesco River-Linking Project, un progetto da 200 miliardi di dollari Usa, prevede che vengano costruite dighe e che siano deviati tutti i fiumi dell’India, e certamente causerà milioni di guerre per l’acqua.
Invece di riconoscere che l’impronta ecologica della globalizzazione sta distruggendo la terra e le persone, la nuova élite culturalmente e intellettualmente sradicata parla di "troppe persone" sul territorio. Essa parla persino di risorse naturali come di un relativo svantaggio.
Un recente articolo del ministro delle finanze del Kerala era intitolato: "Quando le risorse naturali sono una minaccia per le nazioni: relativo svantaggio" (Alok Sheel, "When Natural Resources Are A Menace For Nations: Comparative Disadvantage", Financial Express, 12 aprile 2006). L’articolo afferma: "L’idea che le risorse naturali possano contribuire al relativo svantaggio delle nazioni è relativamente recente. Se lo stato non è in grado di mantenere l’ordine pubblico, le attività economiche crollano o migrano. Le risorse naturali però non possono migrare, e sono facile preda dei gruppi militanti".
L’autore continua affermando: "Le risorse naturali non hanno valore economico alla fonte. Quindi ciò che conferisce loro valore economico sono le vie d’accesso - in continuo aumento - attraverso cui entrare nel commercio globale grazie all’abbassamento delle barriere commerciali".
Questa liberalizzazione del commercio sta permettendo alle corporations di violare lo spazio ecologico delle comunità locali, scatenando così i conflitti. Per le popolazioni locali, le risorse naturali come la terra o l’acqua hanno decisamente un valore. Negare valore alla fonte significa negare i diritti primari e gli usi primari della terra e dell’acqua. È così che le economie neoliberiste creano un vicolo cieco ecologico e sociale e possono ridefinire le risorse naturali, la base stessa della vita, come "minaccia" e "relativo svantaggio".
Il problema non sta nelle risorse naturali, ma nel libero commercio e nella globalizzazione. Il problema non sta nelle persone ma nell’avidità delle corporations e nelle alleanze tra le corporations e gli stati per usurpare le risorse delle persone e violare i loro diritti fondamentali.
Se la globalizzazione procederà senza sosta, queste guerre per le risorse aumenteranno ed essa stessa sarà fermata dalle catastrofi ecologiche e dai conflitti per le risorse - oppure, i movimenti per la sostenibilità ecologica e per la giustizia sociale riusciranno a resistere all’inganno economico della globalizzazione gettando le fondamenta per una Democrazia della Terra, in cui sia possibile abitare la terra con leggerezza e distribuire le sue risorse vitali in modo equo.
Messaggi
1. La guerra mondiale delle risorse naturali, 3 settembre 2007, 11:34
Interessante.
Segnalo una piccola inesattezza della traduzione. Per ben due volte nell’articolo l’espressione "comparative disadvantage" viene tradotta con "svantaggio relativo", che non ha molto senso. La traduzione esatta è proprio "svantaggio comparativo", che è un termine tecnico dell’economia che segnala un’elemento critico nell’organizzazione economica di una paese rispetto alla sua capacità di competere sui mercati internazionali.
Il ministro delle finanze del Kerala (stato indiano a governo comunista, se non erro), utilizza paradossalmente il termine "svantaggio comparativo" riferito alle risorse naturali per sottolineare come la conflittualità originata dalle comunità locali per il controllo delle loro risorse venga vista non come lotta per i propri diritti, ma come elemento di disturbo degli affari.
Per il resto, a parte l’uso alla moda dell’espressione "globalizzazione" perché non ammettere che Vandana Shiva non dice cose troppo diverse da Lenin in "Imperialismo fase suprema del capitalismo"?
Gianluca Bifolchi
1. La guerra mondiale delle risorse naturali, 3 settembre 2007, 13:53
Grazie Gianluca
farò la correzione.
La parola anti globalizzazione è l’unica che resista quindi continuerò a usare questa, anche perché la parola globalizzazione ormai è entrata nell’uso a contrassegnare la riduzione di ogni relazione o ente o caratteristica umana a merce in un mercato sotto il controllo anarcoide delle corporation di maggior potere che tendono a soggiogare la sovranità degli stati e a dominarla con associazioni internazionali fuori da una ogni schema democratico ma fondamentalmente a direzione USA.
Certamente ci sono molti punti in comune tra anti globalizzazione e messaggio leninista.
Se mi permetti ci sono dei punti di differenza massima:
– la lotta dei no global non prevede l’uso delle armi o di rivoluzioni da attuare con mezzi violenti
– nessuno desidera l’espropriazione della proprietà privata e la concentrazione nelle mani dello stato
– da leninisti e marxisti classici discende una concezione totalitaria dello stato che dà ogni potere a una nomenclatura, retta da un leader supremo che finisce per essere un capo assoluto fuori da ogni legge o controllo, distruggendo ogni democrazia. I no global mirano a una democrazia allargata con strumenti di continuo controllo e ricambio da parte popolare.
Grazie (chissà se questa mail innocua quelli di bellaciao si degneranno di non fa<rla sparire come ogni tanto accade) . Sono stanca di disfunzioni e stati abbandonici. Uf
Sul web i siti dove si può scrivere sono sempre meno, ogni giorno assisto a qualche scomparsa, e quelli che resistono sembrano malfunzionanti o abbandonati a se stessi
Ciao. Mi piace come scrivi. Io sono una donzella a tuo confronto
viviana
PS: Qualcuno mi spiega come faccio ad avere degli a capo decenti quando pubblico qualcosa qui?
2. La guerra mondiale delle risorse naturali, 3 settembre 2007, 16:42
Mah...
Al di là della mia allergia alle formule suppongo che io stesso potrei essere definito un no global.
Gianluca Bifolchi
3. La guerra mondiale delle risorse naturali, 3 settembre 2007, 18:09
Credo che dividersi sulle formule oggi non serva a nulla.
Si ponga uno scopo e si cerchi di convogliare le energie verso di esso o finiremo frantumati in fazioni
viviana